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LA GIURISPRUDENZA PIU' RECENTE DEL TAR VENETO IN MATERIA DI OUTLET E PARCHI COMMERCIALI PDF Stampa E-mail
giovedì 29 ottobre 2009

 Tar Veneto, Sez. III, sentenze nn.  2339/09, 2340/09, 2341/09, 2342/09

 

N. 2339/09     


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso introduttivo e sul primo e secondo e atto per motivi aggiunti, rubricati al n. 110 del 2007, proposti dalla s.r.l. Dal Ben Tre, in persona dell’amministratore unico Monica Dal Ben, rappresentata e difesa dall’avvocato Ludovica Bernardi e domiciliata presso lo studio di quest’ultima in Venezia, S. Croce n. 468/B);
contro
il Comune di Roncade, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Munari e domiciliato presso lo studio dello stesso in Venezia, S. Croce n. 464;
nei confronti di
del Gruppo Basso s. p. a. , in persona del legale rappresentante “pro tempore”, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dagli avvocati Vittorio Domenichelli, Guido Zago e Francesco Curato, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Venezia, S. Croce n. 468/B);
e di
Provincia di Treviso e Regione Veneto, non costituitesi in giudizio;;
per l'annullamento
-quanto al ricorso introduttivo:
1) del verbale della conferenza di servizi tenutasi il 28 settembre 2006, ai sensi dell’art. 20 della l. reg. n. 15/04, ove è stata assunta decisione favorevole in ordine alla richiesta presentata dalla Gruppo Basso spa di modifica della ripartizione interna della superficie di vendita del parco commerciale ricadente all’interno della lottizzazione Fusana del Comune di Roncade, e al conseguente riconoscimento di un outlet;
2) dei provvedimenti del Comune di Roncade prot. n. 4699 del 14 marzo 2005, prot. n. 4703 del 14 marzo 2005, prot. n. 47 del 14 marzo 2005, prot. n. 2902 del 23 dicembre 2004, prot. n. 23094 del 23 dicembre 2004, prot. n. 23095 del 23 dicembre 2004, prot. n. 23097 del 23 dicembre 2004, con i quali è stata concessa una proroga di dodici mesi del termine utile per l’attivazione delle strutture di vendita alla Promedi srl;
3) della delibera ricognitiva n. 154, in data 19 ottobre 2005, della Giunta comunale di Roncade, avente a oggetto “Parchi commerciali: verifica esistenza sul territorio comunale”;
4) della delibera n. 69, in data 18 novembre 2005, del Consiglio comunale di Roncade, avente a oggetto “esame ed adozione di una variante parziale al P.R.G. ai sensi dell’art. 50, comma 4, L.R. 61/1985 e s.m.i. finalizzata all’individuazione dei parchi commerciali”;
5) della delibera n. 26, in data 3 maggio 2006, del Consiglio comunale di Roncade, con la quale è stata approvata la “variante parziale al P.R.G., ai sensi dell’art. 50, comma 4, della L.R. n. 61/1985 e s.m.i. finalizzata all’individuazione dei parchi commerciali – art. 50, L.R. 15/2004 – esame osservazioni ed approvazione”;
6) del provvedimento prot. n. 487, in data 9 gennaio 2006, con il quale il responsabile del servizio Sportello Attività Produttive del Comune di Roncade ha concesso proroga fino al 2 marzo 2007 del termine utile per l’attivazione della grande struttura di vendita al gruppo Basso s.p.a.;
7) del provvedimento prot. n. 2525, in data 3 febbraio 2006, con il quale il responsabile del Servizio Sportello Unico Attività Produttive del Comune di Roncade ha deciso di autorizzare l’impresa Gruppo Basso spa alla proroga del termine di attivazione delle m. s. v. in parco commerciale fino al 29 settembre 2007;
-quanto al primo atti di motivi aggiunti: 8) del provvedimento prot. n. 0018857, in data 13 ottobre 2007, con cui il responsabile del Servizio Sportello Unico Attività Produttive del Comune di Roncade ha accolto la richiesta di riesame formulata dalla Gruppo Basso spa, in data 23 luglio 2007, emanando – ora per allora – l’atto con cui la stessa Amministrazione comunale aveva concesso alla predetta società la prima proroga per l’attivazione delle sette medie strutture di vendita della lottizzazione Fusana;
9) del provvedimento prot. n. 0019191, in data 18 ottobre 2007, con cui il responsabile del Servizio Sportello Unico Attività Produttive del Comune di Roncade ha accolto la richiesta di riesame formulata dalla Gruppo Basso spa, in data 23 luglio 2007, emanando – ora per allora- l’atto con cui la stessa Amministrazione comunale aveva concesso alla predetta società la seconda proroga per l’attivazione delle sette medie strutture di vendita della lottizzazione Fusana;
-quanto al secondo atto di motivi aggiunti:
10) del provvedimento n. 0005126, in data 19 marzo 2007, con cui il responsabile del Servizio Sportello Unico Attività Produttive del Comune di Roncade ha autorizzato l’apertura di una grande struttura di vendita, tipologia centro commerciale-outlet, avente una superficie pari a 7.969 mq. e facente parte del parco commerciale sito in Roncade all’interno della lottizzazione Fusana;
11) del parere della Commissione provinciale per la valutazione dell’impatto ambientale della Provincia di Treviso, in data 7 novembre 2007, recante il giudizio favorevole di compatibilità ambientale del progetto “Factory Outlet Centre” relativo alla realizzazione di un parco commerciale-outlet di 11.317 mq. in Comune di Roncade, lottizzazione Fusana;
12) della delibera n. 542, in data 10 dicembre 2007, con la quale la Giunta provinciale di Treviso ha espresso, ai sensi dell’art. 19 della L.R. 26 marzo 1999, n. 10, il proprio giudizio favorevole di compatibilità ambientale sul progetto “Factory Outlet Centre”, riguardante la realizzazione di un parco commerciale -outlet di 11.317 mq. in Comune di Roncade, lottizzazione Fusana;
13) del verbale della conferenza di servizi tenutasi il 29 luglio 2008, ai sensi dell’art. 20 della L.R. 13 agosto 2004, n. 15, ove è stata accolta la richiesta della Gruppo Basso spa, di modifica della ripartizione interna della superficie di vendita del parco commerciale -outlet ricadente all’interno della lottizzazione Fusana del Comune di Roncade; nonché di ogni atto presupposto, conseguente e comunque connesso, ivi comprese le deliberazioni della Giunta comunale di Roncade, n. 100 del 30 giugno 2008 e n. 111 del 14 luglio 2008;

