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L'ACQUISIZIONE "SANANTE" E' DAVVERO CONFORME ALLA COSTITUZIONE E ALLA C.E.D.U.? PDF Stampa E-mail
lunedì 12 gennaio 2009

di Giovanni Attilio De Martin.

 Ritengo cosa utile riportare sul sito talune riflessioni, che personalmente ritengo essere di grande interesse, sviluppate nell’ambito della quotidiana attività professionale. Il titolo dell’intervento è evocativo di come esso riguardi i fenomeni dell’accessione invertita (conosciuta altrimenti anche come occupazione appropriativa) e della cc.dd. acquisizione “sanante”: sottolineo, fin da ora, che molti concetti saranno dati per presupposti al fine di non appesantire eccessivamente la trattazione dell’argomento che concerne, essenzialmente, la costituzionalità, o meno, dell’istituto della cc.dd. acquisizione “sanante” introdotto dall’Articolo 43 del D.p.r. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazioni per causa di pubblica utilità).

Si può, in merito ed in via presupposta, evidenziare che la ricostruzione giurisprudenziale dell’occupazione appropriativa (od accessione invertita) risulta, allo stato, del tutto incompatibile con la disciplina normativa introdotta dal citato D.p.r. n. 327/2001. Quest’ultimo contiene, infatti, il capo VII^, intitolato "Conseguenze della utilizzazione di un bene per scopi di interesse pubblico, in assenza del valido provvedimento ablatorio", nel quale rientra soltanto l’Art. 43, la cui rubrica è "Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico".

L’incompatibilità tra le attuali previsioni di legge e la ricostruzione "pretoria" del fenomeno occupazione appropriativa è evidente se solo si considera che la disposizione normativa sopra riportata subordina all’adozione di apposito provvedimento discrezionale il trasferimento di proprietà dei beni immobili utilizzati per scopi di interesse pubblico, a seguito di modificazione avvenuta in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità. La legge esclude, dunque, che nel caso di accessione invertita un simile trasferimento avvenga "automaticamente", a seguito dell’irreversibile trasformazione del bene, come invece affermato dalla giurisprudenza.

D’altra parte la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, con due sentenze del 30 maggio 2000, già aveva ritenuto ciò in contrasto con l’Art. 1, protocollo n. 1), della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, determinando l’esigenza, soddisfatta appunto con l’introduzione nel Testo Unico sulle espropriazioni dell’Art. 43 "di adeguare l’ordinamento italiano alla Convenzione" (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza generale, parere 29 marzo 2001, n. 4), punto 13.3). Si stigmatizza, peraltro, come la più recente giurisprudenza amministrativa (cfr., da ultimo, Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, 29 maggio 2008, n. 490), sia oramai persuasa che l’Art. 43 del D.p.r. n. 327/2001 persegua una finalità di sostanziale sanatoria di situazioni nelle quali l’autorità dello Stato (ovvero delle altre Autorità esproprianti) si sia espressa mediante una compressione del fondamentale diritto di proprietà in assenza delle procedure legittime di esproprio.

Non rileva dunque la causa dell’illegittimità del comportamento, se cioè esso sia stato posto in essere in assenza di una dichiarazione di pubblica utilità o a seguito dell’annullamento di essa o per altre cause, ma ciò che è sostanziale è che l’interesse pubblico non può essere soddisfatto altro che con il mantenimento della situazione ablativa. In altri termini la rottura dell’equilibrio autorità - libertà recata da detta norma è sottoposta, per volontà dello stesso Legislatore, a limiti formali ma soprattutto sostanziali che, secondo l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 2 del 29 aprile 2005, si riconducono ad un’approfondita e meditata motivazione sull’esercizio di un tale potere extra ordinem, là dove il Legislatore si esprime con la frase "valutati gli interessi in conflitto" dal tenore della quale scaturisce la necessità di una valutazione comparativa tra l’interesse pubblico e quello privato.

