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PROCEDURA EX ART. 50, QUARTO COMMA L.R. N. 61/85 PDF Stampa E-mail
martedì 19 giugno 2007

T.A.R. Veneto – SEZ. II, sentenza n. 1101/2007

(il potere della Pubblica Amministrazione di programmazione urbanistica e di realizzazione dei progetti relativi alle esigenze generali non può consumarsi con il mero decorso del termine di durata del vincolo urbanistico, ove persistano o comunque sopravvengano nuove esigenze di interesse pubblico, nei suddetti casi è tuttavia necessario, pena la violazione della norma costituzionale di cui all’art. 42, comma 3, che venga prevista la corresponsione di un indennizzo)


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda Sezione, con l’intervento dei signori magistrati:

Avviso di Deposito

del

a norma dell’art. 55

della L. 27 aprile

1982 n. 186

Il Direttore di Sezione

Umberto Zuballi Presidente

Riccardo Savoia Consigliere

Alessandra Farina Consigliere, relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 221/2005, proposto da CATTAPAN Mario, rappresentato e difeso dall’avv. Pierfrancesco Zen, con elezione di domicilio presso la Segreteria del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto ai sensi dell’art. 35 R.D. n. 1024/24, come da mandato a margine del ricorso;

CONTRO

il Comune di Venezia, in persona del Sindaco pro tempore rappresentato e difeso dagli avv.ti Giulio Gidoni e M. Maddalena Morino, con elezione di domicilio presso la Civica Avvocatura nella sede Municipale in Venezia, S. Marco 4091;

PER

l’annullamento della deliberazione del Consiglio Comunale di Venezia n. 150 dell’8 novembre 2004 recante ad oggetto “Approvazione del programma di utilizzo a pubblici uffici del compendio immobiliare sito in Mestre via Palazzo 4 e via Torre Belfredo 1A e1C della ditta Cattapan con contestuale adozione di variante al PRG per il Centro Storico di Mestre per la riconferma di previsioni di PRG relativi a vincoli scaduti e l’individuazione di un’area per attrezzature pubbliche, con procedura ex art. 50, quarto comma L.r. n. 61/85, ai sensi dell’art. 19 D.P.R. n. 327/2001. Dichiarazione di pubblica utilità ai sensi dell’art. 13, comma 8 del D.P.R. n. 327/2001, partecipazione al procedimento e decisione sulle osservazioni – artt.11 e 16 D.P.R. n. 327/2001”;

nonché con i motivi aggiunti depositati il 4.8.2006

per l’annullamento della deliberazione del Consiglio Comunale di Venezia n. 74 del 22 maggio 2006 avente ad oggetto “Programma di utilizzo a pubblici uffici del compendio immobiliare sito in Mestre via Palazzo 4 e via Torre Belfredo 1A e1C della ditta Cattapan con contestuale adozione di variante al PRG per il Centro Storico di Mestre per la riconferma di previsioni di PRG relativi a vincoli scaduti e l’individuazione di un’area per attrezzature pubbliche, con procedura ex art. 50, quarto comma L.r. n. 61/85, ai sensi dell’art. 19 D.P.R. n.327/2001. Controdeduzioni alle osservazioni”, nonché di ogni altro atto connesso, in particolare la nota del 27 giugno 2006 prot. n. 261128/2006 contenente comunicazione di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità e proposta di indennizzo.

Visto il ricorso, notificato il 20 gennaio 2005 e depositato presso la Segreteria l’1 febbraio 2005 , con i relativi allegati;

Visti i motivi aggiunti depositati il 4.8.2006;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Venezia, depositato il 25.2.2005;

Viste le memorie prodotte dalle parti;

Visti gli atti tutti di causa;

Uditi nella pubblica udienza del 23 febbraio 2007 - relatore il Consigliere Alessandra Farina - l’avv. Stragliotto, in sostituzione dell’avv. Zen, per il ricorrente e l’avv. M. Maddalena Morino per il Comune di Venezia;

Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

Espone il ricorrente di essere proprietario di un immobile sito in Mestre, Fg.14, mapp. 199 sub 4.10.

Il compendio è situato nel centro storico di Mestre con un fronte su via Palazzo, prospiciente il Municipio cittadino, ed un fronte su via Torre Belfredo.

Sul lato di via Palazzo l’immobile è collocato fra due immobili di proprietà comunale, entrambi sottoposti a vincolo ex L. n. 1089/39, mentre per la parte prospiciente via Torre Belfredo risulta confinante con il complesso denominato “ex Breda”, grande e vetusto complesso composto da un ampio cortile e da fabbricati che confinano con un giardino di proprietà comunale.

Il compendio di proprietà del ricorrente risulta articolato in due locali a piano terreno destinati ad attività commerciale, mentre la restante parte risulta da tempo locata all’amministrazione comunale, che l’ha utilizzata quale sede di propri uffici (fra cui anche quelli della Pretura, successivamente trasferiti), creando anche delle aperture al fine di consentire il passaggio tra la proprietà comunale e quella ottenuta in locazione dal signor Cattapan.

