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DANNO ERARIALE E APPALTI PUBBLICI PDF Stampa E-mail
venerdì 13 luglio 2007
CORTE DEI CONTI, SEZ. GIUR. VENETO, sentenza 26 giugno 2007 n. 637

(interessante pronuncia della Corte Veneziana in materia di responsabilità erariale e applicazione della normativa sugli appalti pubblici, in particolare sullo spettro applicativo dell'art. 17 legge Merloni)


Responsabilità amministrativa – applicazione di normativa non più vigente – ma comportante un risparmio per il bilancio dell’Ente – illecito erariale non sussiste.

In tema di responsabilità amministrativa, l’applicazione di una normativa non più in vigore ma che comporta un risparmio per il bilancio dell’Ente non configura un danno erariale.

Responsabilità amministrativa – conferimento di incarico di direttore dei lavori a soggetto esterno all’Ente – impossibilità del personale in organico di farvi fronte per l’assolvimento contestuale di compiti d’istituto – sussistenza dei “validi motivi” richiesti dall’art. 17, comma 4, della legge n. 109/1994 (come ora sostituito dall’art. 90, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006) – legittimità.

Deve reputarsi legittimo, da un punto di vista amministrativo-contabile, l’affidamento di un incarico di direttore dei lavori ad un professionista esterno, in caso di impossibilità da parte dell’Ente di provvedervi con risorse interne per il contestuale assolvimento dei compiti d’istituto, rientrando tale fattispecie in una di quelle ipotesi che, ai sensi dell’art. 17, comma 4, della legge n. 109/1994 (come ora sostituito dall’art. 90, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006), legittimano il ricorso all’incarico esterno.






REPUBBLICA ITALIANA N. 637/07
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER IL VENETO
composta dai seguenti magistrati:
dotto Sergio Zambardi Presidente
dotto Stefania Fusaro Primo Referendario
dotto Luisa de Petris Referendario relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA

nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 24647 del registro di segreteria, promosso dalla Procura Regionale della Corte dei Conti per il Veneto nei confronti di:

--------------------------- elettivamente domiciliato in Mestre, via Cavallotti 22, presso lo studio dell’Avv. Franco Zambelli che unitamente all’Avv. Stefano Bigolaro, lo rappresenta e difende come da mandato a margine della memoria difensiva;

---------------------- elettivamente domiciliato in Mestre, via Cavallotti 22, presso lo studio dell’Avv. Andrea Cervesato che unitamente all’Avv. Cristiana Benetazzo, lo rappresenta e difende come da mandato a margine della memoria difensiva;

Visto l’atto di citazione dell’11 ottobre 2006, depositato in data 12 ottobre 2006 presso la segreteria di questa Sezione Giurisdizionale;

Esaminati gli atti ed i documenti di causa;

Uditi nella pubblica udienza del 21 febbraio 2007 il magistrato relatore, referendario dott. Luisa de Pretis, il Pubblico Ministero nella persona del Vice Procuratore Generale dottor Alberto Mingarelli, l’Avv. Stefano Bigolaro per il convenuto --------------------- nonché l’Avv. Cristiana Benetazzo per il convenuto -----------------------.

FATTO

Con atto di citazione depositato presso la segreteria di questa Sezione in data 12 ottobre 2006; ritua1mente notificato, la Procura Regionale conveniva in giudizio ----------------------, dipendenti del Comune di Spinea, per sentirli condannare in favore dell’Amministrazione Comunale, il primo – in via esclusiva – al risarcimento di un danno di € 5.124,54, ed entrambi – nella misura del 90% il ---------------- e del restante 10% il ----------------- – al risarcimento di un ulteriore danno di € 23.324,78 oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT, interessi legali e spese di giudizio.

Dagli atti risultava che la Provincia di ----------- ed il Comune di -------------avevano sottoscritto in data 12 novembre 1998, un protocollo d’intesa avente ad oggetto una serie di interventi di adeguamento e riqualificazione della strada provinciale “32 Miranese”, sulla base di uno studio preliminare di fattibilità redatto dal Comune. Il protocollo prevedeva che la Provincia di ------------------ si sarebbe fatta carico della progettazione ed esecuzione dell’opera per un importo pari ad un miliardo di lire, mentre il Comune avrebbe provveduto alla direzione ed esecuzione dei lavori nonché agli espropri necessari, per un importo di duecentomilioni di lire. Il costo preventivo dell’opera veniva, quindi, stimato in complessivi 1 miliardo e duecentomilioni di lire.

In data 11 giugno 2001 le due Amministrazioni sottoscrivevano un Accordo di programma che, a parziale modifica di quanto previsto nel protocollo d’intesa, prevedeva che la progettazione dell’opera potesse essere eseguita (art. 5) (oltre che dalla Provincia) anche da altri Enti, mentre permaneva a carico del Comune, la competenza in ordine all’esecuzione e direzione dei lavori, nonché alle procedure di esproprio.

A seguito delle intese raggiunte tra i due Enti, con determina del Segretario Comunale n. 927 del 31 dicembre 1999, veniva incaricato -------------------- dirigente dell’Ufficio Tecnico de1 Comune-di --------------------- “quale coordinatore unico per la realizzazione del progetto esecutivo” relativo all’intervento di riqualificazione della strada provinciale Miranese. Detto progetto, approvato dal Comune nel febbraio 2000, veniva trasmesso alla Provincia di -------------------per l’approvazione finale e da questa rielaborato mediante modifiche.

Nel frattempo, stante la dichiarata impossibilità dell’Ufficio Tecnico Comunale di provvedere direttamente alla direzione dei lavori, l’amministrazione comunale decideva – con determina n. 574 del 4 giugno 2001 a firma dello stesso dirigente dell’U.T.C., ing. ---------------, di affidare ad un professionista esterno, il geometra ------------------, l’incarico di direzione dei lavori per un importo complessivo stimato di € 13.907,15.

Secondo la Procura erariale – che si avvaleva di un consulente tecnico (dott. -----------------) per l’accertamento dei fatti – dalle predette determine dirigenziali era derivato un duplice danno per il bilancio comunale.