visti il ricorso introduttivo e i ricorsi per motivi aggiunti, con i relativi allegati;
viste le memorie di costituzione in giudizio del Comune di Roncade e del Gruppo Basso, con i relativi allegati;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti della causa;
uditi, all’udienza del 23 aprile 2009 (relatore il consigliere Marco Buricelli), gli avvocati: Bernardi per la ricorrente, Amadio in sostituzione di Munari per il Comune di Roncade e De Salvia in sostituzione di Domenichelli, e Zago per il Gruppo Basso;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO
1.-La società ricorrente espone:
-di esercitare attività di commercio al dettaglio in sede fissa nel comune di Monastier (TV);
-di gestire, in particolare, una grande struttura di vendita di prodotti del settore non alimentare dell’abbigliamento e dell’arredo casa, avente una superficie di vendita di circa 6.000 mq., inserita nell’area commerciale sovracomunale n. 3 -“Treviso –Castelfranco”, all’interno della quale rientra, tra l’altro, anche il comune di Roncade;
-di avere avuto notizia che, nel comune di Roncade, l’area interessata alla lottizzazione Fusana è stata classificata come zona destinata a parco commerciale e che vi verrà realizzato e attivato, ad opera della società Gruppo Basso, un parco commerciale –outlet;
-che l’illegittima attivazione del parco commerciale –outlet della società Gruppo Basso determinerebbe la perdita della clientela della ricorrente.
Ciò esposto la società Dal Ben, con ricorso notificato il 9 gennaio 2007, ha impugnato i provvedimenti elencati in epigrafe dal n. 1) al n. 7).
Nella parte in “fatto” del ricorso introduttivo si evidenzia in particolare che, con la delibera consiliare n. 26 del 3 maggio 2006, di approvazione della variante parziale al p. r. g. , è stato inserito, all’interno dell’àmbito del parco commerciale, anche il lotto n. 2, in origine non ricompreso nel perimetro del parco medesimo.
Ottenuto l’aumento della superficie da destinare all’attività commerciale, il Gruppo Basso ha chiesto al Comune, alla Provincia e alla Regione Veneto il rilascio dell’autorizzazione a modificare la ripartizione interna della superficie di vendita del parco commerciale, e ad aprire un grande complesso da destinare ad outlet.
Nella riunione del 28 settembre 2006 la conferenza di servizi ha accolto la domanda della società Gruppo Basso, intesa ad ottenere il rilascio dell’autorizzazione commerciale per la modifica della ripartizione interna della superficie di vendita del parco commerciale esistente, di mq. 11317 –lottizzazione Fusana, nei termini di seguito indicati:
-una grande struttura di vendita –tipologia centro commerciale –outlet, di mq. 7969, riferita al settore merceologico non alimentare, ripartita in 37 esercizi di vicinato;
-una grande struttura di vendita –tipologia esercizio singolo, con una superficie di vendita di mq. 2800, del settore non alimentare generico;
-una media struttura di vendita –tipologia esercizio singolo, con superficie di vendita di mq. 548, del settore non alimentare generico.
Con il ricorso introduttivo la Dal Ben Tre ha proposto 14 censure, concernenti violazione di legge ed eccesso di potere sotto molteplici profili.
Nel frattempo, le deliberazioni nn. 154/05, 69/05 e 26/06, e i provvedimenti con i quali sono state accordate le proroghe dei termini per l’attivazione delle medie strutture di vendita, sono stati impugnati con il ricorso n. 1540 del 2006, dalla società Iper Gara, titolare di un centro commerciale in San Biagio di Callalta (TV).
Con sentenza n. 938 del 23 febbraio -26 marzo 2007 la seconda sezione del Tar ha accolto il ricorso giudicando illegittima la concessione delle prime e delle seconde proroghe e ritenendo fondata la censura relativa alla mancata attivazione della procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA).
La sentenza è stata appellata ma il Gruppo Basso, nel luglio del 2007, ha chiesto al Comune di Roncade di esprimersi nuovamente sulle domande di proroga già presentate, e di riconoscere l’esistenza delle ragioni di comprovata necessità richieste per la concessione delle proroghe medesime. La controinteressata ha illustrato le ragioni che giustificavano, e giustificano, l’accoglimento delle richieste medesime, e il Comune ha concesso un nuovo termine per l’attivazione delle strutture, corrispondente a quello di ultimazione dei lavori di cui ai permessi di costruire già rilasciati e prorogati fino al 30 settembre 2008.
In data 13 ottobre e 18 ottobre 2007 il Comune ha rilasciato alla società gruppo Basso, “ora per allora”, i provvedimenti di concessione, rispettivamente, delle prime e delle seconde proroghe dei termini per l’attivazione delle medie strutture di vendita, concedendo, contestualmente, un nuovo termine per attivare le strutture di vendita, coincidente con quello di ultimazione dei lavori di cui ai permessi di costruire già assentiti fino al 30 settembre 2008.
Contro i provvedimenti suddetti la Dal Ben Tre, nel gennaio del 2008, ha promosso ricorso per motivi aggiunti, deducendo illegittimità derivata e illegittimità propria degli atti medesimi, indicati in epigrafe ai numeri 8) e 9).
Sempre nelle more della decisione del giudizio d’appello, il Gruppo Basso ha sottoposto l’intera struttura al giudizio di compatibilità ambientale, previsto dall’art. 19 della l. reg. n. 19/99, della Provincia di Treviso.
Con delibera n. 542 del 10 dicembre 2007 la Giunta provinciale ha espresso, ai sensi dell’art. 19 della l. reg. n. 10/99, giudizio favorevole di compatibilità ambientale del progetto di outlet relativamente a una superficie di vendita di mq. 11317.
La DGP n. 542/07, insieme agli atti presupposti e al successivo verbale della conferenza di servizi del 29 luglio 2008 (v. epigrafe, dal n. 10) al n. 13), è stata impugnata dalla Dal Ben Tre con il secondo ricorso per motivi aggiunti.
Appare opportuno aggiungere che con sentenza n. 782 del 29 febbraio 2008 la quarta sezione del Consiglio di Stato ha accolto l’appello proposto dalla società Gruppo Basso e, per l’effetto, ha rigettato il ricorso di primo grado della Iper Gara.
Il giudice d’appello ha ritenuto che le due ragioni, sulle quali il Tar aveva fondato l’accoglimento del ricorso, “e precisamente la illegittimità delle proroghe concesse dal Comune alla messa in opera degli esercizi commerciali e la mancata previa valutazione di impatto ambientale” (fossero) entrambe da disattendere.
Relativamente alle proroghe –ha proseguito il Cons. St.- va rilevato che il termine che ad esse si riferisce è teso ad evitare dilazioni operative che andrebbero a vulnerare la ragione stessa del rilascio delle autorizzazioni, e cioè il concreto inserimento nel settore commerciale di strutture di vendita considerate necessarie per dare al settore stesso il suo più completo ed armonico sviluppo.
Ma ciò concerne l’eventuale attività dilatoria dei soggetti autorizzati, mentre quando il ritardo dell’apertura non è addebitabile a tali pratiche, ma si innesti in evenienze non imputabili ai soggetti autorizzati e dagli stessi non controllabili, allora, evidentemente, la regola dei termini deve essere diversamente apprezzata.
Ora, nella specie, è accaduto che, per ragioni in gran parte dovute a nuove e diverse prescrizioni in ordine all’esecuzione delle opere di urbanizzazione concernenti l’area di allocazione delle strutture di vendita, queste hanno subito un ritardo, per cui, conseguentemente, non è stato possibile rispettare il termine per l’apertura delle strutture di vendita medesime.
Né può parlarsi di carenza di motivazione, in quanto i provvedimenti concessivi delle proroghe si riferiscono espressamente alla situazione di fatto rappresentata dal soggetto istante, che l’Amministrazione ha ritenuto di fare propria, in quanto ben conosciuta dalla stessa e ritenuta corrispondente alla realtà.
Per quanto concerne la mancata procedura di valutazione di impatto ambientale, va precisato che la stessa è un’attività preventiva e non successiva; pertanto, la stessa non può che riferirsi a quei parchi commerciali ancora “in nuce” e non certo a quell’attività, come nella specie, di ricognizione dei parchi commerciali già sostanzialmente esistenti, ove le autorizzazioni commerciali sono state già rilasciate, per i quali una procedura di valutazione di impatto ambientale (che, si ripete, è attività preventiva) non avrebbe senso.
L’appello principale va, pertanto, accolto…”.
Poiché le censure dedotte dalla Dal Ben Tre avverso i provvedimenti impugnati coincidono solo in parte con quelle a suo tempo formulate dalla società Iper Gara, appare evidente che permane l’interesse di Dal Ben Tre a vedere deciso il presente ricorso.
Resistono Comune e Gruppo Basso.
2.1.-In diritto vanno anzitutto esaminate e decise le eccezioni sollevate in rito dalle difese del Comune e della società Gruppo Basso.
2.1.1.-La difesa della società Gruppo Basso eccepisce la inammissibilità del ricorso introduttivo “per la mancata notifica, alla controinteressata Lefim s.p.a., società che non solo è proprietaria delle aree oggetto della avversata variante al p.r.g. ricognitiva del parco commerciale, ma è anche titolare del piano di lottizzazione “Fusana”.
L’eccezione è infondata e va respinta.
In disparte il rilievo secondo cui, se Lefim fosse qualificata come soggetto controinteressato nel presente procedimento, ciò non basterebbe per determinare una pronuncia di inammissibilità del giudizio dato che il ricorso è stato notificato, oltre che al Comune di Roncade, alla Provincia di Treviso e alla Regione Veneto, quali parti resistenti, anche alla Gruppo Basso s.p.a., quale controinteressata, e l’art. 21 della l. n. 1034 del 1971 prevede che, qualora vi siano più controinteressati, il ricorso dev’essere notificato ad almeno uno di essi, potendo il Tar ordinare le notificazioni ulteriori agli altri controinteressati; il collegio ritiene decisivo osservare che dalla lettura dei provvedimenti impugnati e dall’esame degli atti del giudizio nel loro complesso si ricava che soltanto la società Gruppo Basso viene esplicitamente individuata quale soggetto che ha un interesse effettivo alla attivazione di un parco commerciale –outlet nell’area situata all’interno della lottizzazione Fusana.
Nel giudizio odierno, infatti, viene in contestazione non la costruzione in sé dei fabbricati, quanto invece l’avvenuta ricognizione, nelle strutture di vendita edificate e mai attivate, di un parco commerciale –outlet. In questa situazione risulta chiaro che l’accoglimento del ricorso e l’annullamento dei provvedimenti in epigrafe indicati danneggerebbero in via esclusiva la posizione della Gruppo Basso, quale unica titolare dell’autorizzazione all’apertura del parco commerciale –outlet.
Viceversa, l’annullamento della delibera di ricognizione e della variante impugnate non arrecherebbe alcun pregiudizio alla società Lefim, ben potendo, la stessa, continuare a edificare in quei luoghi.
2.1.2.-Nella memoria 18 settembre 2008 la difesa del Comune eccepisce la inammissibilità del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti a causa della “mancata notifica della impugnativa della delibera della conferenza di servizi alla conferenza medesima, organo straordinario con il compito di valutare le domande e con poteri autonomi e ulteriori rispetto a quelli propri di ciascuna amministrazione partecipante”.
L’eccezione è infondata e va respinta giacché la conferenza di servizi è solo un modulo procedimentale e non costituisce un ufficio speciale della P. A. e, comunque, un soggetto giuridico autonomo (cfr. Cons. St. , sez. V, sent. n. 2108/07).
La stessa è dunque priva di legittimazione passiva, legittimazione che, viceversa, spetta alle singole amministrazioni che la compongono.
Da ciò discende l’infondatezza anche dell’eccezione su esposta.
2.2.-Quanto al merito, va premesso che il collegio ritiene opportuno impostare la motivazione della sentenza seguendo l’elencazione delle censure articolate dalla ricorrente nel ricorso introduttivo e negli atti per motivi aggiunti.
2.2.1.-Con il motivo sub 1), concernente violazione dell’art. 1, lettere b), f), g) e j) della l. reg. n. 15/04 e dell’art. 97 Cost., nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione, la Dal Ben Tre premette che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della l. reg. n. 15/04, la programmazione commerciale e urbanistica della rete distributiva nell’ambito della Regione Veneto persegue, tra l’altro, le seguenti finalità:
e) rendere compatibili gli insediamenti commerciali con il territorio e valorizzare la funzione commerciale, anche al fine di una riqualificazione del tessuto urbano…
f) regolare la presenza e lo sviluppo delle grandi strutture di vendita al fine di contenere l'uso del territorio, assicurare le compatibilità ambientali, salvaguardando l'equilibrio con le altre tipologie distributive;
g) valutare i progetti di insediamento rispetto agli assetti socio-economici, insediativi, infrastruttruali e della mobilità, dei flussi turistici e della rete distributiva in riferimento alla disponibilità di servizi al consumatore…
j) favorire una organizzazione e gestione della logistica volte al miglioramento della competitività e alla diminuzione degli impatti sul traffico e sull'ambiente…”
Ciò premesso, la ricorrente è dell’avviso che né il privato richiedente, né l’amministrazione emanante, abbiano effettuato le ponderazioni e le valutazioni richieste dalla legge regionale: da ciò discenderebbero il difetto di istruttoria e di motivazione che renderebbero illegittima la decisione della conferenza di servizi.