Già a partire dal 1962 lo strumento urbanistico comunale aveva sottoposto l’immobile de quo a vincolo di uso pubblico con destinazione “aree per attrezzature e spazi pubblici e di uso pubblico; attrezzature di interesse comunale”.

In seguito, con l’approvazione della variante al PRG per il centro storico di Mestre, D.G.R. n. 2572/1997, veniva reiterato il vincolo di destinazione pubblica con la denominazione “aree per le attrezzature di interesse comune – uffici pubblici”.

Il vincolo espropriativo così imposto nel 1997 è quindi decaduto per decorrenza del quinquennio nel 2002.

Nel corso del biennio successivo intervenivano contatti fra il ricorrente e l’amministrazione comunale al fine di individuare un’intesa per una locazione dell’intero immobile, contatti che però non giungevano a buon fine.

Pertanto, l’amministrazione comunale ha intrapreso la via dell’espropriazione, dando avvio al relativo procedimento mediante l’approvazione, con la deliberazione C.C. n. 150/2004, del programma di utilizzo a uffici pubblici del compendio immobiliare di proprietà del ricorrente e la contestuale adozione, secondo la procedura del quarto comma dell’art. 50 della L.r. n. 61/85, della variante al PRG per il Centro Storico di Mestre, al fine di riconfermare il vincolo scaduto sulla porzione di immobile già oggetto del precedente vincolo risalente al 1997 ed estenderlo per la prima volta anche sulla porzione di scoperto al piano terra di pertinenza del fabbricato.

Con il ricorso introduttivo del presente giudizio, proposto avverso la deliberazione consiliare n. 150/2004, parte istante ha svolto le seguenti censure:

- Violazione di legge, con riferimento agli artt. 9, comma 4, del D.P.R. n. 327/01 e 3 della L. n. 241/90.

- Eccesso di potere per difetto di motivazione e carenza di istruttoria.

Con la deliberazione impugnata l’amministrazione comunale ha inteso rinnovare il vincolo di destinazione pubblica preordinato all’espropriazione gravante sull’immobile del ricorrente, senza tuttavia fornire alcuna motivazione in ordine alle ragioni sottese alla necessità di disporre la reiterazione del vincolo.

Il provvedimento impugnato, che palesemente non esprime le ragioni di pubblica utilità che hanno determinato la decisione così assunta, risulta illegittimo in quanto l’amministrazione espropriante deve dare contezza delle motivazioni che, a fronte delle ragioni di pubblico interesse, determinano la reiterata compromissione degli interessi del privato, che vede ancora una volta scarificato il proprio diritto di proprietà.

Se, invero, è consentito all’amministrazione procedere alla rinnovazione dei vincoli di destinazione a carattere espropriativo, è altrettanto indiscutibile, sulla base dell’insegnamento dettato dalla Corte Costituzionale con la pronuncia n. 179/1999, che detta scelta debba essere adeguatamente motivata in ordine all’interesse pubblico e sia il risultato di un’esplicita comparazione fra gli interessi pubblici e privati coinvolti.

- Mancanza di un’adeguata comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti; mancanza delle ragioni che giustificano l’attualità dell’interesse pubblico all’esproprio e la compressione del diritto di proprietà del privato.

- Eccesso di potere per illogicità e violazione del principio di economicità e del buon andamento della P.A..

Riprendendo le argomentazioni di cui al motivo precedente, parte istante ribadisce che la reiterazione dei vincoli urbanistici scaduti deve essere sorretta da una congrua e specifica motivazione, la quale confermi la sussistenza attuale di preminenti ragioni di interesse pubblico, comparate con l’interesse privato da sacrificare, idonee a giustificare la rinnovazione del vincolo.

Al contempo deve essere evidenziata l’insussistenza di soluzioni alternative, nonchè le prospettive di realizzabilità, nel quinquennio, dell’opera pubblica.

Nel caso in esame l’amministrazione non ha svolto alcuna valutazione in ordine alla comparazione degli interessi coinvolti, tenuto anche conto del fatto che l’attiguo immobile di proprietà comunale, attualmente in stato di degrado, non viene da tempo utilizzato.

Nessuna indicazione è data nella deliberazione impugnata in ordine all’uso che il Comune intenderà fare dell’immobile oggetto del vincolo, considerato che lo stesso risulta utilizzato solo parzialmente mediante contratto di locazione stipulato con il ricorrente.

Ciò benchè il ricorrente avesse offerto all’amministrazione la possibilità di locare l’intero complesso ad un canone dallo stesso istante definito “agevolato”, che avrebbe consentito al Comune di utilizzare nel migliore dei modi ed in termini certamente più vantaggiosi, sia per il pubblico interesse che per quello privato, il compendio immobiliare di cui si controverte.