Assumeva il Requirente che una prima posta di danno – pari ad € 5.124,54 – doveva ascriversi alla citata determina del Segretario comunale n. 927/99 di affidamento dell’incarico di progettazione esecutiva all’ing------------- nonchè alla conseguente determina n. 583 del 5 giugno 2002, a firma dello stesso --------------, di liquidazione a se medesimo e ai suoi collaboratori, dei compensi per le prestazioni eseguite.

In particolare, deduceva il Requirente l’illegittimità della prima determina perchè adottata in asserita violazione del protocollo d’intesa siglato tra le due amministrazioni, secondo cui la progettazione esecutiva dell’opera spettava alla Provincia e non al Comune. Riteneva, inoltre, la Procura che la seconda determina era stata adottata in violazione dei principi posti dall’art.18 della legge 109/94, in materia di incentivi e spese per la progettazione, non avendo il Comune mai adottato il previsto regolamento attuativo della citata norma di legge.

Più precisamente, il danno di € 5.124,54 veniva così quantificato dal Consulente tecnico della Procura, quale differenza tra la somma di € 8.199,26 pagata in concreto dal Comune ai propri dipendenti, e quella di € 3.074,72 che sarebbe stata, invece, corrisposta ove fossero state applicate le citate disposizioni della legge Merloni. Tale voce di danno veniva inizialmente imputata dal Requirente, sia al segretario comunale, ----------------------, che al capo dell’U.T.C., -----------------------, quali autori dei rispettivi atti ritenuti causativi del danno.

La seconda e più cospicua posta di danno – pari ad € 23.324,78 – era invece, scaturita, secondo l’assunto accusatorio, dalla determina dirigenziale n. 574 del 4 giugno 2001, sempre a firma dell’ing. -----------------, con cui era stata affidata la direzione dei lavori al professionista esterno, geometra -----------------, senza che ne ricorresse in concreto la necessità ed in asserita violazione dei presupposti di legge. In particolare, detto secondo danno, derivava dalla differenza tra la somma di euro 25.704,78, in concreto corrisposta al -----------------------------, e quella di euro 2.380,00 che -secondo il consulente della Procura-, sarebbe stata, invece, pagata ove la direzione dei lavori fosse stata affidata, con incarico interno all’ U.T.C., secondo i criteri di cui all’art.18 della legge Merloni.

La responsabilità per il danno in questione, veniva ascritta dal Requirente, oltre che all’ing. Raniolo, autore della determina di affidamento dell’incarico esterno, anche al Responsabile del Servizio Lavori Pubblici, geometra -----------------, nella sua specifica qualità di Responsabile del procedimento amministrativo. A questi veniva addebitato di aver fornito indicazioni sommarie e generiche nella proposta-parere allegata alla contestata determina, circa l’asserita impossibilità dell’ufficio tecnico comunale di provvedere alla direzione dei lavori che avrebbe comportato 1a necessità di una presenza costante in cantiere, così impedendo all’U.T.C. l’espletamento dei compiti istituzionali.

Ravvisando gli estremi della responsabilità amministrativa, la Procura Regionale di questa Corte, notificava atto di invito a dedurre oltre che agli odierni convenuti, anche al segretario comunale, ----------------, quale autore della determina 927/1999, asseritamente causativa della prima posta di danno, nonché alla responsabile della Ragioneria, -------------------------------------------------, per il corrispettivo corrisposto al professionista esterno che, dai mandati di pagamento, risultava essere – in un primo tempo – superiore alla somma stanziata con la delibera 574/2001 di affidamento dell’incarico.

Tutti gli invitati chiedevano ed ottenevano di essere sentiti, facendo pervenire alcuni di essi, controdeduzioni scritte.

A seguito delle audizioni personali degli invitati, venivano stralciate le posizioni sia de1 segretario comunale, -------------, non ravvisando più la Procura il nesso di causalità tra la determina 927/1999 dal medesimo adottata e la causazione del primo danno, che della responsabile della Ragioneria, Cisiola Marina, per essere emerso, in un secondo momento, che i maggiori pagamenti a favore del tecnico esterno erano dovuti ad incarichi extra, al medesimo affidati e ritualmente espletati.

La Procura erariale conveniva in giudizio, quindi, l’ing. -------------- quale Responsabile, in via esclusiva, della prima posta di danno nonchè del 90% della seconda posta di danno, ed il geometra ---------------- quale responsabile nella misura del 10%, della seconda posta di danno, ritenendo permanere a carico degli stessi, gli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa.

Ravvisava l’Organo requirente nella condotta del -------------- se non l’elemento del dolo per le illegittimità evidenti e grossolane in cui era incorso con la determina n. 583 del 5 giugno 2002, ritenuta atto decisivo nella causazione del primo danno, sicuramente quello della colpa gravissima per l’assenza di ogni professionalità, anche con riguardo alla determina 574/2001, causativa della seconda e più ingente posta di danno.

Con memoria depositata in data 1^ febbraio 2007, si costituiva con il patrocinio degli Avv.ti Franco Zambelli e Stefano Bigolaro, l’ingegnere ----------------, preliminarmente eccependo l’incompatibilità del consulente tecnico nominato dalla Procura, dott. ------------------, per l’accertamento dei fatti. Esponeva, in proposito, che la ----------------- era stata dipendente del Comune di Spinea all’interno dell’U.T.C. e, che, dopo i numerosi dissapori intercorsi con esso convenuto, capo dell’U.T.C., la stessa si era trasferita presso altro Ente. Chiedeva quindi, preliminarmente, la sostituzione del C.T.U., stante l’assenza di serenità ed imparzialità dello stesso nell’espletamento dell’incarico affidatogli dalla Procura.