A giudizio del collegio la censura, che comunque risulta sufficientemente specifica e quindi appare tutt’altro che inammissibile, è infondata e va respinta, poiché dall’esame della documentazione prodotta in giudizio emerge che nel corso dell’istruttoria svolta sugli aspetti urbanistico –ambientali, commerciali e della viabilità, sono stati esaminati in modo adeguato i profili riguardanti la compatibilità dell’insediamento commerciale con il territorio, l’ambiente, l’assetto distributivo e la viabilità.
2.2.2.-Con la censura sub 2), recante violazione degli articoli 18, comma 7, e 10, comma 3, della l. reg. n. 15/04, ed eccesso di potere per difetto di istruttoria, la ricorrente osserva che illegittimamente il progetto di parco commerciale –outlet non è stato sottoposto alla procedura di VIA che, invece, era imprescindibile.
A sostegno del motivo la Dal Ben Tre rileva:
-che l’art. 10, comma 3, della l. reg. n. 15/04 dispone che “ogni modificazione relativa ai parchi commerciali esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge o di nuova costituzione è regolata dalle norme di cui al presente articolo nonché dall'articolo 18”;
-che l’art. 18, comma 7, primo periodo, l. reg. cit. prevede che “tutte le grandi strutture di vendita ed i parchi commerciali con superficie di vendita superiore a mq. 8000 sono assoggettati alla valutazione di impatto ambientale (VIA)”;
-che l’art. 20, comma 1, lett. d), stabilisce che la conferenza di servizi finalizzata al rilascio dell'autorizzazione riferita a grandi strutture di vendita o parchi commerciali è indetta: … lett. d) per ogni altra modificazione delle autorizzazioni rilasciate, con particolare riferimento alla ripartizione interna che interessi oltre il venti per cento della superficie complessiva o che comunque comporti la modifica della ripartizione dei settori merceologici, alle modifiche delle prescrizioni nonché ad ogni altra modifica sostanziale”;
-che poiché la modifica della ripartizione interna della superficie di vendita del parco commerciale riguarda 7969 mq. , ossia una superficie di gran lunga superiore al 20% dell’intera area, che è di 11.317 mq., era necessario sottoporre il progetto di modificazione alla procedura di VIA.
Nel ricorso si evidenzia poi che si fa questione della modifica di un parco commerciale avente una superficie complessiva superiore agli 8.000 mq.
Per decidere sul motivo sopra riassunto –che è infondato e va respinto- il collegio può fare a meno di accertare: a) se la censura risulta, o no, superata alla luce di Cons. St., IV, sent. n. 782/08 che, sul punto, ha escluso la riferibilità della procedura di VIA all’attività di ricognizione di parchi commerciali già sostanzialmente esistenti, e in presenza di autorizzazioni commerciali già rilasciate, per i quali una procedura di VIA, che è attività preventiva, non avrebbe senso; e b) se la mancata sottoposizione alla procedura di VIA sia stata “sanata” dal parere favorevole reso dalla commissione provinciale VIA in data 7 novembre 2007, e dalla successiva delibera della Giunta provinciale (DGP) n. 542 del 10 dicembre 2007.
La censura è infondata e va respinta poiché nel ricorso si procede da una premessa interpretativa erronea.
E infatti, il combinato disposto di cui agli articoli 10, comma 3, e 18, comma 7, della l. reg. n. 15/04, dev’essere interpretato nel senso che va assoggettata a procedura di VIA ogni modifica, relativa a parchi commerciali (esistenti), che concerne una superficie di vendita superiore agli 8.000 mq.
Nel caso in esame, la modifica della ripartizione interna riguarda(va) in via esclusiva una superficie di vendita di 7.969 mq. , corrispondente alla superficie di vendita dell’outlet, autorizzata nella seduta della conferenza di servizi del 28 settembre 2006.
In altre parole, la “ratio” delle disposizioni di cui agli articoli 10, comma 3, e 18, comma 7, della l. reg. n. 15/04 va individuata nell’esigenza di sottoporre a VIA progetti che comportino significative modifiche delle ripartizioni interne delle superfici di vendita.
Se così è poiché, nella specie, la modifica della ripartizione interna di una parte –di mq. 7.969- della superficie complessiva del parco commerciale, pari a mq. 11.317, non ha avuto quale effetto il superamento del limite dimensionale degli 8.000 mq. di superficie di vendita, limite oltre il quale la legge regionale prescrive l’assoggettamento della struttura alla VIA, correttamente la modifica della ripartizione interna non è stata assoggettata a VIA. Il limite degli 8.000 mq. riguarda, insomma, l’estensione della superficie oggetto di modifica della ripartizione interna, e non la superficie di vendita complessiva del parco commerciale, modificato.
Va solo aggiunto che la variazione della ripartizione interna, superiore al 20%, di cui all’art. 20, comma 1, lett. d) della l. reg. n. 15/04, non riguarda le fattispecie per le quali è necessario l’assoggettamento a VIA (come parrebbe ritenere la Dal Ben Tre laddove sottolinea che la superficie di 7969 mq. è di gran lunga superiore al 20% dell’intera area, di complessivi 11.317 mq., per ricavarne l’obbligatorio assoggettamento a VIA), ma si riferisce ai casi per i quali va indetta la procedura di conferenza di servizi.
2.2.3.-Nel rilevare, con la censura sub 3), la violazione dell’art. 12 della l. reg. n. 15/04, e il vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria, la ricorrente rimarca nuovamente l’omessa sottoposizione a VIA prendendo però le mosse da un’angolazione diversa rispetto a quanto fatto con il motivo sub 2), nel senso che l’applicabilità del combinato disposto di cui agli articoli 10, comma 3 e 18, comma 7, della l. reg. n. 15/04, viene fatta derivare dalla qualificazione della struttura come outlet e dalla circostanza che l’art. 12, comma 2, della l. reg. n. 15/04 dispone che per gli outlet, qual è quello in esame, aventi una superficie di vendita superiore ai limiti dimensionali massimi previsti per le medie strutture di vendita, vanno rispettate le procedure previste per i parchi commerciali di cui all’art. 10 (che, al comma 3, come si è visto richiama l’art. 18).
L’impostazione della censura è del tutto analoga a quanto visto sopra al p. 2.2.2. : per le medesime ragioni sopra esposte anche la censura sub 3) dev’essere rigettata.
2.2.4.- Con il motivo sub 4), concernente violazione dell’art. 12, comma 2, della l. reg. n. 15/04, ed eccesso di potere per difetto di motivazione e per errore di fatto la ricorrente espone che:
-in data 28 settembre 2006, oltre alla conferenza di servizi indetta per valutare –favorevolmente- il progetto presentato dal Gruppo Basso, è stata convocata un’altra conferenza di servizi, che ha valutato positivamente l’istanza presentata dalla Immobiliare Sassi il 31 maggio 2006, avente a oggetto l’autorizzazione alla apertura di un parco commerciale –outlet nel Comune di Noventa di Piave (VE), a una distanza di circa 15 km. da Roncade, per una superficie di vendita di 3967 mq. ;
-all’epoca dei fatti il citato art. 12, comma 2, prevedeva che “quando la somma delle superfici di vendita superi i limiti dimensionali massimi di cui all'articolo 7, comma 1, lettere a) e b)”, gli outlet devono avere una distanza fra loro, in linea d'aria, non inferiore a cento chilometri;
-nella seduta del 28 settembre 2006 la conferenza di servizi non avrebbe potuto accogliere due domande di autorizzazione all’apertura di due outlet, a una distanza di circa 15 km. l’uno dall’altro, ed entrambi eccedenti i limiti dimensionali massimi indicati dal citato art. 12, comma 2. In particolare, non avrebbe dovuto approvare il progetto del parco commerciale –outlet, in comune di Roncade, in quanto situato a soli 15 km. di distanza dall’outlet assentito in comune di Noventa di Piave;
-solo con la l. reg. 16 agosto 2007, n. 21, adottata in adempimento della previsione di cui all’art. 3, comma 4, del d. l. n. 223 del 2006, conv. con mod. in l. n. 248 del 2006, il sopra trascritto art. 12 è stato modificato eliminando l’imposizione della distanza minima di 100 km. tra gli outlets. In ogni caso, la necessità di rispettare il limite di distanza minimo dei 100 km. può dirsi venuta meno solo a partire dal 1° gennaio 2007, e non prima;
-alla data del 28 settembre 2006 il limite della distanza di 100 km. era vigente e applicabile, e di ciò le amministrazioni avrebbero dovuto tenere conto.
Ciò detto, l’infondatezza della quarta censura nel merito esime il collegio dal prendere posizione, in particolare, sull’eccezione di inammissibilità per genericità sollevata dalle difese del Comune di Roncade e del Gruppo Basso.
In disparte l’osservazione che l’iniziativa del Gruppo Basso risulta anteriore, sul piano cronologico, rispetto alla iniziativa relativa al Comune di Noventa di Piave, il che potrebbe far ritenere la fattispecie “de qua” non soggetta al disposto di cui all’art. 12, comma 2, l. reg. n. 15/04, il collegio è dell’avviso che la censura sopra riassunta debba ritenersi superata alla luce della sopravvenuta entrata in vigore della l. reg. 16 agosto 2007, n. 21, che ha soppresso il limite dei 100 km. di distanza tra gli outlets.
A questo proposito il collegio ritiene plausibile affermare che come, in nome dei principi di economia dei mezzi giuridici e di conservazione degli atti, l’art. 21 –octies della l. n. 241/90, a determinate condizioni, esclude che provvedimenti, astrattamente annullabili, possano essere caducati, così, a maggior ragione, non possono essere posti nel nulla tutti quei provvedimenti che, pur se assunti in violazione di legge, sono oggi conformi alle mutate prescrizioni normative. “Diversamente opinando, si perverrebbe a una metodica che richiederebbe un doppio passaggio (annullamento dell’atto per carenza di un presupposto e successiva rivalutazione della medesima vicenda con esito favorevole per la medesima parte) del tutto superfluo e contrario alla logica dell’economia processuale” (così Cons. St., V, sent. n. 5214 del 2004).
Con riferimento a una vicenda per alcuni versi simile a quella odierna la V sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5214 del 2004, ha chiarito che “conviene valutare … alla stregua di questa evenienza gli effetti di una pronuncia che, fondandosi sul mero dato formale, ritenesse che, al momento in cui era assentita la concessione edilizia “de qua” sussisteva comunque un elemento di illegittimità (la carenza di sagoma limite) reintrodotta solo in seguito… il giudizio di legittimità dovrebbe, in ogni caso, concludersi con un annullamento sul rilievo della originaria carenza di tutti i presupposti per l’adozione dell’impugnato provvedimento… se lo “jus aedificandi” … si forma anche in seguito, ma pur sempre nell’ambito di una procedura “lato sensu” di riesame, non v’è ragione per negare al titolo così formato la sua piena validità indipendentemente dalla sua originaria deficienza. Diversamente opinando, si perverrebbe a una metodica che richiederebbe un doppio passaggio (annullamento dell’atto per carenza di un presupposto e successiva rivalutazione della medesima vicenda con esito favorevole per la medesima parte) del tutto superfluo e contrario alla logica dell’economia processuale. Sotto questo profilo, deve darsi atto che il provvedimento non soffre più di illegittimità …”.
Anche se la richiamata sentenza del Consiglio di Stato riguardava una controversia devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, si trattava pur sempre di un giudizio di natura impugnatoria avente a oggetto un provvedimento autoritativo: di qui l’adattabilità del precedente giurisprudenziale alla fattispecie odierna.
In ogni caso, anche a prescindere dalla considerazione su esposta che, peraltro, risulta decisiva, il collegio ritiene che la prescrizione della legge regionale sulla distanza minima tra gli outlet non inferiore ai 100 km. sia passibile di disapplicazione dal giudice nazionale, e ciò in ossequio a un orientamento della giurisprudenza della Corte costituzionale (v. sent. n. 389 del 1989 e numerose altre) e della CGCE che ben può dirsi consolidato, il che esime il collegio dall’aggiungere citazioni specifiche.
E infatti:
-le norme comunitarie che disciplinano la concorrenza trovano applicazione diretta all’interno degli Stati membri con l’obbligo, per il giudice nazionale, di disapplicare le norme interne che contrastano con le prime;
-se l’abrogazione esplicita disposta dall’art. 2, comma 3, del d. l. n. 223 del 2006, conv. in l. n. 248 del 2006, è stata circoscritta alle disposizioni legislative e regolamentari statali di disciplina del settore della distribuzione commerciale incompatibili con le disposizioni dell’ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza, ciò è avvenuto perché il legislatore statale non poteva emanare una analoga disposizione abrogatrice nei confronti di norme di legge regionali in materia di commercio, vale a dire in una materia che, dalla modifica del Titolo V della Costituzione in poi, appartiene alla competenza delle regioni (cfr. art. 117, comma 4, Cost.). Detto altrimenti, la legge statale non poteva disporre l’abrogazione espressa di norme di legge regionale in una materia in cui la prima difetta ormai di competenze;
-d’altra parte, è anche vero che il decreto c. d. Bersani del 2006 e la legge di conversione contengono disposizioni che, pur se destinate a inserirsi nell’ambito del commercio, dettano regole in una materia, quella della tutela della concorrenza, che è espressione di competenza esclusiva dello Stato (cfr. art. 117, comma 2, lett. e) Cost.), ferma l’osservanza della disciplina comunitaria direttamente applicabile all’interno degli Stati membri. Ne è certo priva di significato la circostanza che il citato art. 3 del d. l. n. 223 del 2006 si intitoli “regole di tutela della concorrenza nel settore della distribuzione commerciale”;