Al riguardo l’interesse privato non è esattamente quello alla utilizzazione del bene per scopi personali, ma esclusivamente quello alla difesa dell’irrinunciabile diritto di proprietà; la valutazione non può, dunque, essere compiuta tra l’utilità effettiva che il privato ricava o intende ricavare dal bene e quella a favore della collettività, ma tra la tutela del diritto costituzionale alla proprietà privata e il particolare beneficio che l’acquisizione reca all’interesse pubblico. La motivazione deve, perciò, porre in luce esattamente i motivi di interesse alla realizzazione dell’opera, indicando anche la non percorribilità di soluzioni alternative, dando preciso conto della urgenza che ha imposto di obliterare le procedure corrette ovvero delle contingenze che hanno interrotto, sospeso, annullato o comunque non hanno condotto a buon fine il giusto procedimento espropriativo; va, inoltre, evidenziata la assoluta necessità, e non mera utilità, che l’immobile sia acquisito nello stato in cui si trova, dal momento che la mancata acquisizione costituirebbe uno spreco di risorse pubbliche. Tesi ormai consolidata è nel senso che il citato Articolo 43 del Testo Unico sia espressione del principio secondo cui, nel caso di occupazione divenuta sine titulo, vi è un illecito il cui autore ha l’obbligo di "restituire il suolo e di risarcire il pregiudizio cagionato", salvo il potere dell'Amministrazione di far venire meno l'obbligo di restituzione ab extra con l'atto di acquisizione del bene al proprio patrimonio quale previsto dai commi 1 e 3 dell’Articolo 43 medesimo sempre che ricorrano le condizioni in tale norma specificate (così come indicate dal Consiglio di Stato, Sezione IV^, nella sentenza 27 giugno 2007, n. 3752). Insomma, lo stesso Articolo 43 testualmente preclude che l’Amministrazione diventi proprietaria di un bene in mancanza di un titolo valido in quanto previsto dalla legge (cfr., in terminis, Consiglio di Stato, Sezione IV^, 21 maggio 2007, n. 2582), trascrivibile ed opponibile ai terzi, come del resto si deduce dal quarto comma ove, anche per l’ipotesi residuale di condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni conseguente all’esclusione ad opera del Giudice della restituibilità del bene, è esplicitamente affermata la necessità che comunque l’Amministrazione stessa disponga il trasferimento della proprietà attraverso un "apposito atto di acquisizione, dando atto dell’avvenuto risarcimento del danno". Il T.A.R. per la Campania, Sezione V^, con la recentissima Ordinanza 29 ottobre 2008, n. 730, sia pure consapevole che tale è ormai la posizione dominante della giurisprudenza amministrativa, ha ritenuto, comunque, di sollevare la questione di costituzionalità dell’Articolo 43 del Testo Unico in materia di espropriazioni per causa di pubblica utilità per violazione degli Articoli 3, 24, 42, 97, 113, 117 e 76 della Costituzione. Quanto agli Articoli 3, 24, 42, 97 e 113 Cost., è innegabile – ad avviso del Giudice a quo remittente - che con il Testo Unico sull’espropriazione si è provveduto ad un riordino della materia ablativa, sistemando complessivamente l’insieme normativo in tema di espropriazione per causa di pubblica utilità, prendendosi in considerazione anche la disciplina del vincolo preordinato all’esproprio e chiarendo il rapporto intercorrente tra la pianificazione urbanistica ed il procedimento espropriativo in senso stretto. Si è realizzata, tra l’altro, un’incisiva semplificazione della procedura per giungere al decreto di espropriazione, che potrà essere emanato solo dopo la dichiarazione di pubblica utilità, tornandosi alla regola per cui l’Amministrazione realizza l’opera sull’area ormai sua con riduzione delle ipotesi dell’occupazione d’urgenza (le quali, nell’ambito della nuova sistematica del Testo Unico, rappresentano l’eccezione e non già più la regola di ordine generale). In tale contesto la stessa Adunanza Generale del Consiglio di Stato, in sede di parere (risalente al 29 marzo 2001) sul provvedimento legislativo in questione, ebbe a ritenere essenziale la riforma introdotta con l’Art. 43 più volte citato, dovendo l’Ordinamento adeguarsi ai principi costituzionali ed a quelli generali del diritto internazionale – pattizio e consuetudinario -  sulla tutela della proprietà, ritenendosi a tal fine funzionale l’attribuzione all’Amministrazione del potere di emanare un atto di acquisizione dell’area al suo patrimonio indisponibile, con la peculiarità che non viene meno il diritto al risarcimento del danno, in base ad una valutazione discrezionale sindacabile in sede giurisdizionale.