Venendo alla prima posta di danno, contestava decisamente ogni responsabilità in ordine alla determina 927/99, assunta dal segretario, comunale, non convenuto in giudizio. Respingeva ogni censura in ordine alle presunte carenze della progettazione tecnica da egli redatta, allegando all’uopo, copia della validazione eseguita dallo Studio Tecnico associato 2T di Padova. Quanto alla pretesa mancanza/inadeguatezza del regolamento previsto dall’art.18 della legge 109/1994, contestava che il regolamento adottato dal Comune di -------------- in data 8 ottobre 1996 n. 570, fosse inadeguato ed anacronistico, essendo – al contrario – conforme all’originario testo dell’art. 18 della legge 109/94 che faceva appunto riferimento all’1% del “costo preventivato dell’opera” per la ripartizione dei compensi relativi alla progettazione interna, laddove la maggiore percentuale dell’1,5% “dell’importo a base d’asta dell’opera” era stata introdotta solo successivamente dalla legge 144/1999. Eccepiva in proposito, l’assenza di danno erariale; atteso che l’aver liquidato i compensi sulla base dell’1% del costo preventivato (£. 1.200.000.000) anziché dell’1,5% dell’importo a base d’asta dell’opera (£. .1.080.376. 795), aveva comportato un minor esborso per l’Ente, pari a £. 12.000.000 anziché a £. 16.205.652.

Quanto alla seconda posta di danno, ribadiva la piena legittimità dell’affidamento dell’incarico esterno, sussistendo i “validi motivi” richiesti dalla legge Merloni, stante l’impossibilità per il Comune, a causa della notevole mole di lavoro dell’U.T.C., di provvedere alla direzione dei lavori che avrebbe comportato l’assenza degli addetti all’ufficio per- circa due anni. Contestava altresì, la quantificazione del danno operata dalla Procura, sostenendo al contrario, che proprio l’affidamento dell’incarico esterno, aveva comportato un notevole risparmio per l’Ente che, altrimenti, non avrebbe potuto portare a termine la progettazione esecutiva di un gran numero di altre opere pubbliche, effettuata dall’U.T.C. nello stesso arco temporale e che avrebbe dovuto, conseguentemente, essere affidata anch’essa a professionisti esterni, con un onere complessivo assai maggiore. In subordine, contestava decisamente la ricorrenza della colpa grave, in mancanza di specifici addebiti da parte della Procura, concludendo per il rigetto della domanda.

Con memoria depositata in data 1^ febbraio 2007, si costituiva con il patrocinio degli avv.ti Andrea Cervesato e Cristiana Benetazzo, il geom. --------------, contestando ogni addebito e chiedendo il rigetto della domanda. In particolare, eccepiva la natura di atto meramente “interno” della proposta-parere da egli redatta in allegato alla determina 574/2001; ribadiva la ricorrenza in concreto de1 presupposti di legge per l’attribuzione dell’incarico esterno, stante la reale impossibilità dell’U.T.C. di provvedervi direttamente, evidenziando altresì il notevole risparmio economico che ne era derivato per l’amministrazione che, altrimenti, non avrebbe potuto provvedere alla progettazione di numerosi altri lavori. Evidenziava altresì che, nell’atto di citazione, mancava nei suoi confronti, ogni riferimento al prescritto elemento della colpa grave.

A fronte della eccepita incompatibilità del consulente nominato dalla Procura, il Requirente faceva pervenire agli atti di causa, dichiarazione a firma della stessa consulente che dichiarava, tra l’altro, l’insussistenza di cause d’incompatibilità.

All’odierna udienza, le parti si riportavano alle rispettive conclusioni in atti e la causa veniva riservata per la decisione.

D1RITTO

Secondo la prospettazione accusatoria, nella fattispecie in esame verrebbero in rilievo due distinte ipotesi di responsabilità amministrativa: la prima relativa ad una asserita, indebita, erogazione di compensi derivanti da un incarico di progettazione interna; la seconda derivante dal conferimento di un incarico di direzione dei lavori ad un professionista esterno all’apparato comunale.

Trattandosi di fattispecie ontologicamente diverse, ancorché relative aria stessa opera pubblica, occorre verificare se rispetto a ciascuna di esse ricorrano in concreto gli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa..

Ebbene, quanto alla prima fattispecie, ritenuta causativa di un danno di € 5.124,54, si osserva quanto segue.

Secondo l’iniziale impostazione accusatoria quale desumibile dall’atto di citazione, la responsabilità per tale posta di danno veniva ascritta, nella fase pre-processuale, sia al segretario comunale, ----------------, che al capo dell’U.T.C., -------------------------, quali autori delle rispettive determine, ritenute causative del danno in questione. Trattasi nello specifico: 1) della determina a firma del Segretario comunale n. 927 del 31 dicembre 1999 di affidamento all’ing. -----------------, dell’incarico di “coordinatore unico per la realizzazione del progetto esecutivo di intervento di riqualificazione della S.P. Miranese”, adottata in asserita violazione del protocollo d’intesa siglato tra le due amministrazioni; 2) della conseguente determina n. 583 del 5 giugno 2002, a firma dello stesso ----------------- di liquidazione a se medesimo e ai suoi collaboratori, dei compensi per le prestazioni eseguite, in asserita violazione dei principi posti dall’art.18 della legge 109/94, in materia di incentivi e spese per la progettazione.

A seguito dell’audizione personale del Segretario comuna1e, cui era stato notificato l’invito a dedurre, la Procura ne ha escluso ogni responsabilità ritenendo, melius re perpensa, che la determina a sua firma, ancorché sicuramente non rispettosa della normativa di legge e dello stesso regolamento comunale del 1996, non potesse più considerarsi l’atto decisivo (dal punto di vista del nesso causale) rispetto alla causazione del danno da pagamento indebito. Al contrario, conc1udeva il Requirente, l’atto decisivo per la causazione di questo danno (corrispondente alla differenza di € 5.124,54 tra il pagato in concreto dal Comune e quello che dovevà essere corrisposto ai sensi di legge) ... deve ritenersi la determina 583 del 5.6.2002 che effettua da solo l’Ing. --------------.

Ciò stante, l’unico convenuto nell’odierno giudizio per tale posta di danno, è il Raniolo quale autore della determina 583/02, ritenuta dalla Procura illegittima e causativa del danno in questione. Tale determina avente ad oggetto “Adeguamento S.P. n. 32 Miranese. Gruppo di lavoro per incarico 1%. Integrazione impegno spesa e liquidazione”, sarebbe affetta secondo il Requirente – che pedissequamente riproduce in citazione le osservazioni del consulente tecnico – da una serie di illegittimità.