Nessun riferimento è invece contenuto nella delibera impugnata in merito alla proposta alternativa avanzata dalla proprietà ed alle ragioni per le quali l’amministrazione non ha ritenuto di aderirvi, da cui i denunciati vizi di manifesta illogicità e violazione del principio di buon andamento ed economicità dell’azione amministrativa.

- Violazione dell’art. 39, comma 1 del D.P.R. n. 327/2001 per mancata previsione dell’indennizzo in seguito alla reiterazione del vincolo urbanistico, del risarcimento del danno e/o del pagamento di un indennizzo per la reiterazione del vincolo espropriativo.

La norma richiamata prevede che in caso di reiterazione di un vincolo espropriativo, debba essere corrisposto al proprietario un indennizzo commisurato all’entità del danno subito, indennizzo destinato a cumularsi con l’eventuale indennità di esproprio.

La deliberazione di adozione della variante non contiene alcuna previsione al riguardo.

- Violazione dell’art. 50, comma 5 della L.r. n. 61/85.

- Eccesso di potere per illogicità della motivazione, apoditticità.

In base al quinto comma dell’art. 50 della legge regionale urbanistica veneta “le varianti parziali di cui al comma 4 non possono interessare le aree circostanti gli edifici vincolati ai sensi dell’art. 1 della Legge 1 giugno 1939 n. 1089, per una fascia inferiore a metri lineari 200 dai confini dell’edificio delle sue pertinenze ed eventuali aree a parco”.

Nel caso di specie, l’immobile del ricorrente, pur non essendo soggetto al vincolo ex L. n. 1089/39, si trova entro la fascia dei 200 metri lineari dai due edifici comunali vincolati (Palazzo della Provvederia ed altro palazzetto situato all’anagrafico 10 di via Palazzo).

Tuttavia, nella deliberazione impugnata, pur dandosi atto di tale vicinanza, si è ritenuta non rilevante tale circostanza, in considerazione del fatto che la variante adottata non avrebbe comportato interventi influenti sullo stato dei luoghi.

Parte istante non ritiene che le considerazioni che hanno indotto l’amministrazione a procedere ugualmente all’adozione della variante ai sensi del 4 comma dell’art. 50 della L.r. n. 61/85, siano idonee a superare il divieto stabilito al successivo quinto comma, la cui previsione risulta quindi illegittimamente raggirata da parte del Comune.

- Violazione di legge con riferimento all’art. 9, comma 1 del D.P.R. n. 327/2001.

Il vincolo preordinato all’esproprio non può essere apposto e divenire efficace con la mera adozione della variante urbanistica, ma presuppone l’approvazione della stessa da parte dell’organo competente.

Nel caso in esame il Comune di Venezia ha utilizzato lo strumento dell’adozione della variante per imporre la reiterazione del vincolo, senza attendere la successiva approvazione della stessa.

Successivamente alla proposizione del ricorso avverso la delibera di adozione della variante urbanistica, in data 22 maggio 2006 il Consiglio Comunale ha provveduto ad approvare, con deliberazione n. 74, il programma di utilizzo a fini pubblici del compendio immobiliare del ricorrente e contestualmente la variante relativa alla reiterazione del vincolo espropriativo.

In data 30 giugno 2006 è stata quindi trasmessa al ricorrente la comunicazione con la quale è stata dichiarata l’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, contenente anche la proposta di indennizzo.

Entrambi tali atti sono stati oggetto dei motivi aggiunti depositati in data…., con i quali sono state svolte le seguenti censure:

- Violazione di legge con riferimento all’art. 39 del D.P.R. n. 327/2001 per mancata previsione dell’indennizzo per effetto della reiterazione del vincolo urbanistica.

- Illegittimità per mancata previsione di copertura finanziaria.

- Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà.

Ribadendo quanto già esposto nel ricorso introduttivo, parte istante rileva che anche in occasione della deliberazione di approvazione della variante urbanistica non è stata prevista alcuna quantificazione dell’indennità correlata alla reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio.

Né può essere ritenuto sufficiente ed idoneo a tal fine il mero rinvio all’impegno contabile contenuto nella determina n. 3405 del 31.12.2004, in quanto in tale occasione è stato unicamente previsto l’impegno di spesa per consentire la liquidazione dell’indennità di esproprio e di altre spese accessorie, mentre nessuna previsione risulta effettuata in ordine alla liquidazione dell’indennità prevista dall’art. 39 ed ai criteri per la sua determinazione.

Ulteriore profilo dell’illegittimità dell’operato dell’amministrazione viene rilevato con riguardo alle controdeduzioni alla delibera n. 74/2006, nelle quali viene osservato che la mancata previsione nella precedente delibera di adozione, n. 150/2004, dell’indennizzo ex art. 39 del D.P.R. n. 327/01, risulta giustificata dal fatto che gli interventi sono stati previsti in immediata attuazione, ossia senza intervallo temporale tra il momento dell’imposizione del vincolo e la realizzazione delle opere.