Per la prima volta si è normato il comportamento illegittimo delle Amministrazioni tenuto in sede espropriativa attraverso la formazione di un nuovo procedimento volto alla regolarizzazione delle procedure ablative illegittime: in passato infatti si era prevista unicamente l’ipotesi del rinnovo della dichiarazione di pubblica utilità ove fossero trascorsi i termini (Art. 13, comma III^, della Legge n. 2359/1865), mentre più di recente era stato introdotto (Art. 3, comma 65, della Legge n. 662/1996) il criterio temporaneo di determinazione legale dell’ammontare della somma da corrispondere a titolo risarcitorio. Soltanto con l’introduzione dell’Art. 43 del Nuovo Testo Unico n. 327/2001 si è, però, ovviato alle ablazioni dei beni privati avvenute in violazione delle regole del procedimento espropriativo ed osservato i principi affermati dalla CEDU secondo i quali “l’ingerenza di una pubblica autorità nell’esercizio del diritto al rispetto dei beni deve essere legale” e “l’interferenza delle autorità nel diritto al rispetto dei beni deve assicurare un equo bilanciamento tra le esigenze dell’interesse generale della collettività e quelle della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo”.

Tuttavia la previsione normativa de qua, costituente forma di sanatoria procedimentale e processuale, con un’acquisizione postuma del bene illegittimamente occupato, nelle intenzioni del Legislatore doveva conservare una sua propria natura eccezionale, trattandosi di esercizio di una potestà unilaterale a vantaggio esclusivo della P.A. che, per superare le anomalie delle occupazioni appropriative e/o usurpative, provvede ad effettuare una sanatoria che ha a presupposto: 1) l’impossessamento materiale del bene da parte della P.A.; 2) la sua modificazione ed utilizzazione attuale e pubblica; 3) la valutazione-contemperazione degli interessi in conflitto; 4) il risarcimento pieno del danno (ivi compresa la rivalutazione monetaria, in aggiunta agli interessi moratori). Fermo il rispetto delle stesse garanzie di partecipazione di regola previste per la procedura ablatoria ordinaria, la natura eccezionale del potere acquisitivo in parola risiede, peraltro, nello stesso valore sanante dell’illegittimità della procedura espropriativa, anche se solamente operante ex nunc. In realtà, si evidenzia che l’esercizio del potere autoritativo di acquisizione dell’area al proprio patrimonio indisponibile, attraverso l’adozione di un atto amministrativo che consente di evitare la restituzione del bene e di sanare la commessa illegalità, ha assunto la natura di strumento ordinario, a mezzo del quale "si legalizza l’illegale" (per utilizzare la stessa terminologia usata dal T.A.R. per la Campania) ossia si legittima l’acquisto dell’area privata ove sia già stata realizzata un’opera pubblica in assenza del valido decreto di espropriazione; nel mentre, per contro, le disposizioni dall’Art. 1 all’Art. 42 del Testo Unico hanno inteso dettare una procedura a garanzia degli interessi coinvolti con doveri, obblighi e limiti e che culmina con il decreto di espropriazione, che potrà essere emanato solo dopo la dichiarazione di pubblica utilità, l’Art. 43 consente di sanare l’illecito aquiliano conseguente alla intervenuta occupazione senza titolo che poi viene meno al momento dell’atto di acquisizione, a mezzo del quale l’Amministrazione diviene titolare di un immobile da essa stessa utilizzato per fini di interesse pubblico e modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, così capovolgendosi la garanzia costituzionale dei diritto di proprietà di cui all’Art. 42 Costituzione, ciò tanto nella fattispecie dell’occupazione appropriativa quanto in quella dell’occupazione usurpativa, sia che la dichiarazione di pubblica utilità non vi è mai stata o è nulla sia che tale provvedimento sia stato annullato, ovvero che sia stato annullato altro atto o provvedimento della procedura ablativa – espropriativa.