-da ciò consegue che l’obbligo sancito, dal citato art. 3, comma 4, a carico di regioni ed enti locali, di adeguare le proprie disposizioni legislative e regolamentari –tra l’altro- sulle distanze tra gli esercizi, entro il 1° gennaio 2007, “non può significare il permanere, fino a tale data, dei limiti derivanti dal rispetto delle distanze stabilite in sede locale, trattandosi di norme direttamente confliggenti con disposizioni dell’ordinamento comunitario di immediata applicazione e, come tali, prevalenti su ordinamenti di rango inferiore, nella gerarchia delle fonti, eventualmente difformi” (così, con riguardo a una vicenda sotto alcuni aspetti analoga a quella odierna, Tar Piemonte, sez. I, sent. n. 1322 del 2007);
-in definitiva l’art. 3, comma 4, del decreto Bersani, nell’obbligare le Regioni ad adeguare la propria normativa al divieto di restringere la concorrenza stabilendo l’osservanza di distanze minime obbligatorie tra esercizi commerciali, risponde alla sola esigenza di “depurare il diritto interno da eventuali incompatibilità o disarmonie con le precedenti norme comunitarie” (C. cost. , n. 389/89). Il limite di distanza dei 100 km. ex l. reg. n. 15/04 non può più ritenersi sussistente, e se ritenuto sussistente andava e va disapplicato, poiché esso contrasta con le regole comunitarie in materia di tutela della concorrenza.
In conclusione, la censura va respinta.
2.2.5.- Con il motivo sub 5), concernente violazione degli articoli 22 del d. lgs. n. 114 del 1998 e 23 della l. reg. n. 15/04, ed eccesso di potere sotto svariati profili, la ricorrente, in sintesi, fa notare che la decisione della conferenza di servizi del 28 settembre 2006, favorevole all’apertura dell’outlet, così come le deliberazioni nn. 154/05, 69/05 e 26/06 si basano sul presupposto che la Gruppo Basso sia titolare di valide autorizzazioni commerciali: precisamente, di sette autorizzazioni relative a medie strutture di vendita e di un’altra, relativa a una grande struttura di vendita. Così però non è, posto che le autorizzazioni commerciali a suo tempo accordate dal Comune alla Promedi –Gruppo Basso, non possono non ritenersi prive di validità in quanto illegittimamente prorogate, e ciò in considerazione della mancata indicazione e, comunque, della insussistenza delle ragioni di comprovata necessità richieste per giustificare le proroghe concesse alla società Gruppo Basso.
Ai fini del rigetto della censura sopra sintetizzata, il collegio non ha che da rammentare che censure analoghe, proposte da Iper Gara, nel ricorso n. 1540/06, contro gli stessi provvedimenti comunali di proroga (per la precisione, il n. 487/06 e il n. 2525/06, impugnati anche con il presente ricorso) , sono state già esaminate, e ritenute infondate, dalla IV sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 782 del 2008; e non ha che richiamare ancora il passaggio motivazionale decisivo della decisione citata, là dove il giudice d’appello rileva che “il termine che si riferisce (alle proroghe) è teso ad evitare dilazioni operative che andrebbero a vulnerare la ragione stessa del rilascio delle autorizzazioni, e cioè il concreto inserimento nel settore commerciale di strutture di vendita considerate necessarie per dare al settore stesso il suo più completo ed armonico sviluppo. Ma ciò concerne l’eventuale attività dilatoria dei soggetti autorizzati, mentre quando il ritardo dell’apertura non è addebitabile a tali pratiche, ma si innesti in evenienze non imputabili ai soggetti autorizzati e dagli stessi non controllabili, allora, evidentemente, la regola dei termini deve essere diversamente apprezzata. Ora, nella specie, è accaduto che, per ragioni in gran parte dovute a nuove e diverse prescrizioni in ordine all’esecuzione delle opere di urbanizzazione concernenti l’area di allocazione delle strutture di vendita, queste hanno subito un ritardo, per cui, conseguentemente, non è stato possibile rispettare il termine per l’apertura delle strutture di vendita medesime. Né può parlarsi di carenza di motivazione, in quanto i provvedimenti concessivi delle proroghe si riferiscono espressamente alla situazione di fatto rappresentata dal soggetto istante, che l’Amministrazione ha ritenuto di fare propria, in quanto ben conosciuta dalla stessa e ritenuta corrispondente alla realtà”.
Questo collegio condivide premesse e conclusioni alle quali giunge il giudice d’appello.
Ma condivide anche, più in dettaglio, i rilievi difensivi comunali incentrati sulla comprovata esistenza di specifiche ragioni di necessità, puntualmente indicate a pagina 12 e seguenti della memoria del Comune di Roncade del 18 settembre 2008, oltre che nella documentazione prodotta in giudizio dal Comune stesso, ragioni idonee a giustificare la concessione sia delle prime, sia delle seconde proroghe, a nulla rilevando in contrario il fatto che talune prescrizioni imposte dalla Provincia siano intervenute prima del rilascio delle autorizzazioni commerciali alla Promedi.
Da ciò discende la reiezione anche del motivo sub 5).
2.2.6.-Con la censura sub 6) la ricorrente deduce la violazione dell’art. 22 del d. lgs. n. 114 del 1998 sotto un profilo diverso da quello appena visto sub 5).
Si sostiene che con l’atto n. 2525/06 il Comune avrebbe illegittimamente procrastinato, “per la seconda volta”, il termine previsto per l’apertura delle medie strutture di vendita.
Ad avviso della ricorrente, il fatto che l’art. 22 del decreto n. 114/98 utilizzi il vocabolo “proroga” al singolare induce a ritenere che l’attivazione dell’esercizio commerciale possa essere rinviata una sola volta, e che non possa ammettersi il ricorso a proroghe reiterate.
A questo proposito, è appena il caso di rilevare che il giudice d’appello, con la già citata sentenza n. 782/08, nel respingere l’appello incidentale di Iper Gara, ha rilevato (a pag. 6) che, “all’evidenza, quando l’art. 22 del d. lgs. n. 114 del 1998 parla di “proroga”, si riferisce all’istituto omonimo, e non ha certamente il significato di vietare più proroghe, altrimenti avrebbe usato ben altre espressioni (“soltanto una proroga”, “esclusivamente una proroga”, “una proroga per una sola volta” e altre espressioni similari)”.
Vale aggiungere che il motivo proposto da Iper Gara nel ricorso n. 1540/06 era stato rigettato anche dal Tar, con la sentenza n. 938/07, sul rilievo che “la dizione della norma non pare escludere la possibilità di più proroghe”.
2.2.7.- Il settimo motivo si impernia sul rilievo che il Comune, nel provvedere sulla seconda domanda di proroga dell’attivazione delle sette medie strutture di vendita, avrebbe illegittimamente prorogato di un anno i titoli ritenendo, in modo erroneo, di poter applicare la normativa sulle grandi strutture, di cui all’art. 23, comma 2, della l. reg. n. 15/04, che prevede un termine massimo di tre anni, a decorrere dal ricevimento, in Comune, dell’accettazione delle prescrizioni da parte dell’interessato, per l’attivazione delle grandi strutture di vendita o dei parchi commerciali, per almeno i 2/3 della superficie assentita in sede di conferenza di servizi.
Anziché riferirsi all’art. 22 del d. lgs. n. 114/98, unica norma che detta la disciplina per le medie strutture di vendita, e che stabilisce in due anni il periodo massimo per l’attivazione dei punti –vendita, il Comune ha richiamato, erroneamente, la disciplina di cui al sopra menzionato art. 23.
La difesa della ricorrente aggiunge che, anche a voler ritenere applicabile l’art. 23 della l. reg. n. 15/04 alla fattispecie per cui è causa, la determina di proroga dovrebbe ugualmente ritenersi illegittima poiché le istanze di proroga sono state presentate tardivamente, in violazione del termine, previsto dalla legge, dei 60 giorni che precedono la scadenza del termine di attivazione.
Anche la censura sub 7) va respinta.
Il collegio condivide la premessa interpretativa dalla quale prende le mosse la difesa di Dal Ben Tre, nel senso che l’art. 23, comma 2, della l. reg. n. 15/04 non è applicabile alla fattispecie in argomento, giacché le seconde domande di proroga si riferivano a medie strutture di vendita, con conseguente applicazione dell’art. 22 del decreto n. 114/98.
Non possono essere però condivise le conclusioni alle quali perviene la ricorrente, trattandosi di conclusioni che presuppongono una interpretazione dell’art. 22 del decreto n. 114/98 che non persuade il collegio.
A differenza di quanto ritiene la Dal Ben Tre, la disposizione predetta (v. comma 4, lett. a) non prescrive alcun termine massimo complessivo entro il quale il titolare deve iniziare l’attività di vendita, ma si limita a stabilire che le proroghe richieste –le quali, come si è visto, possono anche essere più di una- siano giustificate da situazioni di “comprovata necessità” (fatta salva, si intende, l’esigenza di evitare rinvii abnormemente lunghi dell’inizio dell’attività di vendita, circostanza che, però, nella specie, non si è verificata).
Inoltre, la presentazione delle domande di proroga risulta essere stata effettuata in modo tempestivo, dal momento che le istanze sono state prodotte prima dei termini di scadenza.
2.2.8.-La censura sub 8) si indirizza contro le determinazioni di proroga n. 487/06 e 2525/06 criticando il fatto che le stesse sono state accordate sul presupposto –erroneo, per la ricorrente- che la revoca d’ufficio, ex art. 22 del decreto n. 114/98, richieda un interesse pubblico, ritenuto nella specie insussistente.
Secondo la ricorrente, l’assunto comunale è infondato ed è anzi indicativo di un uso distorto del potere di regolare l’attività commerciale al dettaglio, essendo la misura sanzionatoria disposta dall’art. 22, e definita in modo improprio revoca, un atto dovuto, riconducibile nella categoria della decadenza per decorso del tempo.
Per respingere la censura è sufficiente ribadire che, dall’esame delle determinazioni di proroga contestate, emerge che le proroghe medesime sono state assentite non già sulla base della mancanza di un interesse pubblico alla revoca, ma sul presupposto dell’accertata sussistenza di ragioni di comprovata necessità, non imputabili al soggetto richiedente.
Il riferimento alla mancanza di un interesse pubblico alla revoca è assolutamente pleonastico, e non incide minimamente sulla validità delle ragioni che hanno spinto il Comune a disporre le proroghe.
Da 2.2.9. a 2.2.12.- I motivi sub 9), 11) e 12) (il motivo sub 10) non c’è) possono essere esaminati e decisi congiuntamente.
Con essi la ricorrente, in estrema sintesi, fa discendere l’illegittimità del provvedimento di ricognizione n. 154/05 dall’illegittimità delle proroghe sopra indicate e, a sua volta, l’illegittimità della variante urbanistica di cui alle delibere nn. 69/05 e 26/06 da quella della delibera ricognitiva.
L’accertata validità ed efficacia di proroghe e autorizzazioni impone il rigetto anche delle censure suindicate.
2.2.13.-Con il motivo sub 13) la ricorrente contesta la legittimità della delibera del Consiglio comunale di Roncade (DCC) n. 26 del 3 maggio 2006, di approvazione della variante urbanistica, successiva alla DGC n. 154/05 di ricognizione dei parchi commerciali già esistenti sul territorio. La Dal Ben Tre fa derivare l’illegittimità dall’inserimento, nella variante approvata, conseguente alla delibera n. 154/05 cit., tra le aree destinate alla grande distribuzione, del lotto n. 2 della lottizzazione Fusana, e ciò a seguito di una osservazione presentata dalla controinteressata. Il lotto n. 2 non era ricompreso tra quelli ai quali, con la DGC n. 154/05, era stata attribuita natura di parco commerciale.
La censura è infondata e va respinta.
Per una migliore comprensione della questione dibattuta va riepilogata in modo sintetico la disciplina, prevista dalla l. reg. n. 15/04, sul riconoscimento dei parchi commerciali esistenti al momento della entrata in vigore della legge medesima.
Il citato art. 10 della l. reg. n. 15/04 dispone:
-al comma 1, che “ai fini della presente legge si definiscono parchi commerciali le aggregazioni di almeno tre esercizi commerciali quando la somma delle loro superfici di vendita superi il limite dimensionale massimo di cui all'articolo 7, comma 1, lettera b), situate in uno spazio unitario ed omogeneo ancorché attraversato da viabilità pubblica, con infrastrutture di parcheggio ed edifici anche distinti, ma comunque collegati alla rete viaria pubblica mediante più accessi diretti ovvero accessi sui quali confluisce l'intero traffico generato da tutto il complesso”;
-al comma 2 che “sono qualificate parchi commerciali tutte le aggregazioni di almeno tre esercizi commerciali esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge, aventi le caratteristiche descritte al comma 1 e ubicate all'interno di zone territoriali omogenee (ZTO) di tipo D o comunque in zone altrimenti classificate purché compatibili con i piani regolatori comunali”;
-al comma 3 che “ogni modificazione relativa ai parchi commerciali esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge o di nuova costituzione è regolata dalle norme di cui al presente articolo nonché dall'articolo 18”;
-al comma 6 che “…la Giunta regionale… definisce i criteri per l'individuazione dei parchi commerciali”;
-al comma 7 che “entro il termine di centoventi giorni dal provvedimento di cui al comma 6 i comuni approvano un provvedimento ricognitivo volto a verificare l'esistenza o meno di aggregazioni di esercizi commerciali con le caratteristiche di parco commerciale ai sensi del comma 2…” ; e
-che “in caso di individuazione di parchi commerciali ai sensi del comma 7 ovvero nel caso di parchi commerciali di nuova costituzione, il comune provvede all'approvazione della variante urbanistica secondo le modalità di cui all'articolo 18” (così dispone il successivo comma 8).
L’art. 18, al comma 4, prevede poi che “le varianti parziali finalizzate alla individuazione delle grandi strutture o dei parchi commerciali su aree già previste a specifica destinazione commerciale, zone D, dagli strumenti urbanistici vigenti sono approvate con la procedura prevista ai commi 6 e 7 dell'articolo 50 della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61 come sostituito dall'articolo 1 della legge regionale 5 maggio 1998, n. 21”.