L’illegittimità dell’operato dell’amministrazione risulta confermato dal fatto che, in realtà, sono trascorsi più di due anni dal momento in cui è stata adottata la variante a quello in cui la stessa è stata approvata, con evidente inesistenza della pretesa immediatezza degli interventi previsti.

Viene infine ulteriormente rilevata l’illogicità e la contraddittorietà della precisazione contenuta nella deliberazione consiliare impugnata, ove si dice testualmente che “non si ritiene di liquidare l’indennizzo…..in quanto la DCC n. 150/2004 prevede l’immediata attuazione delle opere, tale indennizzo verrà comunque corrisposto qualora dovuto”.

La norma di cui all’art. 39 non prevede interpretazioni equivoche, imponendo in ogni caso di reiterazione del vincolo la corresponsione dell’indennizzo, in aggiunta all’eventuale pagamento dell’indennità di esproprio, da cui l’illegittimità della deliberazione impugnata per violazione della norma invocata.

- Violazione di legge, con riferimento agli artt. 9, comma 4, del D.P.R. n. 327/01 e 3 della L. n. 241/90.

- Eccesso di potere per difetto di motivazione e carenza di istruttoria.

- Violazione dell’art. 50, comma 5 della L.r. n. 61/85.

- Eccesso di potere per illogicità della motivazione, apoditticità.

- Mancanza di un’adeguata comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti; mancanza delle ragioni che giustificano l’attualità dell’interesse pubblico all’esproprio e la compressione del diritto di proprietà del privato.

- Eccesso di potere per illogicità e violazione del principio di economicità e del buon andamento della P.A..

Vengono formulati avverso la delibera di approvazione della variante gli stessi motivi già svolti con il ricorso introduttivo avverso la deliberazione di adozione.

- Eccesso di potere per illogicità dell’operato della P.A.

- Eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di motivazione e carenza di istruttoria.

Parte istante rileva ancora una volta come il tempo trascorso tra la delibera di adozione della variante e quella di approvazione denoti i forti contrasti che hanno caratterizzato le decisioni assunte dall’amministrazione.

Contestualmente alla richiesta di annullamento dei provvedimenti impugnati, parte istante chiede il riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni patiti per effetto degli atti illegittimamente assunti dal Comune intimato.

Il Comune di Venezia si è costituito in giudizio, rilevando con riguardo ai profili evidenziati in ricorso ed in sede di motivi aggiunti, la legittimità delle deliberazioni impugnate, concludendo per la reiezione del ricorso.

La difesa comunale rileva, in particolare, come nelle deliberazioni impugnate siano state adeguatamente evidenziate le ragioni che hanno determinato la scelta di procedere all’acquisizione del complesso immobiliare del ricorrente, non essendo più possibile né conveniente per l’amministrazione procedere ancora mediante la locazione di parte degli immobili in oggetto.

Quanto alle ulteriori doglianze sollevate in ricorso, la difesa resistente ribadisce che la mancata previsione dell’indennizzo ex art. 39 del D.P.R. n. 327/01 è dovuta alla immediata attuazione dell’esproprio secondo il piano di utilizzo contestualmente approvato.

Poiché la reiterazione del vincolo è intervenuta in occasione dell’approvazione della variante ed è stata immediatamente accompagnata dall’avvio dell’esproprio, non sussisteva alcun danno da risarcire ex art. 39.

In ogni caso, nessun danno sussiste in quanto, per tutto il tempo in cui l’immobile è stato vincolato ad uffici pubblici, l’amministrazione ha corrisposto al ricorrente un adeguato canone di locazione, che quindi ha garantito la redditività dello stesso.

Successivamente alla proposizione dei motivi aggiunti, l’amministrazione ha notificato in data 28.10.2006 al ricorrente il decreto di espropriazione n. 19 del 23.10.2006 ed il successivo 14 novembre 2006 è stata data esecuzione al decreto stesso mediante l’immissione nel possesso degli immobili espropriati.

A sua volta il ricorrente, pur dichiarando di non prestare acquiescenza al procedimento espropriativo del complesso immobiliare di proprietà e ribadendo l’illegittimità degli atti che lo hanno preceduto, la quale si riflette in via derivata su quelli successivamente assunti dal Comune, ha comunicato all’amministrazione l’adesione al procedimento arbitrale di cui all’art. 21 del D.P.R. n. 327/01 ai fini della determinazione definitiva dell’indennità di espropriazione.

All’udienza del 23 febbraio 2007 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

DIRITTO

Con il ricorso in oggetto e per i motivi in esso dedotti, viene censurata la legittimità delle deliberazioni di adozione (n. 150/2004) e di approvazione (n.76/2006) della variante parziale al P.R.G. per il Centro Storico di Mestre, assunte dal Consiglio Comunale di Venezia ai sensi dell’art. 50, comma 4 della L.r. n. 61/85, contestualmente all’approvazione del programma di utilizzo a fini pubblici del compendio immobiliare di proprietà dell’odierno ricorrente, sig. Cattapan.

