Non pare proprio che il TAR Veneto abbia "bocciato" i PACS alla padovana come hanno titolato molti giornali nel commentare la sentenza del 27 agosto 2007 n. 2786 del TAR Veneto. Una attenta lettura della sentenza conduce a ritenere il contrario, e cioè che il TAR abbia sostanzialmente "promosso" il Comune di Padova, sia pure imponendo la correzione di alcuni moduli.
Nella sentenza il TAR ha dato atto, infatti, "che la deliberazione del consiglio comunale n. 108 del 2006 si colloca in un contesto di evidente legittimità laddove inequivocabilmente e del tutto correttamente distingue, nelle sue premesse, la tutela della famiglia così come definita dall'art. 29 Cost., dall'esigenza di garantire comunque alle persone, senza discriminazioni di sorta, i diritti civili e sociali di cui agli artt. 2 e 3 Cost, senza con ciò "modificare o alterare il riconoscimento e l'importanza della famiglia fondata sul matrimonio".
Tuttavia ad avviso del TAR alcuni dei moduli predisposti dal Comune in attuazione della suddetta delibera sono da considerare non conformi alla vigente normativa sull'anagrafe e fonte di confusione tra famiglia "nucleare" e "anagrafica": la sentenza ha conseguentemente invitato il sindaco ad eliminare le difformità della modulistica rispetto all'ordinamento vigente. A tali conclusioni il TAR è pervenuto dopo un approfondito ed accurato esame dell'ostica materia anagrafica con una serie di considerazioni che, quanto meno ad una prima frettolosa lettura, sembrano abbastanza convincenti. Il TAR si è forse spinto oltre i confini della propria giurisdizione per il fatto di aver indicato minuziosamente come debbano essere modificati i moduli giudicati non corretti: ciò che rende sicuramente più agevole il compito dell'amministrazione, ma a prezzo della trasformazione del giudice in organo di amministrazione attiva. Problema, questo, di non poco conto e che potrebbe essere opportunamente approfondito dagli studiosi della giustizia amministrativa. Ciò che ha indotto lo scrivente e a prendere, per così dire, carta e penna, è la decisione di considerare ammissibile il ricorso contro la deliberazione comunale e gli atti conseguenti, da parte di un "cittadino elettore", in nome del suo interesse (morale) ad evitare ogni confusione tra la famiglia nucleare e quella anagrafica. A sostegno di quella che a me pare come una forzatura eccessiva del sistema, la sentenza cita un precedente del Consiglio di Stato (sez. IV n. 4076 del 2002), che considera l'interesse "morale" sufficiente a fondare una posizione legittimante nel processo amministrativo. La sentenza del TAR Veneto non tiene conto che anche l'interesse morale deve essere personale (oltre che diretto ed attuale), secondo il "catechismo" della giustizia amministrativa. La decisione del Consiglio di Stato invocata si riferiva all'ìimpugnazione del provvedimento di rimozione dalla carica di consigliere comunale di Bisceglie per ragioni di ordine pubblico, a causa della pendenza di un processo penale a carico del consigliere: il TAR aveva affermato la sopravvenuta carenza di interesse del consigliere perchè nel frattempo il consiglio comunale era giunto alla sua naturale scadenza e, al momento della decisione, era già stato rinnovato. Nell'affermare la sussistenza dell'interesse morale dell'ex consigliere ad una decisione sulla legittimità della sua rimozione dalla carica, il Consiglio di Stato ha affermato la sufficienza dell'interesse morale "ove il provveidmento incida in via immediata e diretta sulla sfera del soggetto". A me non pare proprio che la delibera padovana incida "sulla sfera del soggetto", secondo quanto è dato capire dalla sentenza. E' francamente arduo sostenere, come fa la sentenza veneziana, che "qualsiasi soggetto che a' sensi del vigente ordinamento anagrafico risulti inserito in una scheda di famiglia anagrafica materialmente corrispondente ad una famiglia nucleare, viene dunque a collocarsi in una posizione differenziata rispetto all'azione amministrativa da lui reputata difforme dai valori di principio testè enunciati, e nei suoi confronti va conseguentemente riconosciuta la sussistenza di un interesse oppositivo a qualsivoglia ipotesi di omologazione, ancorchè meramente documentale, tra la famiglia nucleare e quella meramente anagrafica fondata sulla mera dichiarazione della sussistenza di vincoli affettivi comunque diversi dal matrimonio, dalla parentela, o dall'affinità, o dai vincoli discendenti dall'adozione e dalla tutela".
Così dicendo il Tribunale (che altre volte si è mostrato così severo da escludere l'interesse all'impugnazione in capo al proprietario confinante delle previsioni del P.R.G. relative al fondo del vicino) finisce con il riconoscere, di fatto, la legittimazione all'azione popolare "correttiva" che alcune pagine prima aveva - esattamente - negato.
Il nostro ordinamento non attribuisce ancora al "quisque de populo" (non si offenda il ricorrente) la legittimazione ad impugnare atti, pur illegittimi, che non lo danneggino, neanche sotto l'aspetto morale, in maniera diretta.
Non oso pensare a quali conseguenze potrebbe condurre un orientamento giurisprudenziale che consenta l'impugnazione di atti amministrativi che taluno consideri contrari ai propri convincimenti morali (o - perchè no? - religiosi o politici).
Tanto varrebbe, allora, introdurre un'azione popolare generalizzata a tutela della legalità: ma ciò segnerebbe la fine del nostro plurisecolare sistema di giustizia amministrativa.
[NOTA: il presente intervento esprime le opinioni personali dell'estensore e non esprime posizioni ufficiali dell'associazione]
Ultimo aggiornamento ( venerdì 14 settembre 2007 )
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