Così delineato il quadro legislativo di riferimento, la difesa della Dal Ben Tre sottolinea, in particolare:
-che la funzione della variante urbanistica “de qua”, come si ricava sia dalla l. reg. , sia dall’oggetto delle delibere di adozione e di approvazione della variante medesima, nn. 69/05 e 26/06 (“variante finalizzata alla individuazione dei parchi commerciali-art. 10 l. r. n. 15/04-esame osservazioni e approvazione”) doveva essere quella di adeguare gli strumenti urbanistici allo stato dei luoghi accertato con l’atto di ricognizione del parco commerciale approvato con la DGC n. 154/05;
-che la variante al p. r. g. avrebbe dovuto essere disposta con l’unico scopo di “fotografare l’esistente” (conf. verbale DCC n. 26/06), secondo quanto stabilito nei commi 7 e 8 del citato art. 10, vale a dire con l’unica finalità di verificare la presenza di un’aggregazione di strutture commerciali che, quantunque solo autorizzate e non ancora attivate, avessero le caratteristiche di parco commerciale;
-che in realtà, nel caso in esame ciò non è avvenuto perché con la DCC n. 26/06 il Comune di Roncade, anziché limitarsi a “fotografare” l’aggregazione commerciale esistente nell’area della lottizzazione Fusana, ha illegittimamente accolto l’osservazione della società Gruppo Basso, n. 1 del 15 marzo 2006, inserendo, all’interno del perimetro del parco commerciale, così come individuato con la DGC n. 154/05, il lotto n. 2 –Fusana, “area –rileva la ricorrente- che non era interessata ad attività commerciale alcuna”.
In altre parole, poiché sull’area del lotto n. 2, alla data del 19 ottobre 2005, non vi era alcun esercizio commerciale, neppure solo autorizzato, l’area del lotto 2 mai avrebbe potuto essere inserita all’interno del perimetro del parco commerciale;
-che il Consiglio comunale ha errato nell’approvare, con la citata delibera n. 26/06, la variante parziale al p. r. g. previo inserimento, all’interno del perimetro del parco, del lotto n. 2, in precedenza non ricompreso nel perimetro dello stesso;
-che –prosegue Dal Ben Tre-, a questo proposito il Tar Veneto (sez. terza, sentenze nn. 1888/08, dal p. 3.2.1. , 3063/06 e 2921/06) ha più volte affermato, in tema di interpretazione e di applicazione del citato art. 10 della l. reg. n. 15/04, che “non è sufficiente ad includere in un parco di fatto esistente un’area, edificata o meno, la circostanza che questa abbia una destinazione urbanistica commerciale di tipo D: ciò ne può costituire un presupposto (cfr. anche art. 18, I comma, l.r. cit.), ma l’elemento discriminante resta quello dell’attività, univocamente stabilito dalla legge”; e questo, si è precisato, proprio perché “ l’art. 10 ha la sostanziale funzione di regolarizzare, sotto il profilo commerciale ed urbanistico, situazioni preesistenti in atto, che possono anche non presentare i requisiti di compatibilità stabiliti dall’art. 18 della l.r. 15/04 per i nuovi parchi commerciali” (così Tar Veneto, III, sent. n. 1888/08 cit.);
-che viceversa, nel caso in esame, il Comune, nell’approvare la variante urbanistica, ha indebitamente ampliato il perimetro del parco commerciale individuato nella delibera n. 154/05 a un’area –il lotto n. 2- priva delle caratteristiche cui la l. reg. n. 15/04 subordina il riconoscimento a posteriori di parco commerciale;
-che, infine, in base alla citata giurisprudenza della sezione, la circostanza che il lotto n. 2 avesse destinazione urbanistica D4 e facesse parte di un unico spazio unitario ed omogeneo, rispetto a quello perimetrato nel 2005, non poteva bastare per giustificare l’estensione della perimetrazione del parco commerciale in modo tale da ricomprendervi anche il lotto suddetto.
Così riepilogata la censura della Dal Ben Tre, l’esposizione preliminare in diritto della censura va completata sintetizzando gli argomenti difensivi comunali (la difesa della società Gruppo Basso è, sul punto, assai succinta). Il Comune rimarca che l’estensione della perimetrazione del parco commerciale, rispetto a quanto deliberato con la DGC n. 154/05, è stata richiesta affinchè gli esercizi commerciali già insediati, o comunque già autorizzati, potessero avvalersi di una più ampia superficie di aree da destinare a parcheggio. La richiesta del Gruppo Basso non riguardava cioè in modo diretto un ampliamento delle superfici di vendita del parco commerciale, ma si riferiva unicamente all’estensione della perimetrazione del parco mediante l’inserimento di un’area, di pertinenza degli edifici e –si noti- contigua al perimetro approvato con la DGC n. 154/05, costituente uno spazio unitario ed omogeneo rispetto a quest’ultimo, restando inalterata la superficie di vendita complessiva del parco medesimo. Di qui l’estraneità della modifica alla fattispecie disciplinata dall’art. 10 della l. reg. n. 15/04.
Il collegio può fare a meno di porsi, d’ufficio, il problema della eventuale tardività della censura medesima, in considerazione del fatto che il ricorso è stato notificato nel mese di gennaio del 2007, che la DCC n. 26/06 è stata pubblicata all’albo pretorio, per 15 giorni consecutivi, dal 26 maggio 2006 e che la Dal Ben Tre non era soggetto direttamente contemplato dalla deliberazione suddetta.
La censura infatti va respinta nel merito essenzialmente perché i richiami giurisprudenziali fatti dalla difesa della Dal Ben Tre sono (sì) esatti (ma) non si attagliano alla particolarità del caso concreto. Nel caso odierno si tratta di verificare se sia consentito inserire un lotto ulteriore, all’interno del perimetro del parco commerciale, in sede di approvazione della variante urbanistica.
Indubbiamente, la funzione della variante parziale approvata con la DCC n. 26/06 è stata in primo luogo quella di adeguare lo strumento urbanistico generale allo stato dei luoghi accertato con la DGC “di ricognizione” n. 154/05. Il fine perseguito dalla DCC n. 26/06 è consistito prima di tutto nel variare il p.r.g. in conseguenza della individuazione di aggregazioni di esercizi commerciali, disposta con la DGC n. 154/05, “fotografando –lo si ripete- l’esistente”, vale a dire le aggregazioni commerciali indicate nella DGC 154/05. Ci si riferisce, insomma, alla perimetrazione del parco commerciale contraddistinta dai mappali nn. 31, 7, 378 e 308/a) .
Entro questo ambito, “nulla quaestio”.
Oltre a far ciò, legittimamente, il collegio ritiene che, altrettanto legittimamente, il Consiglio comunale, con la citata delibera n. 26/06, anziché limitarsi a ricalcare in modo pedissequo l’ambito disegnato dal provedimento ricognitivo n. 154/05, si sia discostato dal recepimento predetto estendendo la perimetrazione del parco mediante l’inserimento del lotto 2 della lottizzazione Fusana.
Dall’esame delle disposizioni di cui all’art. 10, commi 3 e 8, e 18, della l. reg. n. 15/04, pare ammessa la possibilità che la variante urbanistica non debba limitarsi a ripetere in modo pedissequo l’ambito segnato dal provvedimento ricognitivo, ma possa inserire nuove aree all’interno del parco, modificandolo (si intende, sussistendo le condizioni e nel rispetto della procedura di cui all’art. 18 l. reg. cit. -conf. Tar Veneto, III, sent. n. 1888/08, dal p. 4.1. al p. 5.2.) In altre parole, nulla sembra impedire che modificazioni dei parchi esistenti ex art. 10, comma 3, cit. siano disposte in sede di approvazione della variante prevista dal comma 8 dello stesso art. 10.
Dalle considerazioni su esposte si può concludere nel senso della legittimità della DCC n. 26/06.
Ciò esime il collegio dal prendere posizione sugli specifici rilievi difensivi formulati dal Comune.
2.2.14.-Con il motivo sub 14) la ricorrente deduce la violazione degli articoli 10 e 18 della l. reg. n. 15/04 e 50, commi 6 e 7, della l. reg. n. 61/85, e ciò sull’assunto che solo in sede di approvazione della variante il Consiglio comunale ha mutato la destinazione di un’area –il lotto n. 2 della lottizzazione Fusana- che non era ricompresa nell’àmbito oggetto della variante adottata. Detto altrimenti, il mutamento della destinazione urbanistica del lotto n. 2 era estraneo all’oggetto della delibera di adozione della variante, di tal che l’avere deciso questa modifica direttamente con la delibera di approvazione della variante non ha consentito ad alcun privato di presentare le proprie osservazioni su questa specifica scelta urbanistica, e ciò in violazione dell’art. 50 della l. reg. n. 61/85.
Più in dettaglio, la ricorrente precisa che l’art. 10, comma 8, della l. reg. n. 15/04 stabilisce che “in caso di individuazione di parchi commerciali ai sensi del comma 7 ovvero nel caso di parchi commerciali di nuova costituzione, il comune provvede all'approvazione della variante urbanistica secondo le modalità di cui all'articolo 18”; e che l’art. 18, comma 4, l. reg. cit. stabilisce che “le varianti parziali finalizzate alla individuazione delle grandi strutture o dei parchi commerciali su aree già previste a specifica destinazione commerciale, zone D, dagli strumenti urbanistici vigenti sono approvate con la procedura prevista ai commi 6 e 7 dell'articolo 50 della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61 come sostituito dall'articolo 1 della legge regionale 5 maggio 1998, n. 21”.
La procedura è la seguente: il Consiglio comunale adotta la variante parziale al p. r. g. , che entro 5 giorni viene messa a disposizone del pubblico per 10 giorni presso la segreteria del Comune e della Provincia; nei successivi 20 giorni chiunque può presentare osservazioni alla variante adottata; il Consiglio comunale, poi, “entro trenta giorni dalla scadenza del termine stabilito per la presentazione delle osservazioni, approva la variante apportando le eventuali modifiche conseguenti all’accoglimento delle osservazioni pertinenti” (art. 50, comma 7, l. reg. n. 61/85).
In altri termini, l’amministrazione comunale esamina e adotta una variante avente un oggetto ben determinato, la mette a disposizione della cittadinanza per eventuali osservazioni e, quindi, la approva con le eventuali modifiche derivanti dall’accoglimento delle osservazioni che debbono riguardare lo stesso oggetto della variante adottata.
Nella specie:
-dapprima, con DCC n. 69/05, è stata adottata la variante al p. r. g. finalizzata alla individuazione dei parchi commerciali di cui all’art. 10 della l. reg. n. 15/04 sul presupposto che, con la DGC n. 154/05, era stata individuata una aggregazione di esercizi commerciali con le caratteristiche di “parco commerciale”, localizzata nella lottizzazione Fusana. La variante riguardava la sola zona alla quale il provvedimento n. 154/05 aveva attribuito la qualifica di parco commerciale, ovvero quella contrassegnata dai lotti da 3 a 10;
-di conseguenza, come prevede l’art. 50, comma 7, della l. reg. n. 61/85, le osservazioni avrebbero dovuto essere “pertinenti” con l’oggetto anzidetto;
-per contro, tale non poteva ritenersi l’osservazione 15 marzo 2006 della società Gruppo Basso, con la quale è stata chiesta l’estensione della perimetrazione del parco commerciale, come individuato con la DGC n. 154/05, al lotto n. 2 della lottizzazione Fusana, dato che l’osservazione stessa riguardava una porzione d’area non coinvolta dalla variante e, perciò, estranea al suo oggetto;
-nel ritenere l’osservazione suddetta congrua il Consiglio comunale avrebbe allora dovuto procedere alla riadozione della variante inserendovi anche il lotto n. 2.
Anche la censura sub 14) non colpisce il segno.
A confutazione del motivo sopra riassunto il collegio rileva quanto segue:
- l’osservazione della società Gruppo Basso era “pertinente”, ex art. 50, comma 7, della l. reg. n. 61/85, e ciò perché il concetto di “attinenza” della osservazione non può certo escludersi qualora la stessa riguardi spazi unitari ed omogenei rispetto alle aree della cui variante parziale si tratta;
-nell’occasione si faceva questione di osservazione proveniente dal soggetto direttamente interessato, tale da non determinare il mutamento delle caratteristiche essenziali e dei criteri di impostazione del piano, e da non esigere la ripubblicazione.
2.2.15.-Con il primo ricorso per motivi aggiunti la Dal Ben Tre ha chiesto l’annullamento dei provvedimenti comunali di proroga del 13 e del 18 ottobre 2007, emessi “ora per allora” a seguito della sentenza del Tar del Veneto n. 938 del 2007 e nel riesercizio del potere di proroga, su sollecitazione della società Gruppo Basso (v. epigrafe, nn. 8) e 9) ).
Il primo ricorso per motivi aggiunti non può trovare accoglimento per le ragioni che seguono.
2.2.15.1.-Non sussiste l’illegittimità derivata dai vizi di legittimità dedotti, nel ricorso introduttivo, ai numeri da 5) e 8), e ciò in considerazione della infondatezza dei motivi suindicati (v. “supra”, dal p. 2.2.5.).
2.2.15.2. / 3.- Quanto alla censura sub 2), indipendentemente dalla questione se la censura medesima risulti, o no, superata per effetto della sopravvenuta sentenza n. 782/08 con la quale il Consiglio di Stato ha riformato Tar Veneto, II, n. 938/07, facendo rivivere gli originari atti di proroga, il collegio osserva che il Comune ha legittimamente riesercitato il proprio potere di proroga ritenendo dimostrata, con ampia e convincente motivazione, e al termine di una istruttoria svolta in modo adeguato alla luce delle documentate domande presentate da Promedi –Gruppo Basso, l’esistenza di ragioni di comprovata necessità, non imputabili ai richiedenti, idonee a giustificare la concessione di proroghe del termine per l’attivazione degli esercizi commerciali “de quibus”.