In primo luogo, essa sarebbe stata adottata in assenza del regolamento comunale aftuativo dell’art.18 (Incentivi e spese per la progettazione), comma 1, della legge Merloni.

Detta censura risulta destituita di fondamento, atteso che come successivamente accertato dalla stessa Procura, il Comune di Spinea ebbe ad adottare detto regolamento con delibera giuntale in data 8 ottobre 1996 n. 570. Trattasi di circostanza pacifica e non contestata.

Il regolamento d’attuazione del citato art. 18, quindi, era stato ritualmente adottato dal Comune e prevedeva i criteri per l’utilizzo e per la ripartizione tra il personale del” Settore Tecnico dell’Ente, della quota dell’1% del costo preventivato dell’opera, percentuale così prevista dall’originario testo dell’art. 18, comma 1, della legge Merloni. Detto comma era stato sostituito con i commi 1 e 1 bis dall’art. 6, comma 13, della Legge 15 maggio 1997 n. 127 e poi ulteriormente sostituito dall’art. 13, comma 4, della legge 17 maggio 1999 n. 144, che aveva fissato nell’1,5% dell’importo posto a base di gara, la somma massima del compenso da ripartire come incentivo.

Le suddette modifiche normative dell’art.18 della Merloni, sono tutte intervenute, all’evidenza, in epoca successiva all’adozione del regolamento Comunale.

Ogni altra considerazione in merito alla eccepita inadeguatezza dell’atto, perché anacronistico e non aggiornato alla normativa successiva di modifica del citato art. 18 legge Merloni, appare a questa Sezione assolutamente irrilevante ai fini che qui interessano. Ed invero, quand’anche si voglia ravvisare in un-regolamento comunale non aggiornato alle norme di legge intervenute in epoca successiva alla sua adozione, un profilo di illegittimità dell’atto – come sostenuto dalla Procura – ciò non determina, di per sé, l’esistenza di un danno erariale. In altri termini, la censurata non conformltà del regolamento alla normativa vigente all’epoca dei fatti di causa, non assume alcun rilievo, in assenza di una comprovata efficacia causale del medesimo a determinare – ex se – il depauperamento delle finanze dell’ente.

In secondo luogo, la determina in questione sarebbe illegittima e causativa di danno erariale perché liquida il compenso al gruppo di lavoro (--------------- e i suoi collaboratori) incaricato della progettazione esecutiva dell’opera, in misura pari all’ 1% dell’importo complessivo stanziato (£. 1.200.000.000), così come previsto dal testo originario dell’art. 18 della legge 109/94, e non all’1,5% dell’importo a base di gara (pari a £. 958.952.696, come risultante dalla determina della Provincia di Venezia n.177/01, e non a £. 1.080.376.795 come erroneamente indicato dalla difesa del Raniolo) secondo quanto statuito dall’art 18 nel testo modificato dalla legge 144/99, vigente all’epoca dell’adozione della determina censurata.

Orbene, non v’è chi non veda la manifesta infondatezza ed incongruenza di detta censura. Ed invero, ove fosse stato applicato il criterio previsto dall’art.18 della legge Merloni nel testo vigente all’epoca dell’adozione della determina (introdotto dalla legge 144/99), il compenso liquidato sarebbe stato di £. 14.384.290,44 (pari all’1,5% di £. 958.952.696) e, dunque, di gran lunga, superiore a quanto effettivamente liquidato (£. 12.000.000, pari all’1 % di £. 1.200.000.000) con la censurata determina, redatta ai sensi della norma originaria, ancorché non più in vigore.

Risulta davvero incomprensibile come la Procura possa ravvisare gli estremi della responsabilità –amministrativa nell’aver applicato una normativa che, benché non più vigente, prevede tuttavia un criterio di liquidazione del compenso oggettivamente più contenuto di quello contemplato dalla normativa in vigore, di cui censura la mancata applicazione.

Giova in proposito ricordare che l’elemento principale dell’illecito erariale è, non già, l’illegittimità dell’atto o del comportamento posto in essere dall’agente, bensì l’esistenza di un danno erariale concreto ed attuale, in termini di effettivo depauperamento del patrimonio pubblico.

Ebbene, nella specie, come fondatamente eccepito dalle difese, manca un danno erariale, non potendo configurarsi come tale, la sola applicazione di una norma non più in vigore e che ha comportato, all’opposto, un risparmio per il bilancio dell’ente.

In terzo luogo, ritiene la Procura che la violazione più macroscopica perpetrata consista nell’aver attribuito l’intero compenso stanziato (l’1 % e non l’1,5%!), all’unica fase di progettazione affidata e poi redatta, invece di una sola quota parte di esso. Secondo l’assunto attoreo, invero, il compenso massimo erogabile andava ripartito tra le singole fasi attribuibili come incarico interno, di talchè una singola fase di progettazione, ovvero di direzione dei lavori o di collaudo, non avrebbe potuto vedersi attribuito l’intera quota dell’1,5% del massimo utilizzabile.

Anche tale assunto appare destituito di fondamento.

Rileva preliminarmente, il Collegio di non aver rinvenuto in materia alcuna norma di legge che contempli detto principio.

L’art 18 della legge Merloni e successive modifiche, nulla stabilisce in proposito, limitandosi a prevedere che la percentuale effettiva, nel limite massimo dell’1,5 per cento, è stabilita dal regolamento in rapporto all’entità e alla complessità dell’opera da realizzare. La ripartizione tiene conto delle responsabilità professionali connesse alle specifiche prestazioni da svolgere.

Anche il vigente art. 92 (Corrispettivi e incentivi per la progettazione), comma 5, del Dlgs 163/2006 (cd. Codice degli Appalti pubb1ici) che ha abrogato la legge Merloni, non contiene alcuna previsione del genere, limitandosi a statuire che la percentuale effettiva, nel limite massimo del 2%, è stabilita dal regolamento in rapporto all’entità e alla complessità dell’opera da realizzare. La ripartizione tiene conto delle responsabilità professionali connesse alle specifiche prestazioni da svolgere.