Con le suddette deliberazioni l’amministrazione comunale ha provveduto a reiterare il vincolo di destinazione pubblica, già precedentemente impresso al complesso immobiliare di proprietà del ricorrente e successivamente decaduto per decorrenza del quinquennio previsto dalla L. n. 1187/68, in ragione della prevista attuazione del programma di utilizzo del complesso immobiliare de quo quale sede degli uffici comunali.

Sin dall’origine i due immobili facenti capo al ricorrente sono stati assoggettati a vincolo di destinazione pubblica ed utilizzati dal Comune per effetto di contratti di locazione stipulati con la proprietà.

Con le delibere qui censurate l’amministrazione, ritenuta la non ulteriore percorribilità dell’utilizzo dei beni mediante locazione, ha ritenuto, previa reiterazione del vincolo di destinazione urbanistica, di procedere alla loro acquisizione mediante avvio della procedura espropriativa.

Con un primo gruppo di doglianze parte ricorrente denuncia l’illegittimità delle deliberazioni assunte dall’amministrazione comunale sotto il profilo del difetto di motivazione, in quanto in esse non sarebbero state esplicitate le ragioni di interesse pubblico sottese alla decisione di reiterare il vincolo espropriativo, né sarebbe stata operata alcuna comparazione tra l’interesse pubblico e quello privato, quest’ultimo ulteriormente sacrificato.

Né sarebbe stata data adeguata rilevanza alle proposte alternative formulate dalla proprietà, la quale ha offerto la disponibilità dell’utilizzo degli immobili mediante un contratto di locazione a canone “agevolato”, certamente più vantaggioso in termini economici per l’amministrazione.

Lamenta altresì parte ricorrente che entrambe le delibere impugnate, sia quella di adozione della variante che quella successiva di approvazione, non contengono alcuna previsione in ordine alla corresponsione a favore della proprietà dell’indennizzo previsto ai sensi dell’art. 39 del D.P.R. n. 327/2001 in caso di reiterazione dei vincoli espropriativi.

Da ciò l’ulteriore profilo di illegittimità degli atti impugnati per palese violazione della norma invocata, la quale statuisce che in caso di reiterazione di un vincolo espropriativo debba essere corrisposto al proprietario un indennizzo commisurato all’entità del danno subito, indennizzo che è destinato a cumularsi con l’eventuale e successiva indennità di esproprio.

Osserva il Collegio che il problema dell’ammissibilità della reiterazione dei vincoli urbanistici a carattere espropriativo è stato, come noto, espressamente affrontato e risolto dalla Corte Costituzionale in occasione della sentenza 20 maggio 1999 n. 179, cui ha fatto seguito anche la pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, n. 24/1999, la quale ha a sua volta affermato in ordine a tale questione analoghi principi.

Con la richiamata sentenza la Corte ha ritenuto la legittimità, sotto il profilo costituzionale, della reiterazione in via amministrativa dei vincoli preordinati all’espropriazione o comunque aventi carattere sostanzialmente espropriativo, in quanto ammissibili laddove supportati da una valutazione procedimentale (con adeguata motivazione) operata dall’amministrazione preposta alla gestione del territorio.

I medesimi vincoli assumono, invece, carattere patologico “…quando vi sia una indefinita reiterazione o una proroga sine die o all’infinito (attraverso la reiterazione di proroghe a tempo determinato che si ripetano aggiungendosi le une alle altre) o quando il limite temporale sia indeterminato, cioè non sia certo, preciso e sicuro e, quindi, anche non contenuto in termini di ragionevolezza…Ciò ovviamente in assenza di previsione alternativa dell’indennizzo….e fermo, beninteso, che l’obbligo dell’indennizzo opera una volta superato il periodo di durata (tollerabile) fissato dalla legge (periodo di franchigia)” (così espressamente C.Cost. n. 179/99).

E’ quindi possibile per l’amministrazione reiterare il vincolo espropriativo decaduto per decorrenza del termine fissato dalla legge, purchè la decisione sia “…corredata da un’adeguata e specifica motivazione sull’attualità della previsione, con nuova ed adeguata comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti e con giustificazione delle scelte urbanistiche di piano, tanto più dettagliata e concreta quante più volte viene ripetuta la reiterazione del vincolo” (idem cit.).

Premesso quanto sopra, è stato altresì ritenuto che, ciò non di meno, una volta imposto nuovamente il vincolo espropriativo sulla base di un’adeguata motivazione che tenga conto sia delle scelte urbanistiche che degli interessi privati coinvolti ed ulteriormente sacrificati, si configuri la necessità di prevedere la corresponsione di un indennizzo correlato proprio al reiterato sacrificio imposto alla proprietà privata.