La previsione normativa, di cui all’Articolo 43 del Nuovo Testo Unico in materia di espropriazione per causa di pubblica utilità appare, pertanto, effettivamente incostituzionale nella misura in cui essa consente alla Pubblica Amministrazione, anche deliberatamente, attraverso l’utilizzazione dell’istituto giuridico in oggetto di eludere gli obblighi procedimentali della instaurazione del contraddittorio, delle tre fasi progettuali e della verifica delle norme di conformità urbanistica, le quali ultime peraltro sono poste non soltanto dall’Autorità Comunale, ma anche da quella Regionale e da quelle preposte alla tutela di ulteriori e distinti vincoli. Tra l’altro, la disposizione normativa sospettata di incostituzionalità non sembra pretendere che il fine pubblico si ponga in rapporto immediato con il prodotto della modifica, laddove nell’occupazione appropriativa la dichiarazione di pubblica utilità imprime una connessione diretta tra scopo e bene trasformato. In verità dubbi sulla legittimità dell’istituto in parola sono stati manifestati, sotto diversa prospettiva, anche dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che, con le recenti decisioni 12 gennaio 2006 e 8 dicembre 2005, ha evidenziato come la deroga alle regole fissate per l’espropriazione crei il rischio di un risultato arbitrario ed imprevedibile in violazione del principio di certezza del diritto, essendo in ogni caso necessario garantire il rispetto della legalità sostanziale.

Per parte propria le Comité des Ministres du Conseil de l’Europe in data 14 febbraio 2007 ha provveduto, con una risoluzione, ad impartire una serie di indicazioni relative all’interpretazione dell’Art. 43 al fine di soddisfare le esigenze della Convenzione dei diritti dell’uomo. In altri termini non è più possibile prescindere dai principi costituzionali e della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, cui si è ispirato il Testo Unico n. 327/2001, in base ai quali il diritto di proprietà può essere acquistato dall’Amministrazione solo con l’emanazione di un formale provvedimento amministrativo, di esproprio o di acquisizione a titolo di sostanziale sanatoria ma corrispondendo al proprietario il danno arrecato in forma piena ed incondizionata (cfr., in terminis, Consiglio di Stato, Sezione IV^, 10 aprile 2008, n. 1552; Consiglio di Stato, Sezione IV^, 30 novembre 2007, n. 6124; Consiglio di Stato, Sezione IV^, 16 novembre 2007, 5830; Consiglio di Stato, Sezione IV^, 27 giugno 2007, n. 3752; Consiglio di Stato, Sezione IV^, 21 maggio 2007, n. 2852). In relazione all’Articolo 117 della Costituzione il Giudice remittente ha argomentato come segue. Non può ignorarsi quanto di recente (cfr. Corte Costituzionale, 24 ottobre 2007, n. 349) dichiarato con riguardo all’Art.5-bis del D.L. n. 333 del 1992, convertito in Legge n. 359 del 1992, il cui comma 7 bis, quale introdotto dall’Art. 3, comma 65, della Legge n. 662/1996, è stato dichiarato incostituzionale in quanto non prevederebbe un ristoro integrale del danno subito per effetto dell’occupazione acquisitiva da parte della Pubblica Amministrazione, corrispondente al valore di mercato del bene occupato, dunque in contrasto con gli obblighi internazionali sanciti dall’Art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU e con l’Art. 117, primo comma, della Costituzione.