Sulla congrua indicazione di specifiche ragioni di comprovata necessità, non imputabili alla richiedente, si ritiene sufficiente fare rinvio alle plausibili enunciazioni svolte dal responsabile del servizio competente a pag. 4 degli atti del 13 e del 18 ottobre 2007.
Ciò consente di respingere anche il motivo sub 3).
2.2.15.4.- La censura sub 4), imperniata sulla violazione dell’art. 22 del d. lgs. n. 114/98 sotto il profilo dell’affermata illegittimità di una seconda proroga del termine per l’attivazione degli esercizi, è infondata e va respinta perché, come si è già visto sopra (v. p. 2.2.6.) , la formulazione dell’art. 22 del decreto n. 114/98 non esclude la possibilità di chiedere, e di ottenere, anche più di una proroga (conf. CdS n. 782/08 e Tar Veneto n. 938/07).
2.2.15.5.- Il motivo aggiunto sub 5) si incentra sul fatto che il Comune avrebbe erroneamente ritenuto applicabile, alla fattispecie “de qua”, la disciplina dettata per le grandi strutture di vendita dall’art. 23 della l. reg. n. 15/04, con riferimento al termine massimo previsto per poter attivare le strutture stesse.
La censura ricalca il settimo motivo del ricorso introduttivo e va perciò respinta per le ragioni illustrate sopra, al p. 2.2.7.
2.2.15.6.-Con riguardo alla affermata illegittimità dell’avvenuta concessione di una proroga ulteriore, fino al 30 settembre 2008, contenuta nel provvedimento del 18 ottobre 2007, il collegio rileva che nulla era di ostacolo a che il Comune adottasse un provvedimento, avente contenuto plurimo, diretto, per un verso, a spiegare compiutamente le ragioni che avevano giustificato la emanazione dei primi provvedimenti di proroga e, per altro verso, una volta appurata la permanenza delle ragioni di comprovata necessità richieste “ex lege”, e considerata la possibilità, in caso di media struttura di vendita, di ottenere anche più di una proroga, sussistendone i presupposti, a concedere un termine ulteriore per l’attivazione degli esercizi.
Coerentemente, del resto, con quanto richiesto dal Gruppo Basso.
In conclusione, il primo ricorso per motivi aggiunti dev’essere, nel suo complesso, respinto.
2.2.16.-Con il secondo ricorso per motivi aggiunti la Dal Ben Tre ha impugnato, essenzialmente, i provvedimenti in epigrafe indicati dal n. 11) al n. 13).
In sintesi, la Dal Ben Tre ha in primo luogo rilevato l’illegittimità dei provvedimenti impugnati in via derivata dalla non conformità a legge dei provedimenti impugnati con il ricorso introduttivo e con il primo atto di motivi aggiunti.
La ricorrente ha, inoltre, dedotto l’illegittimità dei provvedimenti medesimi per vizi autonomi, con riferimento in via esclusiva alla procedura di valutazione di impatto ambientale.
L’illegittimità in via derivata non sussiste, attesa la reiezione delle censure sin qui svolte.
Quanto all’illegittimità dedotta in via autonoma, le difese della società Gruppo Basso e del Comune eccepiscono la tardività della impugnazione della VIA provinciale (il secondo ricorso per motivi aggiunti è stato notificato solo nel gennaio del 2009), in quanto la DGP 10 dicembre 2007, n. 542, con l’allegato parere della Commissione provinciale VIA reso nella seduta del 7 novembre 2007, dovevano ritenersi pienamente conosciuti dalla ricorrente sin dal 25 luglio 2008, data nella quale la DGP e il parere allegato erano stati depositati nel presente giudizio a cura della difesa della controinteressata.
L’eccezione di irricevibilità per tardività, così come formulata, è infondata e va respinta.
La giurisprudenza dominante infatti individua, quale “dies a quo” per la proposizione dei motivi aggiunti, la data del deposito presso la segreteria del giudice amministrativo della documentazione sulla quale i motivi predetti si fondano, qualora il deposito sia stato effettuato nel termine, ancorché non perentorio, stabilito per la costituzione della parte resistente.
Non produce, invece, lo stesso effetto, secondo questa tesi, il deposito effettuato successivamente, salvo che la parte interessata non provi la conoscenza da parte del ricorrente degli atti e documenti in data anteriore alla scadenza del termine di costituzione (Cons. Stato, VI, 555/97, IV, 292/96 e Tar Campania –Napoli, III, n. 1861/02).
Il collegio condivide il suesposto orientamento giurisprudenziale e giudica pertanto infondata, e da rigettare, l’eccezione di tardività, dato che il deposito in giudizio della DGP n. 542/07, e del presupposto parere del 7 novembre 2007, è avvenuto dopo che era scaduto il termine previsto per la costituzione in giudizio dell’Amministrazione resistente.
Il collegio ritiene invece che potrebbero esservi possibili profili di irricevibilità per tardività da esplorare con riferimento alla censura sub 3) (da pag. 39 del secondo ricorso per motivi aggiunti), in relazione alla rilevata illegittimità della DGP n. 542/07.
Potrebbe infatti prospettarsi la questione della avvenuta impugnazione in termini, o meno, della DGP n. 542/07, avuto riguardo alla disposta pubblicazione della stessa, all’albo pretorio della Provincia, per 15 giorni consecutivi, a partire dal 20 dicembre 2007.
Tuttavia, l’infondatezza, nel merito, della censura sub 3) esonera il collegio dall’approfondire la questione.
Un’ultima considerazione in rito: non avrebbe senso porsi un problema analogo in relazione alla censura sub 4) giacchè i rilievi mossi dalla Dal Ben Tre al p. 4) si appuntano in via esclusiva contro il verbale della conferenza di servizi del 29 luglio 2008, asseritamente illegittimo a causa della omessa acquisizione di uno specifico, rinnovato giudizio favorevole di compatibilità ambientale; e le censure, nel muovere dalla prospettazione appena vista, si sostanziano nel sottolineare la insufficienza e la inidoneità, a questo fine, del giudizio favorevole formulato, appunto, con la DGP del dicembre del 2007.
2.2.16.2.-Venendo adesso al merito delle censure sub 3) e 4) che concernono violazione della l. reg. n. 10/99 e degli articoli 10 e 18 della l. reg. n. 15/04, nonché eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto di motivazione, appare opportuno chiarire (ancora, ove del caso), in fatto, che dagli atti di causa risulta che:
a) all’esito della seduta della conferenza di servizi del 28 settembre 2006 la superficie del parco commerciale-outlet –lottizzazione Fusana, pari a 11.317 mq., era suddivisa in:
-una grande struttura di vendita –tipologia centro commerciale –outlet, di mq. 7969, riferita al settore merceologico non alimentare, ripartita in 37 esercizi di vicinato;
-una grande struttura di vendita –tipologia esercizio singolo, con una superficie di vendita di mq. 2800, del settore non alimentare generico;e
-una media struttura di vendita –tipologia esercizio singolo, con superficie di vendita di mq. 548, del settore non alimentare generico;
b) nel marzo del 2008 la società Gruppo Basso ha chiesto di essere autorizzata a ripartire, in 75 esercizi di vicinato e 4 m. s. v. , la superficie, di mq. 11.317, dell’insediando parco commerciale. Poiché l’istanza di “rimodulazione spaziale” degli oltre 11.000 mq. di superficie di vendita riguardava una superficie maggiore di 8.000 mq., la richiedente ha fatto assoggettare a procedura di VIA il progetto ex art. 18, comma 7, della l. reg. n. 15/04. La VIA si è conclusa in modo favorevole con la più volte citata DGP n. 542/07;
c) nel luglio del 2008 la Gruppo Basso ha modificato la precedente istanza, prevedendo una differente ripartizione della superficie complessiva del parco commerciale, sempre di mq. 11.317, e, precisamente:
-una grande struttura di vendita –tipologia centro commerciale –outlet, di 11.009 mq., destinata alla vendita di prodotti del settore non alimentare generico; e
-due esercizi singoli di vicinato, aventi una superficie, rispettivamente, di circa 149 e 159 mq., anch’essi destinati al settore non alimentare generico.
Su quest’ultima richiesta ha preso una decisione la conferenza di servizi il 29 luglio 2008, senza però assoggettare ulteriormente a VIA l’istanza –progetto della Gruppo Basso.
L’assoggettamento a VIA (aggiuntiva), ad avviso della ricorrente, era obbligatorio, e ciò in base al combinato disposto di cui agli articoli 10, comma 3, e 18, comma 7, della l. reg. n. 15/04, trattandosi di modificazione di struttura commerciale esistente, coinvolgente una superficie di vendita superiore agli 8.000 mq., e non essendo sufficiente il giudizio positivo di compatibilità ambientale, del novembre –dicembre 2007, che la ricorrente, correttamente, stando agli atti di causa, riconduce alla ripartizione della superficie di vendita del parco commerciale –outlet in 75 esercizi di vicinato e 4 m. s. v. .
Chiarito tutto questo in via preliminare, il collegio osserva:
-sub 3), che la commissione provinciale VIA ha valutato l’intervento in modo sufficientemente specifico, dal che discende il rigetto della censura;
-sub 4), che nel caso in esame occorreva, in effetti, rinnovare la procedura di VIA con riferimento alla istanza –progetto di modificazione, presentata nel luglio del 2008, pur non sussistendo alcun ampliamento di superficie, ma solo un progetto di redistribuzione delle superfici, e ciò perché, dal combinato disposto di cui agli articoli 18, commi 7 e 9, della l. reg. n. 15/04, e 3, lettere d) ed e), della l. reg. n. 10/99, oltre che dal criterio di indirizzo elaborato dalla Regione Veneto con la DGRV n. 2797 del 12 settembre 2006, si ricava che, con riguardo alle grandi strutture di vendita e ai parchi commerciali aventi una superficie di vendita superiore a mq. 8000, l’assoggettamento alla procedura di VIA di cui alla l. reg. n. 10/99 non interessa soltanto i progetti che comportano un incremento delle dimensioni originarie della struttura, vale a dire un significativo ampliamento della superficie di vendita.
L’assoggettamento alla procedura di VIA si estende ai progetti di “modifica del regime distributivo della superficie di vendita” concernenti i parchi commerciali esistenti, sempre che la modificazione “coinvolga” una superficie di vendita superiore agli 8.000 mq. .
In particolare, il collegio condivide i rilievi critici della Dal Ben Tre secondo cui:
-qualsiasi mutamento significativo del regime distributivo interno che riguardi parchi commerciali aventi rilevanti dimensioni non può essere approvato in sede di conferenza di servizi se prima non ha conseguito il giudizio positivo di compatibilità ambientale da parte della competente commissione di VIA;
-l’istanza –progetto di modifica di ripartizione interna delle superfici di vendita, assentita nella conferenza di servizi del 29 luglio 2008, risulta priva di una VIA specifica e preventiva;
-se nel marzo del 2008 la Gruppo Basso aveva chiesto di ripartire gli 11.317 mq. della superficie di vendita del parco commerciale in 75 esercizi di vicinato e 4 m. s. v. , successivamente, nel luglio del 2008, la controinteressata ha fatto presente la sua intenzione di suddividere la superficie complessiva dell’insediamento commerciale in una grande struttura di vendita –tipologia centro commerciale –outlet, di 11.009 mq., destinata alla vendita di prodotti del settore non alimentare generico, e in due esercizi singoli di vicinato, aventi una superficie, rispettivamente, di circa 149 e 159 mq., anch’essi destinati al settore non alimentare generico. Ed è su quest’ultima richiesta che ha preso una decisione –favorevole alla Gruppo Basso- la conferenza di servizi del 29 luglio 2008;
-la realizzazione di un centro commerciale di 11.009 mq. è un intervento che presenta differenze significative rispetto all’apertura di 75 esercizi di vicinato e di 4 m. s. v. autonomi tra loro;
-il centro commerciale costituisce una peculiare modalità di esercizio dell’attività commerciale in strutture di vendita medie o grandi, ed è caratterizzato da un nesso diretto, da un coordinamento tra i singoli negozi che lo costituiscono; coordinamento che, viceversa, non sussiste qualora gli esercizi commerciali, pur collocati in uno spazio unitario, siano tra loro indipendenti e dotati di autonomi accessi e infrastrutture;
-la configurazione data, di recente, dalla Gruppo Basso all’insediamento della cui realizzazione si tratta implica una modifica della ripartizione interna delle superfici di vendita, modifica che, si noti, interessa l’intera superficie del parco commerciale, cosicché la procedura di VIA del novembre –dicembre del 2008 non poteva valere anche per il successivo progetto di redistribuzione delle superfici di vendita;
-con DGRV n. 2797 del 12 settembre 2006, avente a oggetto: “l. reg. n. 15/04 –valutazione di impatto ambientale applicata alla materia del commercio”, di approvazione della circolare del PGR n. 1/06, la Regione Veneto ha elaborato un criterio di indirizzo “che prevede l’applicabilità della procedura di VIA anche con riferimento alle fattispecie di modifica della ripartizione interna della superficie di vendita del parco commerciale che abbia quale effetto il superamento, da parte delle singole strutture inserite all’interno del parco medesimo, delle dimensioni per le quali la legge regionale stabilisce il giudizio di compatibilità ambientale”;
-poiché ciò che rileva è sia il superamento della superficie di vendita degli 8.000 mq, sia il mutamento della ripartizione interna della superficie di vendita, e poiché non vi è dubbio che la modifica del regime distributivo interessa una superficie di vendita ben superiore a 8.000 mq., l’istanza non avrebbe potuto essere accolta dalla conferenza di servizi senza la preventiva acquisizione di uno specifico e ulteriore giudizio di compatibilità ambientale.
L’accoglimento della censura sub 4) determina l’annullamento della delibera conf. serv. del 29 luglio 2008.
Restano salvi e riservati gli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa.
In conclusione, il giudizio è parzialmente fondato (v. “supra”, p. 2.2.16.2.-rif. censura sub 4) ) , e va accolto solo in parte.