“Infatti, per i vincoli derivanti da pianificazione urbanistica…l’obbligo specifico di un indennizzo deve sorgere una volta superato il primo periodo di ordinaria durata temporanea (a sua volta preceduto da un periodo di regime di salvaguardia) del vincolo,….quale determinata dal Legislatore, entro limiti non irragionevoli, come indice della normale sopportabilità del peso gravante in modo particolare sul singolo, qualora non sia intervenuta l’espropriazione ovvero non siano stati approvati i piani attuativi”.

Si è quindi concluso che, una volta oltrepassato il periodo di durata temporanea, ritenuto quale periodo di franchigia esentato dalla corresponsione di alcun indennizzo, laddove permanga per effetto della reiterazione il vincolo urbanistico, la sua imposizione non possa essere dissociata dalla previsione di un indennizzo.

Alla luce dei principi così individuati è possibile per il Collegio procedere nella valutazione dell’operato dell’amministrazione intimata.

Il vincolo imposto sui beni di proprietà del ricorrente risale nel tempo, a partire dal 1962, è stato nuovamente imposto con la variante al P.R.G. del 1997 ed è decaduto nel 2002 per decorrenza del quinquennio previsto dall’art. 2 della L. n. 1187/68.

Siamo quindi in presenza di un’ipotesi in cui, secondo i principi testè richiamati, la più volte reiterata imposizione del vincolo di destinazione urbanistica, preordinato alla futura espropriazione, imponeva una adeguata motivazione in ordine alle ragioni per le quali veniva nuovamente imposto il vincolo, previa comparazione tra l’interesse pubblico sotteso a tale decisione e quello privato ulteriormente sacrificato.

Ritiene il Collegio che sotto tale profilo le deliberazioni impugnate non siano affette dai vizi denunciati.

Come, infatti, è dato desumere dalla deliberazione di approvazione della variante, nella quale l’amministrazione ha controdedotto alle osservazioni presentate dal ricorrente (ove veniva espressamente rilevato il difetto di motivazione delle scelte operate dal Comune sia in merito alla destinazione d’uso dell’immobile sia in ordine all’interruzione delle trattative per la locazione dell’intero stabile), sono state esplicitate le ragioni sottese alla decisione assunta dal Comune di reiterare il vincolo di destinazione gravante sull’immobile, al fine di procedere all’acquisizione della proprietà dello stesso mediante procedura espropriativa.

In tale occasione è stata infatti evidenziata la particolare posizione degli immobili in oggetto, i quali sono contigui ad altri edifici di proprietà comunale e da tempo, proprio per tale collocazione, sono stati utilizzati dall’amministrazione quale sede dei propri uffici mediante la stipulazione di contratti di locazione.

Ritenuta la necessità e l’opportunità di proseguire nell’utilizzazione di tali immobili quali sede degli uffici comunali e rilevata l’impossibilità di mantenere il rapporto di locazione e di addivenire con la proprietà ad una cessione bonaria degli stessi, il Comune, attesa anche la convenienza economica dell’operazione, supportata dalla previsione del relativo finanziamento, ha ritenuto di procedere all’acquisizione forzata degli stessi mediante espropriazione.

Non pare dunque si possa rilevare, a fronte delle ragioni così addotte, un difetto di motivazione in ordine all’interesse pubblico sotteso alla decisione di acquisire in proprietà gli immobili in oggetto, puntualmente individuato nell’interesse a continuare l’utilizzo dei beni immobili ritenuti idonei a tale scopo, anche in ragione della loro contiguità con altri edifici utilizzati dal Comune, nonché in relazione alla convenienza economica dell’operazione di acquisizione in proprietà in rapporto all’alternativa consistente nella prosecuzione del contratto di locazione degli stessi.

Esclusa quindi, alla luce dei tentativi infruttuosi di un accordo con la proprietà, l’eventualità di riaprire le trattative per la cessione dell’immobile a titolo di compravendita ed esclusa la prosecuzione dell’ipotesi locatizia per motivi di convenienza economica e di utilità funzionale, l’amministrazione ha quindi ritenuto di procedere alla rinnovazione del vincolo preordinato all’espropriazione.

Ne deriva l’insussistenza del denunciato vizio di motivazione in ordine sia alle ragioni relative alla reiterazione del vincolo di destinazione urbanistica sia a quelle sottese alla decisione di non proseguire nell’utilizzo degli immobili mediante locazione, ma di procedere all’acquisizione, benché forzata, degli stessi.

La censura va quindi respinta.

Parte istante lamenta altresì il vizio di violazione di legge, con specifico riguardo alla disposizione contenuta nell’art. 39 del D.P.R. n. 327/2001, la quale statuisce che in caso di reiterazione dei vincoli preordinati all’espropriazione debba essere prevista la corresponsione a favore della proprietà ulteriormente sacrificata di un indennizzo, cumulabile con la successiva eventuale corresponsione dell’indennità dovuta per effetto dell’avvenuta espropriazione.