Quest’ultima disposizione condiziona l’esercizio della potestà legislativa dello Stato e delle Regioni al rispetto degli obblighi internazionali, tra i quali indubbiamente rientrano quelli derivanti dalla CEDU, rendendo inconfutabile la maggior forza di resistenza delle norme CEDU rispetto a Leggi ordinarie successive ed attraendole nella sfera di competenza della Corte Costituzionale, dal momento che l’asserita incompatibilità tra la norma legislativa ordinaria e la norma CEDU si presenta come una questione di legittimità costituzionale per eventuale violazione dell’Art. 117, comma I^, della Costituzione quale non può ritenersi operante solo nell’ambito dei rapporti tra lo Stato e le Regioni. Nella fattispecie, il contestato Articolo 43 non appare conforme ai principi della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo, le quali hanno una diretta rilevanza nell’Ordinamento Interno (Art. 117, primo comma, Costituzione, secondo le quali le leggi devono rispettare i "vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario") e con lo stesso Art. 6 (F) del Trattato di Maastricht (modificato dal Trattato di Amsterdam), in base al quale "l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ... in quanto principi generali del diritto comunitario". La costante giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (20 aprile 2006; 15 novembre 2005; 17 maggio 2005) ha sul punto più volte riaffermato il diretto contrasto con l’Art. 1, Prot. 1), della Convenzione della prassi interna sulla "espropriazione indiretta" od “accessione invertita”, secondo cui l’Amministrazione diventerebbe proprietaria del bene in assenza di un atto ablatorio; le norme della CEDU del resto integrano il parametro costituzionale ed è necessario che siano conformi alla Costituzione, mentre lo scrutinio di costituzionalità nei loro riguardi non può limitarsi alla possibile lesione dei principi e dei diritti fondamentali o dei principi supremi, ma si estende ad ogni profilo di contrasto tra le "norme interposte" e quelle costituzionali. Quanto, infine, all’Articolo 76 della Costituzione, il Giudice a quo ha premesso che la Legge n. 59/1997 dispone che la legge annuale di semplificazione prevede la delegificazione di procedimenti amministrativi ed il riordino normativo di vari settori dell’Ordinamento. In particolare, a fronte di un "caos normativo", con la redazione dei Testi Unici previsti dagli Articoli 7 ed 8 della Legge n. 50/1999 si è effettuata una codificazione per settori delle disposizioni, anche di rango diverso, stratificatesi nel corso degli anni, raccogliendosi le norme di grado secondario, relative ai procedimenti già delegificati, e le disposizioni legislative rimaste estranee a tale fenomeno. In considerazione della contemporanea vigenza di norme eterogenee, concernenti ogni fase del procedimento espropriativo, si ritenne di non riportare nel Testo Unico tutte le norme in vigore, redigendosi perciò un articolato di carattere generale con l’abrogazione di tutte le precedenti normative, generali o di settore.

Il risultato è stato quello di concepire il provvedimento di esproprio come il provvedimento terminale di un terzo procedimento, spesso con carattere dovuto in quanto l’Amministrazione si è immessa nel possesso del bene in base al Decreto di occupazione d’urgenza, collegato agli altri due precedenti procedimenti dell’imposizione del vincolo preordinato all’esproprio e della dichiarazione di pubblica utilità che interviene con l’approvazione del progetto definitivo. Tuttavia l’Art.7, comma 2, lett. d) della Legge n.50/1999 ha unicamente previsto che il Governo desse luogo al mero "coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo". Ora, se così è, non pare che la norma della cui costituzionalità si dubita trovi riferimento o principi e criteri direttivi in norme preesistenti, né può agevolmente sostenersi che la figura dell’acquisizione unilaterale ad opera della P.A. costituisca una modifica necessaria per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa; non era dunque consentito, se non eccedendo i limiti della delega, contemplare l’emanazione di un legittimo provvedimento di acquisizione sanante, pur con la considerazione che si tratta dell’unico rimedio riconosciuto dall’Ordinamento alla Pubblica Amministrazione per evitare la restituzione dell’area in favore del privato. La norma si pone dunque radicalmente in contrasto con le finalità che, attraverso i principi ed i criteri enunciati, la legge delega si era prefissata.

La parola passa (o, per meglio, dire: già è passata) ora alla Corte Costituzionale: sarà l’Organo della costituzionalità a dirci se effettivamente l’Articolo 43 del Testo Unico delle espropriazioni è conforme, o meno, al dettato costituzionale ed alla normativa contenuta nella Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali. E speriamo si tratti, davvero, di una sentenza in linea con le importanti aspettative che la complessa materia evoca e richiede.

Si sottolinea che il presente contributo riflette, come sempre, le riflessioni  di colui che lo ha redatto. Con l’occasione, mi permetto di porgere a tutti i frequentatori e lettori del sito Fervidi Auguri di buon Anno Nuovo, ricco di armonia, pace e speranza di un mondo migliore.

Padova, lì 04.01.2009

Giovanni Attilio De Martin

Ultimo aggiornamento ( lunedì 12 gennaio 2009 )
 
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