Per l’effetto va annullata la delibera della conferenza di servizi del 29 luglio 2008.
Restano salvi e riservati gli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa.
Sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione terza, definitivamente decidendo sul ricorso in premessa lo accoglie in parte, nei sensi e limiti di cui in motivazione (v. p. 2.2.16.2. –rif. censura sub.4).
Rigetta nel resto.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 23/04/2009 con l'intervento dei Magistrati:
Angelo De Zotti, Presidente
Marco Buricelli, Consigliere, Estensore
Marina Perrelli, Referendario
 
                
                
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE       
                
                
                
                
             
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/08/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
  
         
 N. 2340/09       REG.SEN.
N. 01836/2007 REG.RIC.


 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso introduttivo e sul primo, secondo e terzo atto per motivi aggiunti, rubricati al n. 1836 del 2007, proposti da:
-FUMEI s. r. l. , in persona del legale rappresentante “pro tempore”, e da
-BOUTIQUE ROSSI C.C.A.D. DI RIGON e ROSSI D., s. n. c., per quanto riguarda il ricorso introduttivo e il primo atto di motivi aggiunti,
rappresentate e difese dagli avvocati Vittorio Biagetti, Franco Di Maria e Pier Vettor Grimani, e domiciliate presso lo studio di quest’ultimo in Venezia, S. Croce n. 466/G);
e da FUMEI s. r. l. , in persona del legale rappresentante “pro tempore”, come sopra rappr. e dif., per quanto riguarda il secondo e il terzo atto per motivi aggiunti;
contro
il Comune di Noventa di Piave, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv. Mariateresa Borgato Pagotto e domiciliato presso la Segreteria del Tar ai sensi dell’art. 35 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054;
e nei confronti
della Regione Veneto, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avvocati Ezio Zanon e Luisa Londei dell’Avvocatura regionale del Veneto, con domicilio eletto presso la sede dell’Avvocatura regionale in Venezia, San Polo n. 1429/B);
e di
BMG Noventa s.r.l. , società derivante dalla fusione, per incorporazione c. d. inversa, tra le società Immobiliare Due s.r.l. unipersonale e BMG Venezia s.r.l. unipersonale, e Immobiliare Sassi s.r.l., in persona del legale rappresentante “pro tempore”, rappr. e dif. dagli avvocati Annamaria Tassetto, Duccio M. Traina e Franco Zambelli, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Venezia –Mestre, Via Cavallotti, 22;
e di
Nike Retail B. V. (limitatamente al terzo atto per motivi aggiunti), in persona del legale rappresentante “pro tempore”, rappr. e dif. dagli avvocati Riccardo Marletta, Luca Tiberi e Stefano Sacchetto, ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Venezia –Mestre, Via Carducci n. 45;
e di
Provincia di Venezia, Provincia di Treviso, Conferenza dei servizi per il rilascio delle autorizzazioni relative a grandi strutture di vendita, Gruppo Basso s. p. a., Lefim s.p.a., Unione del commercio, del turismo, dei servizi e della piccola e media impresa della provincia di Venezia, parti tutte non costituitesi in giudizio;
e di
(limitatamente al terzo atto per motivi aggiunti) : arch. V. Granzotto, R. G. Davanzo, A. Gabatel, A. Braggion, geom. S. Pistolato, e di Nike Retail B. V. , costituitasi, “ut supra” rappr. e dif. , Gufo Retail s. r. l. e altre, tutte –tranne Nike Retail- non costituitesi in giudizio;
per l'annullamento
1) quanto al ricorso introduttivo: del verbale della conferenza di servizi ex art. 20 della l. reg. n. 15/04 tenutasi il 28 settembre 2006 in funzione del rilascio, alla controinteressata Immobiliare Sassi, dell’autorizzazione all’apertura di un outlet in forma di parco commerciale nel comune di Noventa di Piave, via Calnova; e degli altri verbali di conferenza di servizi;
-delle autorizzazioni rilasciate dal Comune di Noventa di Piave alla Immobiliare Sassi per l’apertura dell’outlet;
-delle singole autorizzazioni commerciali accordate dal Comune alla Immobiliare Sassi per l’attivazione degli esercizi dei quali andrà a comporsi l’outlet;
-dei permessi di costruire, degli altri titoli abilitativi e delle delibere di approvazione dei piani urbanistici con i quali è stata autorizzata l’edificazione delle strutture di vendita;
2) quanto al primo atto per motivi aggiunti: dei verbali, autorizzazioni, permessi e delibere suindicati;
3) quanto al secondo atto per motivi aggiunti: del verbale della conferenza di servizi ex art. 20 della l. reg. n. 15/04 tenutasi il 29 maggio 2007 in funzione del rilascio, alla controinteressata Immobiliare Sassi, dell’autorizzazione all’ampliamento di un outlet in forma di parco commerciale nel Comune di Noventa di Piave, via Calnova, da mq. 3967 –settore misto- a complessivi mq. 7907, di cui mq. 4495 del settore misto e mq. 3412 del settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie;
-del permesso di costruire n. 40 del 22 maggio 2007;
-dell’atto comunale prot. n. 12462 del 3 agosto 2007, di presa d’atto della accettazione, da parte della Immobiliare Sassi, delle prescrizioni della conferenza di servizi del 29 maggio 2007;
-del verbale della conferenza di servizi ex art. 20 della l. reg. n. 15/04 tenutasi il 25 ottobre 2007 in funzione del rilascio, alla controinteressata Immobiliare Sassi, dell’autorizzazione alla modifica distributiva e di settore merceologico di un outlet in forma di parco commerciale nel Comune di Noventa di Piave, via Calnova;
4) quanto al terzo atto per motivi aggiunti: del verbale di conferenza di servizi n. 12122 del 27 giugno 2008, per la modifica della prescrizione di cui al punto n. 3 del verbale di conferenza di servizi del 28 settembre 2006; del verbale di conferenza di servizi n. 12125 del 27 giugno 2008, in funzione del rilascio, alla controinteressata, dell’autorizzazione alla modifica distributiva e di settore merceologico di un outlet in forma di parco commerciale nel comune di Noventa di Piave, via Calnova; delle autorizzazioni commerciali dalla n. 416 alla n. 436 rilasciate dal Comune di Noventa di Piave il 22 e 23 settembre 2008; e di ogni atto connesso, presupposto o consequenziale, incluso il permesso di costruire n. 47 del 24 giugno 2008, recante la seconda variante ai permessi nn. 92/06 e 40/07.