Ritiene il Collegio che la doglianza sia dotata di fondamento, in quanto né in occasione della deliberazione di adozione della variante né in quella successiva di approvazione è stata prevista la corresponsione di tale specifica indennità.

Invero, come sottolineato da parte ricorrente ed altresì rilevato dalla stessa Avvocatura Comunale nella nota 13.6.2006, al riguardo trasmessa all’amministrazione in occasione dell’adozione della variante, nessun riferimento è stato operato in ordine alla previsione di corrispondere alla proprietà la suddetta indennità.

Analoga conclusione è dato trarre andando ad esaminare quanto previsto al riguardo nella deliberazione C.C. n. 74/2006 di approvazione della variante, in quanto in sede di controdeduzioni alle osservazioni presentate dal ricorrente è stato precisato che “Non si ritiene di liquidare l’indennizzo per la reiterazione del vincolo espropriativo in quanto la D.C.C. n. 150/2004 prevede l’immediata attuazione delle opere; tale indennizzo verrà corrisposto qualora dovuto”, determinazione poi confermata al punto 4 del dispositivo della medesima delibera, ove viene stabilito che “…all’eventuale indennizzo per la reiterazione de vincolo preordinato all’esproprio, se dovuto ai sensi dell’art. 39 del D.P.R. n. 327/2001, si farà fronte con i fondi già impegnati con determina n. 3405 del 31/12/2004 per l’indennità di esproprio, indennità aggiuntive e spese correlate per l’attuazione del programma di cui alla delibera di C.C. n. 150/2004.”

Come osservato dalla Corte Costituzionale nella sentenza già più volte richiamata, la previsione di un indennizzo, destinato a ristorare il sacrificio imposto al privato per effetto della reiterazione del vincolo successivamente al decorso del termine cd. di “franchigia”, è giustificata in ragione del reiterato sacrificio imposto al privato che, proprio in quanto l’amministrazione non si è attivata utilmente nell’arco del quinquennio stabilito dal Legislatore dando corso alle procedure espropriative o all’approvazione di piani attuativi, ha visto ancora una volta compresso il diritto di libero godimento e disposizione del bene.

A tale riguardo la Corte ha quindi concluso che, se può essere tollerata una nuova e reiterata limitazione della proprietà privata a fronte di motivate ed adeguatamente esplicitate ragioni di pubblico interesse, ciò non di meno sorge in capo all’amministrazione l’obbligo di previsione della corresponsione della suddetta indennità.

Se, quindi, il potere della Pubblica Amministrazione di programmazione urbanistica e di realizzazione dei progetti relativi alle esigenze generali non può consumarsi con il mero decorso del termine di durata del vincolo urbanistico, ove persistano o comunque sopravvengano nuove esigenze di interesse pubblico, nei suddetti casi è tuttavia necessario, pena la violazione della norma costituzionale di cui all’art. 42, comma 3, che venga prevista la corresponsione di un indennizzo.

Nel caso in esame tale previsione non è stata contemplata in nessuna delle due deliberazioni impugnate.

Invero, nulla risulta previsto nella delibera di adozione della variante e nulla risulta stabilito in proposito in quella di successiva approvazione.

Nella delibera consiliare n. 74/2006, infatti, non si provvede in tal senso: in realtà, ci si limita ad affermare che la mancata previsione di tale indennizzo nella deliberazione n. 150/2004 di adozione della variante è stata giustificata dall’immediatezza dell’attivazione delle procedure espropriative, quando invece tali procedure hanno atteso circa due anni per essere attivate a seguito dell’intervenuta approvazione della variante.

Ma, soprattutto, si rileva nella delibera di approvazione della variante la mancanza ogni determinazione in ordine all’an debeatur della suddetta indennità.

Invero, sebbene la norma invocata non richieda che in occasione dell’assunzione degli atti che comportano la reiterazione del vincolo venga indicato l’ammontare di tale indennità, essendo possibile la sua successiva liquidazione a seguito di specifica richiesta da parte del soggetto interessato, è tuttavia indiscutibile che in tale occasione debba comunque essere prevista tale corresponsione.

Ciò che rileva, quindi, è la previsione della sua corresponsione (l’an debeatur) in ragione della disposta reiterazione del vincolo scaduto senza che l’amministrazione si sia debitamente attivata, mediante le procedure espropriative o l’adozione di strumenti urbanistici attuativi parimenti finalizzati all’espropriazione, entro il termine di franchigia previsto dalla legge.

Poiché è pacifico che detta previsione manca nella delibera di adozione della variante e che in sede di approvazione la corresponsione di tale indennità non è stata prevista, essendo stata configurata solo quale mera eventualità, ne deriva l’illegittimità sotto tale profilo delle deliberazioni impugnate per violazione del disposto di cui al richiamato art. 39 del D.P.R. n. 327/2001.