Non è dato comprendere, pertanto, in base a quale norma di rango primario, il compenso massimo stanziato non possa essere attribuito, per intero, ad una unica fase di incarico interno, specie quando, in concreto – come nel caso in esame – non vi siano state altre fasi. Sul punto l’atto di citazione è vago e generico, limitandosi a riportare le osservazioni del consulente. D’altronde, anche a pagina 7 della consulenza, nulla è detto in proposito. La ------------------si limita, infatti, ad affermare quanto segue: “E’ eclatante evidenziare che tutte le fasi attribuibili come incarico interno debbono essere contenute nell’1,5% complessivo. Pertanto una singola fase di progettazione, ovvero di direzione dei lavori o di collaudo non può vedersi attribuita l’intera quota dell’1,5% massimo ipotizzabile”. Detta conclusione appare del tutto apodittica, priva di referenti normativi e, come tale, non condivisibile.

Tanto premesso, e quand’anche – per ipotesi – detto principio fosse contemp1ato da una – non altrimenti individuata – norma di legge, occorre rilevare che, nella specie, l’incarico interno ha avuto ad oggetto solo ed esclusivamente la progettazione esecutiva dell’opera. All’U. T.C. non è stata affidata, infatti, nessuna altra fase dell’opera, atteso che la direzione dei lavori è stata conferita all’esterno. Pertanto, in assenza di altre fasi affidate internamente, non si comprende il motivo per cui l’erogazione del compenso, nell’importo massimo previsto dalla legge (e, comunque, inferiore a quello che, secondo la Procura, avrebbe dovuto essere applicato in base alla normativa vigente, vale a dire l’1,5%), non potesse aver luogo. D’altronde, neanche il Requirente è riuscito ad individuare una disposizione normativa che, espressamente, stabilisca tale divieto anche nell’ipotesi suddetta, ferme restando le considerazioni sopra svolte circa l’assenza ab origine, nella tesi accusatoria, di un referente normativo.

Infine, sostiene la Procura che il compenso erogato per la progettazione “esecutiva” sarebbe stato comunque ingiustificato e non dovuto, stante il carattere della progettazione medesima. Le parti infatti, avevano concordato che il Comune si sarebbe fatto carico della progettazione “definitiva”, e non di quella “esecutiva” che, pertanto, sarebbe stata decisa unilateralmente dal Comune e, per di più, eseguita in maniera approssimativa tanto da costringere la Provincia ad apportarvi modifiche ed integrazioni sostanziali.

Tralasciando ogni considerazione circa le presunte carenze della progettazione redatta dall’U. T.C. e, per esso, dal ------------, ed il concreto atteggiarsi di essa (come definitiva o esecutiva), rileva il Collegio che non pare ascrivibile al convenuto, né alla determina a sua firma l’attribuzione a se medesimo dell’incarico interno avente ad oggetto la progettazione “esecutiva”. Ed invero, è stata la determina 927/99 del segretario comunale ad aver nominato il --------------- quale “coordinatore unico per la realizzazione del progetto esecutivo” e ad aver determinato l’importo dell’1% quale compenso erogabile per l’incarico interno. In altri termini, non vi sono elementi per poter affermare che è stato lo stesso ---------------- a decidere, unilateralmente, di redigere la progettazione “esecutiva”, in luogo di quella definitiva pattuita con la Provincia e di autoliquidarsi il compenso dell’1%. Detti elementi sono stati decretati dal segretario comunale con la determina a sua firma che, infatti, è stata espressamente richiamata dal --------------- nel preambolo della determina 583/2002, di cui costituisce a tutti gli effetti l’antecedente logico giuridico. Non può pertanto, ritenersi costui responsabile di un atto assunto da un soggetto non convenuto nel presente giudizio.

Conclusivamente, alla luce delle considerazioni svolte, ritiene la Sezione che il ----------------o debba andare esente da responsabilità per la prima fattispecie di danno, atteso che il compenso liquidato a se stesso e agli altri componenti del gruppo di lavoro, con la determina censurata, non ha determinato, in concreto, alcun danno erariale.

Venendo alla seconda fattispecie di danno, quantificata in € 23.324,78, si osserva quanto segue.

Individua la Procura l’atto causativo del danno nella determina dirigenziale n. 574 del 4 giugno 2001, sempre a firma dell’ing. ------------------, con cui era stata affidata la direzione dei lavori al professionista esterno, geometra ------------------, senza che ne ricorresse in concreto la necessità ed in asserita violazione dei presupposti di legge. La responsabilità per il danno in questione, viene ascritta dal Requirente, oltre che all’ing. ------------------, autore della suddetta determina di affidamento dell’incarico esterno, anche al Responsabile del Servizio L.L.P.P., geometra -------------------, nella sua specifica qualità di Responsabile del procedimento amministrativo. A questi viene addebitato di aver fornito indicazioni sommarie e generiche nella proposta-parere allegata alla contestata determina, circa l’asserita impossibilità dell’ufficio tecnico comunale di assolvere a tale incarico di direzione dei lavori, che avrebbe- comportato la necessità di una presenza costante in cantiere, a causa dei lavori già in essere e per l’assolvimento contestuale dei compiti d’istituto.

Ritiene la Procura che detta motivazione sia troppo sintetica e approssimativa, non essendovi una dimostrazione puntuale e formale dell’indisponibilità oggettiva dei convenuti a causa del lavoro ordinario o di contemporanei incarichi di servizio all’epoca del conferimento dell’incarico al -----------------.

Mancherebbero invero, le condizioni di legge (art. 17 legge Merloni e successive modifiche) per il conferimento dell’incarico esterno, non trattandosi di incarico di straordinaria difficoltà ed essendovi una struttura interna all’Ente capace di provvedervi, così come chiarito ripetutamente dalla giurisprudenza della Corte dei conti. Ritiene ancora il Requirente, incongrua ed illogica la scelta dell’Amministrazione di affidare, per la stessa opera pubblica, l’incarico di progettazione “definitiva” all’interno, per poi passare ad un più dispendioso incarico esterno nella fase della direzione dei lavori, mentre avrebbe potuto essere vagliata la possibilità che lo stesso fosse attribuito “internamente” all’altro soggetto pubblico con cui l’opera era stata programmata, vale a dire la Provincia di Venezia.

Replica la difesa del --------------- che l’impossibilità di assolvere a tale incarico era reale ed effettiva, atteso che la direzione dei lavori è attività che richiede, per sua natura, una presenza costante in cantiere da parte del Direttore dei Lavori per tutta la durata dell’incarico. In particolare, nel caso di specie, l’affidamento di tale incarico avrebbe comportato l’assenza di esso convenuto dall’Ufficio per circa due anni e, conseguentemente, l’impossibilità di gestire la notevole mole di lavoro che all’epoca incombeva sull’ufficio tecnico, essendo impegnato nella progettazione di numerose altre opere pubbliche, come da documentazione allegata. Ciò stante, il conferimento dell’incarico esterno, lungi dall’essere illecito, come ex adverso ritenuto, risultava conferito in presenza dei “validi motivi” richiesti dall’art. 18 legge Merloni.

Tanto premesso, ritiene opportuno il Collegio ricordare i limiti normativi entro i quali l’affidamento disiffatti incarichi può considerarsi legittimo.

La norma generale in tema di incarichi conferiti dalle Pubbliche amministrazioni a soggetti esterni è contenuta nell’art. 7, comma 6 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), ai sensi del quale: “per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione”.

A sua volta, l’art. 110, comma 6 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), prevede che “per obiettivi determinati e con convenzioni a termine, il regolamento [sull’ordinamento degli uffici e dei servizi] può prevedere collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità”.

Come è noto, poiché il conferimento di incarichi professionali da parte delle pubbliche amministrazioni costituisce una problematica ricorrente nella giurisprudenza di questa Corte, sono da ritenere ormai consolidati gli orientamenti formatisi sul tema.

Un punto fermo è costituito dal carattere straordinario del ricorso ad apporti esterni. la pubblica amministrazione deve di norma perseguire i fini istituzionali utilizzando il proprio personale, talché l’incarico esterno è lecito solo qualora ciò non sia ragionevolmente possibile, o perché l’attività che deve essere svolta riichiede un apporto professionale particolarmente elevato sotto il profilo tecnico-scientifico, oppure perché, per ragioni contingenti e transitorie (quali l’insufficienza del personale in organica o l’oggettiva impossibilità del medesimo a provvedervi), anche quei compiti che potrebbero normalmente essere assolti con l’utilizzo della struttura interna, rendono viceversa necessario avvalersi di personale esterno.

E’ affermazione conseguente che sia da reputare illecito l’incarico che si risolva in una mera duplicazione di attività che doveva essere svolta dagli uffici interni, proprio perché, in questo caso, dal soggetto esterno non viene all’ente alcun effettivo ausilio. Poiché non vi è utilità, il compenso corrisposto costituisce danno ingiusto per l’amministrazione.

Altro punto fermo è che l’incarico deve avere un oggetto determinato, al fine di poter concretamente apprezzare l’effettivo adempimento della prestazione da parte del consu1ente e l’utilità della stessa per l’amministrazione committente (Corte dei Conti Sez. giur. Sardegna 615/06).

Nel caso di specie, l’affidamento dell’incarico esterno di direzione dei lavori è stato disposto dal dirigente dell’U. T.C., -----------------, sulla base di quanto certificato dal responsabile del procedimento, ----------------------, a seguito della istruttoria espletata ed allegata alla contestata determina. La motivazione è la seguente: l’Ufficio Tecnico comunale non ha possibilità di assolvere a tale incarico che prevederebbe una presenza costante in cantiere, a causa dei lavori già in essere e per l’assolvimento contestuale dei compiti d’istituto.

Ritiene la Sezione che ricorra, nella specie, una di quelle ipotesi che, secondo la casistica giurisprudenziale di questa Corte, quale innanzi riportata, legittima il ricorso all’incarico esterno. Trattasi, invero, di una di quelfe ragioni contingenti e transitorie (quali l’impossibilità del personale in organico a farvi fronte) che impediscono lo svolgimento di compiti che, altrimenti, potrebbero essere normalmente assolti con l’utilizzo della struttura interna.

Nella sostanza, l’affidamento della direzione dei lavori all’ufficio tecnico, e per esso agli odierni convenuti, avrebbe impedito lo svolgimento dei compiti istituzionali, attesa anche la peculiarità dell’incarico che notoriamente richiede, per sua natura, la presenza costante in cantiere del direttore dei lavori.

Trattasi di ipotesi normativamente prevista dall’art. 17 comma 4 della legge 109/1994 che testualmente recita: “La redazione del progetto preliminare, definitivo ed esecutivo, nonché lo svolgimento di attività tecnico amministrative connesse alla progettazione, in caso di carenza in organico di personale tecnico nelle stazioni appaltanti, ovvero .di difficoltà di rispettare i tempi della programmazione dei lavori o di svolgere le funzioni di istituto, ovvero in caso di lavori di speciale complessità o di rilevanza architettonica o ambientale o in caso di necessità di predisporre progetti integrali, così come definiti dal regolamento, che richiedono l’apporto di una pluralità dì competenze, casi che devono essere accertati e certificati dal responsabile del procedimento, possono essere affidati ai soggetti di cui al comma 1, lettere d), e), f), g)”.

La norma, tra le varie ipotesi ivi contemplate, legittima quindi il ricorso all’affidamento esterno – oltre che della progettazione, anche della direzione dei lavori (Corte conti Sez. giuro Toscana n.7/2006) – non solo quando trattasi di lavori di speciale complessità (unica fattispecie cui fa riferimento la Procura, inopinatamente non considerando le altre ipotesi normativamente previste), ma anche nel caso “di difficoltà di svolgere le funzioni di istituto” purché si tratti di circostanza “acceltata e celtificata dal responsabile del procedimento”, al pari degli altri casi.

Ebbene, nella specie, sussistono le condizioni di legge quali innanzi indicate, atteso che il-responsabile del procedimento, --------------, ha certificato ed attestato nel parere allegato alla contestata determina (il cui contenuto è stato sopra riportato), l’impossibilità di assolvere all’incarico di direzione dei lavori a causa dell’assolvimento con testuale dei compiti d’istituto.