Né può superare il vizio denunciato la futura corresponsione dell’indennità di espropriazione, così come sostenuto dalla difesa resistente, in quanto è la stessa disposizione di legge che distingue fra le due indennità proprio in ragione della diversa finalità sottesa alla loro corresponsione, ammettendo che la corresponsione dell’una possa cumularsi con l’attribuzione dell’altra.

Il motivo è quindi fondato e va accolto.

Parimenti fondata è anche la denunciata violazione della norma contenuta nella legge regionale urbanistica n. 61/85, art. 50, comma 5.

L’art. 50 della legge regionale disciplina, infatti, al quarto comma le ipotesi di varianti parziali al piano regolatore adottate ed approvate dal Comune secondo la procedura ivi indicata, fra le quali è compresa, alla lettera e), quella che comporta la riconferma delle previsioni di piano relative a vincoli scaduti ai sensi dell’art. 2 della legge n. 1187/68.

Il successivo quinto comma tuttavia esclude tassativamente che le varianti parziali di cui al quarto comma possano “…interessare le aree circostanti gli edifici vincolati ai sensi dell’art. 1 della legge 1 giugno 1939, n. 1089, per una fascia non inferiore a metri lineari 200 dai confini dell’edificio, delle sue pertinenze ed eventuali aree a parco”.

Nel caso di specie detta previsione risulta palesemente violata, in quanto la variante de qua interessa proprio un compendio immobiliare posto entro il limite indicato dalla norma rispetto a due edifici comunali vincolati ai sensi della L. n. 1089/39 (Palazzo della Provvederia sito sul mappale n. 200 e l’attiguo palazzetto sito sul mappale n. 201).

Chiara è la ratio della norma regionale, che impone di osservare la procedura ordinaria nelle ipotesi in cui la variante allo strumento urbanistico interessi edifici posti nelle immediate vicinanze di immobili tutelati sotto il profilo storico artistico.

Né può valere l’osservazione svolta dalla difesa comunale in ordine alla non rilevanza degli interventi previsti per gli immobili confinanti con quelli tutelati, atteso che la norma non prevede alcuna ipotesi derogatoria, ma soprattutto in considerazione della finalità di tale disposizione che evidentemente ritiene di assicurare, mediante il procedimento ordinario di adozione-approvazione della variante parziale, una adeguata ponderazione, non limitata alle sole valutazioni dell’amministrazione comunale interessata, degli interessi tutelati anche da parte dell’organo regionale.

In conclusione, attesa, per le ragioni sin qui esposte, la fondatezza delle censure sollevate avverso i provvedimenti impugnati, assorbite le ulteriori censure, il ricorso, nonché i motivi aggiunti successivamente depositati, vanno accolti con conseguente annullamento delle deliberazioni impugnate.

Quanto, infine, alla richiesta di risarcimento dei danni subiti dal ricorrente per effetto degli atti impugnati, il Collegio non ritiene di poter accogliere tale richiesta.

Gli immobili in oggetto, invero, sono stati oggetto di contratti di locazione stipulati tra il ricorrente e l’amministrazione comunale, contratti che si sono succeduti per anni, così come attestato dalla documentazione depositata in giudizio dalla difesa resistente.

Ne deriva che, nonostante il vincolo impresso sui beni di proprietà, questi non sono rimasti improduttivi di reddito.

Peraltro è lo stesso ricorrente ad aver sempre tentato di mantenere in atto il rapporto di locazione dei beni con l’amministrazione comunale, anche se evidentemente auspicando un profitto maggiore (il canone cd. “agevolato” cui si fa riferimento in ricorso), chiaramente non ritenuto conveniente dal Comune.

In ogni caso, poichè, come documentato in atti, l’amministrazione ha sempre provveduto a corrispondere, vigenti i relativi contratti di locazione, il canone pattuito ed ha successivamente corrisposto al ricorrente la somma relativa al periodo in cui i beni sono stati comunque occupati dagli uffici comunali (cfr. doc. n. 8 del Comune), ne deriva l’insussistenza dei presupposti per riconoscere al ricorrente il diritto al risarcimento del danno.

La statuizione in ordine alle spese di giudizio segue la regola della soccombenza, così come indicato in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Seconda Sezione, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in premessa, nonché sui motivi aggiunti successivamente depositati, li accoglie, fatta eccezione per quanto riguarda la richiesta di risarcimento del danno, e per l’effetto annulla provvedimenti impugnati.

Condanna la parte resistente al pagamento delle spese di giudizio, liquidandole in complessivi € 4000,00 (quattromila/00 Euro), di cui per metà compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia, in Camera di Consiglio il 23 febbraio 2007.

Il Presidente L’Estensore

Il Segretario


SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il……………..…n.………

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Direttore della Seconda Sezione

Ultimo aggiornamento ( martedì 19 giugno 2007 )
 
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