Giova, in proposito, rilevare che, mentre la previsione normativa reputa sufficiente una mera “difficoltà” di svolgere le funzioni di istituto, nella specie, è stata certificata una “impossibilità” dell’ufficio tecnico ad assolvere l’incarico in questione, impossibilità non smentita da elementi di prova in senso contrario.

A tale riguardo, ritiene la Sezione che la Procura – cui incombe l’onere della prova della illegittimità dell’incarico esterno – avrebbe dovuto fornire prova della pretestuosità o, comunque, della non rispondenza a verità della dedotta situazione di impossibilità, da parte dell’Ente, di provvedere con le risorse interne. Nulla invece, ha dedotto e provato sul punto il Requirente, limitandosi apoditticamente a ritenere “troppo sintetica e approssimativa” la motivazione addotta a fondamento della determina, non essendovi una “dimostrazione puntuale e formale dell’indisponibilità oggettiva dei convenuti a causa del lavoro ordinario o di contemporanei incarichi di servizio all’epoca del conferimento dell’incarico al -----------------ì”.

Tale assunto non appare condivisibile, risolvendosi esso in un’evidente inversione dell’onere della prova. Ed invero, è onere della Procura nella sua veste di attore ex art. 2697 c.c., fornire prova dell’illegittimità dell’incarico esterno, della pretestuosità e/o assenza in concreto, delle ragioni addotte “dall’Ente a giustificazione del conferimento, della dannosità dell’esborso,

nonché ovviamente, della colpa grave.

Dall’esame della casistica giurisprudenziale di questa Corte, emerge, infatti, che è sempre l’Organo requirente a fornire elementi di prova atti a smentire le ragioni poste a fondamento del conferimento dell’incarico esterno. La fattispecie esaminata dalla Sezione Giurisdizionale della Toscana con la sentenza n. 7 del 31.1.2006 (prodotta in udienza dal Procuratore Regionale), ad esempio, riguardava un incarico esterno conferito sul presupposto della “carenza di professionalità interne all’ente”. La Procura ha fornito prova dell’illegittimità del conferimento dimostrando, in punto di fatto, la presenza nell’organico del personale in servizio, di una professionalità idonea ad eseguire l’incarico affidato all’esterno.

Fattispecie del tutto simile ha formato oggetto della sentenza della Sezione Giurisdizionale della Puglia n. 145/2006 che ha avuto, tuttavia, esito diverso dalla precedente, avendo il Collegio prosciolto i convenuti da ogni addebito, con la seguente motivazione che appare utile riportare: “Sicché, in mancanza di elementi di prova di segno contrario, non può trovare accoglimento, sotto tale profilo, l’assunto accusatorio volto a dimostrare la sussrstenza all’interno della Amministrazione comunale, delle figure professionali idonee allo svolgimento dell’incarico”.

In altra fattispecie relativa al conferimento di incarico esterno sul medesimo presupposto della “carenza di professionalità analoghe nell’Ente”, il P.M. ha fornito prova, tra le altre cose, che nel periodo di riferimento, parte del personale incardinato presso il settore Servizi Sociali del Comune di Carrara, capace di espletare l’incarico, era stato adirittura autorizzato a prestare opera professionale all’esterno, così contraddicendo le asserite insormontabili carenze organiche e funzionali della struttura amministrativa addotte dall’Amministrazione a giustificazione dell’incarico (Sezione Giurisdizionale Toscana n. 621/2006).

Da tutte le fattispecie qui riportate a titolo meramente esemplificativo, ancorché significativo, dell’orientamento delle Sezioni giurisdizionali della Corte sul punto specifico dell’onere della prova in materia di incarichi esterni, emerge chiaramente che spetta al Pubblico Ministero contabile, nella sua qualità di attore, fornire prova idonea a smentire le ragioni addotte dall’Amministrazione a base dell’affidamento esterno. Ed invero, tale specifico onus probandi, rientra nel più generale onere della prova dell’illegittimità e dannosità dell’incarico stesso, onere che non può che incombere sul pubblico attore per il principio generale di cui all’art. 2697 c.c..

Ciò stante, non assume rilevanza dirimente ai fini che qui interessano, la circostanza addotta dalla Procura secondo cui, nel triennio 2001-2003, il Comune avrebbe affidato, internamente, l’espletamento di 10 incarichi di progettazione, di cui 6 di direzione dei lavori, e quindi ben avrebbe potuto provvedere anche alla direzione dei lavori dell’opera per cui è causa. La circostanza, lungi dal provare – di per sé – la non rispondenza al vero della situazione di “impossibilità” rappresentata dai convenuti, dimostra semmai il contrario, come fondatamente eccepito dalle difese, e cioè che l’Ufficio tecnico era effettivamente impegnato, nel periodo in questione, nella progettazione di un notevole numero di altre opere pubbliche e, quindi, era tutt’altro che inattivo, avendo, al contrario, una mole di lavoro non indifferente da espletare, considerato, come pare, che lo stesso era composto da sole due unità.

Sostiene inoltre, la Procura che, prima di procedere all’affidamento esterno dell’incarico, il ---------------- avrebbe potuto/dovuto contattare l’altro soggetto ‘pubblico con cui l’opera era stata programmata, ossia la Provincia di Venezia, per verificare fa possibilità, da parte della stessa, di “accollarsi” internamente la direzione dei lavori, con conseguente, presunto, risparmio di costi.

Al riguardo, deve preliminarmente, sottolinearsi che, in base all’accordo di programma (art.3); la direzione dei lavori spettava al Comune che, certamente, doveva aver stanziato somme in bilancio a questo titolo.

Ebbene, ritiene in proposito il Collegio che non competa a questo giudice il sindacato sulle concrete modalità di utilizzo da parte dell’Amministrazione, delle risorse stanziate in bilancio, nei limiti in cui ciò non abbia comportato un comprovato danno erariale, venendo in rilievo una scelta discrezionale dell’ente, cui solo spetta valutare come provvedere.

Come è noto, il principio della insindacabilità delle scelte discrezionali è stato introdotto dall’art. 3, comma 1°, punto 1, letto a) del d.l. 23 ottobre 1996 n. 543, convertito con la legge di conversione 20 dicembre 1996 n. 639, di modifica dell’art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20. Detta norma ha stabilito che “la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, ferma restando “l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali”.

Tale disciplina, ad avviso del Collegio, impone alcune considerazioni.

In primo luogo, è di tutta evidenza che il giudice contabile, nel valutare le condotte degli amministratori e dei dipendenti degli enti pubblici al fine di accertare la loro eventuale responsabilità amministrativa per danno erariale, non può ripercorrere l’iter sostituirsi alla stessa amministrazione e ripercorrere l’iter argomentativo seguito nelle scelte discrezionali già operate, essendo tenuto infatti a rispettare la sfera di autonomia decisionale nella gestione degli interessi da amministrare.

L’altra considerazione da farsi è che l’insindacabilità delle scelte amministrative è in perfetta sintonia con uno dei principi cardine del nostro ordinamento pubblicistico, quello che prevede la cosiddetta separazione dei poteri, per cui non può essere ammessa alcuna ingerenza od invasione della funzione giurisdizionale negli ambiti di competenza della cosiddetta amministrazione attiva, e dunque, deve essere esclusa ogni possibilità per il giudice di ricostruire, e a suo modo ripercorrere, i passaggi motivazionali che hanno portato l’amministratore pubblico ad adottare una scelta piuttosto che un’altra.

Solo in presenza di una lesione causata all’integrità patrimoniale dell’ente amministrato, la giurisprudenza ritiene che l’insindacabilità delle scelte amministrative non possa essere spinta fino al punto da costituire un’area entro la quale ogni atto o fatto di amministrazione attiva possa essere sottratto al sindacato giurisdizionale.

Opinando in tal senso, infatti, si giungerebbe all’inammissibile conseguenza di ammettere che i principi del buon andamento dell’azione amministrativa e della tutela dell’integrità erariale possano configurarsi non più come insopprimibili valori dell’ordinamento pubblicistico, ma come mere petizioni di principio, dai contorni e dagli scopi non ben definiti.

Stando così le cose, la conclusione non può che essere quella secondo la quale il principio della insindacabilità delle scelte discrezionali trovi, senz’altro, affermazione in presenza di atti all’evidenza adeguati rispetto ai fini pubblici che si intende perseguire; ma in presenza di condotte che denotano il ricorso dell’amministratore a scelte tanto illogiche quanto palesemente inadeguate rispetto agli interessi in gioco sì da risolversi in decisioni sostanzialmente arbitrarie, il giudice ha, viceversa, il diritto-dovere di conoscere siffatti comportamenti, ben inteso con il solo obiettivo di appurare l’inadeguatezza delle decisioni adottate, inopinatamente foriere, per quel che interessa questa magistratura, anche di danno all’erario (Corte conti Sez. giur. Veneto n.303/2007 che cita Cass. Civ. Sez. Unite 6.5.2003, n. 6851).

Fermo restando quanto sopra, nella specie non vi sono comunque elementi di prova, sia pure presuntivi, che inducano a ritenere che la Provincia avrebbe effettivamente potuto/voluto provvedere internamente alla direzione dei lavori, quand’anche il -------------- si fosse attivato in tal senso. Ciò stante, l’assunto attoreo secondo cui l’affidamento dell’incarico agli uffici interni della Provincia invece che al professionista esterno-, avrebbe comportato un risparmio per il bilancio dell’Ente locale, non appare condivisibile, atteso che si basa su di un nesso causale del tutto ipotetico ed eventuale col prospettato danno erariale.

Alla luce delle esposte considerazioni, l’incarico esterno deve reputarsi legittimo perché conforme alla previsione normativa innanzi richiamata ed in assenza di prova di danno erariale.

In conclusione i convenuti devono essere assolti da ogni addebito per tutte le anzidette ragioni.

A margine deve affrontarsi la questione relativa all’eccepita incompatibilità del consulente tecnico nominato dalla Procura, tale “dott. -------------”. In disparte ogni considerazione sulla effettiva necessità della disposta consulenza, risulta non adeguatamente giustificata la nomina come C.T.U. di un soggetto la cui qualifica professionale e competenza tecnica non è stata esplicitata (mancando persino l’indicazione della tipologia di laurea posseduta) e, che, per di più, ha lavorato con uno dei convenuti, quale dipendente del Comune di ------------, ancorchè in epoca antecedente ai fatti di causa. Non può farsi a meno di rilevare che una maggiore ponderatezza da parte del Requirente nella scelta del consulente tecnico, avrebbe sicuramente precluso ogni eccezione di parte sulla asserita incompatibilità del medesimo, eccezione sulla quale il Collegio non ritiene di doversi pronunciare, stante l’irrilevanza ai fini del decidere, dell’elaborato peritale.

Ai sensi dell’art. 10 bis comma 10 del D.L. 203/05 convertito in legge 248/05, stante la mancata allegazione di note spese, il Collegio liquida (con riferimento al D.M. Giustizia dell’ 8 aprile 2004 n. 127 “Regolamento recante l’approvazione della delibera del Consiglio Nazionale Forense in data 20.9.02 che stabilisce i criteri per la determinazione degli onorari, diritti e delle indennità spettanti agli avvocati per le prestazioni giudiziali in materia civile, penale, amministrativa, tributarie e stragiudiziali”), in favore della difesa del -----------, € 1.876 (di cui € 1.125 per onorari) oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge, ed in favore della difesa del --------------- € 629 (di cui € 325 per onorari) oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge.

P.Q.M.

La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Regionale per il Veneto, definitivamente pronunciando, respinta ogni contraria eccezione, deduzione e conclusione, così provvede:

-Assolve entrambi i convenuti liquidando le spese come in parte motiva.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del 21 febbraio 2007.

Il Relatore Il Presidente
F.to Luisa de Petris F.to Sergio Zambardi
Depositata in Segreteria il 26/06/2007
Il Direttore della Segreteria
F.to Guarino
Ultimo aggiornamento ( domenica 29 luglio 2007 )
 
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