visti il ricorso introduttivo e i ricorsi per motivi aggiunti, con i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio di:
-Comune di Noventa di Piave;
-Regione Veneto;
-Immobiliare Sassi e Immobiliare Due (ora BMG NOVENTA s.r.l.);
-Nike Retail,
con i relativi allegati;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti della causa;
uditi, all’udienza del 23 aprile 2009 (relatore il consigliere Marco Buricelli), gli avvocati: Cappella, su delega di Biagetti e Di Maria, per le ricorrenti, Borgato Pagotto per il Comune di Noventa di Piave, Zanon e Londei per la Regione Veneto, Traina e Zambelli per la società BMG Noventa e Marletta per Nike Retail;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO
1.-Le società Fumei e Boutique Rossi esercitano, nel Comune di San Donà di Piave, attività commerciale nel settore, rispettivamente, della rivendita di scarpe, borse ed accessori (Fumei), in virtù di DIA del 3 novembre 2006, e della vendita di generi di abbigliamento (Boutique Rossi), in base a un’autorizzazione comunale rilasciata nel 1995.
Le società ricorrenti espongono di avere appreso che la Immobiliare Sassi si appresta a realizzare e ad attivare, nel Comune di Noventa di Piave, una grande struttura commerciale nelle forme dell’outlet.
Quali titolari di esercizi commerciali situati nella stessa area commerciale n. 10 –San Donà di Piave –Portogruaro, e nel medesimo bacino di utenza nel quale si inserisce l’iniziativa della Immobiliare Sassi, le ricorrenti, ritenendo di essere “interessate ed abilitate” a esporre eventuali profili di illegittimità del procedimento in esame, hanno impugnato, con il ricorso introduttivo e con ricorso per motivi aggiunti, i provvedimenti e gli atti meglio in epigrafe indicati.
Più in particolare, il 28 settembre 2006 la conferenza di servizi indetta ai sensi dell’art. 20 della l. reg. n. 15 del 2004 ha valutato positivamente l’istanza presentata dalla Immobiliare Sassi il 31 maggio 2006, avente a oggetto l’autorizzazione alla apertura di un parco commerciale –outlet nel Comune di Noventa di Piave (VE), per una superficie di vendita di 3967 mq. .
Il provvedimento è stato impugnato con il ricorso introduttivo.
Nella seduta del 29 maggio 2007 è stato autorizzato l’ampliamento del parco commerciale-outlet assentito nella conferenza di servizi del 28 settembre 2006, fino a raggiungere la consistenza complessiva di 7907 mq., divisi in 53 esercizi, 27 dei quali, per complessivi 4495 mq. di superficie di vendita, nel settore misto, e 26, per complessivi 3412 mq. di superficie di vendita, nel settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie.
Anche il verbale anzidetto, e il conseguente permesso di costruire, sono stati impugnati da entrambe le ricorrenti con atto di motivi aggiunti.
Il secondo e il terzo atto per motivi aggiunti, invece, sono stati proposti esclusivamente dalla ricorrente Fumei. In data 6 marzo 2008, infatti, la Boutique Rossi ha riconsiderato la propria posizione processuale notificando un atto di rinuncia al ricorso.
Con un verbale ulteriore di conferenza di servizi del 25 ottobre 2007 è stato assentito il mutamento della distribuzione interna del parco commerciale approvato nella seduta del 28 settembre 2006. In base al progetto approvato, la superficie di vendita complessiva di 7907 mq., dei quali 3412 nel settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie, e 4495 nel settore misto, si sarebbe dovuta distribuire non più fra 53 esercizi commerciali inseriti in cinque edifici, ma tra 68 esercizi inseriti in sette fabbricati.
Verbale della conferenza di servizi e permesso di costruire in variante n. 72 del 28 giugno 2007 sono stati impugnati con il secondo ricorso per motivi aggiunti.
Il 27 giugno 2008 la conferenza di servizi ha assunto due determinazioni:
-con il verbale prot. n. 12122 è stata modificata la prescrizione di cui al p. 3 del verbale conf. serv. 28 settembre 2006, confermato nelle conferenze del 29 maggio e del 25 ottobre 2007. La prescrizione imponeva di verificare, “prima del rilascio dell’autorizzazione:
-che i soggetti interessati siano qualificati come “aziende produttive”;
-che i prodotti messi in vendita riguardino esclusivamente l’invenduto, la produzione in eccesso e la fine serie. Con il verbale n. 12122 è stata disposta la modifica della sopra trascritta prescrizione di cui al p. 3 del verbale prevedendo, in tema di rilascio delle autorizzazioni commerciali e di connesso controllo dei requisiti richiesti, che “prima del rilascio dell’autorizzazione e dopo l’apertura il comune verifichi il rispetto dei requisiti previsti dall’art. 12, comma 1, della l. reg. n. 15/04”;
-con il verbale n. 12125 la conferenza di servizi ha autorizzato la terza modifica distributiva e di settore merceologico dell’outlet nei termini che seguono:
-superficie totale di vendita, mq. 7907, 4495 dei quali del settore misto, 3003 del settore non alimentare generico e 409 del settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie.
Con un ulteriore atto per motivi aggiunti la società Fumei ha impugnato gli ultimi due verbali di conferenza di servizi.
Con il terzo ricorso per motivi aggiunti sono state impugnate le singole autorizzazioni commerciali, datate 22 e 23 settembre 2008, accordate dal Comune di Noventa di Piave a diverse ditte, ed è stato chiesto l’annullamento del permesso di costruire n. 47 del 24 giugno 2008, “recante la seconda variante ai permessi n. 92/06 e 40/07”.
Con il ricorso introduttivo, e con i tre atti di motivi aggiunti, le ricorrenti hanno formulato numerose censure di illegittimità propria e derivata.
Si sono costituiti in giudizio il Comune di Noventa di Piave, la Regione Veneto, la Immobiliare Sassi e, in relazione alle singole autorizzazioni commerciali specificamente impugnate con il terzo ricorso per motivi aggiunti, la società Nike Retail B. V. .

Le parti resistenti hanno formulato numerose eccezioni in rito e, nel merito, hanno chiesto al Tar di rigettare il gravame.
Non appare inutile aggiungere che il 22 dicembre 2008 si è tenuta un’altra riunione della conferenza di servizi al termine della quale sono state assunte decisioni ulteriori sull’outlet. In particolare, su domanda presentata dalla società BMG Noventa, derivante dalla fusione per incorporazione con la s. r. l. Immobiliare Due, è stato assentito un ampliamento ulteriore della superficie di vendita del parco commerciale –outlet nel settore merceologico non alimentare a grande fabbisogno di superficie. In seguito alla predetta conferenza di servizi, il parco commerciale –outlet risulta avere una superficie complessiva di 18.050 mq. . Restano ferme le superfici autorizzate per il settore non alimentare generico (mq. 3003) e per il settore misto (mq. 4495). La superficie destinata al settore merceologico non alimentare a grande fabbisogno di superficie è aumentata a 10552 mq. E’ stato, altresì, rilasciato il permesso di costruire n. 80 del 19 dicembre 2008.
Il parco commerciale risulta così distribuito tra 5 medie strutture di vendita e 82 esercizi di vicinato. Nel complesso, quindi, la conferenza di servizi ha autorizzato lo sviluppo del contestato insediamento commerciale fino al raggiungimento di una superficie di vendita di oltre 18.000 mq., distribuita tra 140 esercizi commerciali, dei quali 33 organizzati in 5 centri commerciali e i restanti 107 suddivisi in 93 esercizi di vicinato e 14 medie strutture di vendita.
In prossimità della discussione del ricorso nel merito la società Fumei ha presentato al Tar una istanza istruttoria diretta ad acquisire agli atti del giudizio, a seguito delle risultanze del verbale della conferenza di servizi del 22 dicembre 2008:
-l’accettazione delle risultanze medesime da parte del titolare della iniziativa;
-le ulteriori autorizzazioni commerciali eventualmente rilasciate ad altre ditte;
-il decreto della Provincia di Venezia del 13 giugno 2008, recante il parere favorevole di compatibilità ambientale;
-eventuali altri atti o documenti conseguenti e/o connessi.
Ciò allo scopo di proporre, ove del caso, censure ulteriori “nelle forme dei motivi aggiunti”.
Il collegio preannuncia fin da ora che, nell’esercizio delle proprie facoltà discrezionali, non ritiene di poter accogliere la domanda istruttoria essenzialmente perché ciò ritarderebbe la definizione del giudizio. La decisione sulla legittimità, o meno, dell’ “impianto generale” del’outlet di Noventa di Piave, infatti, va presa in modo quanto è più possibile sollecito (arg. ex art. 111 Cost., sulla ragionevole durata del processo).
E del resto la società Fumei ben potrà assumere iniziative giurisdizionali ulteriori e distinte all’interno delle quali far valere asseriti vizi di illegittimità autonoma e/o derivata richiedendo al Tar l’esibizione di atti e documenti ai sensi dell’art. 21 della l. n. 1034 del 1971.
All’udienza del 23 aprile 2009 il ricorso è stato discusso e quindi trattenuto in decisione.
1.-In diritto, respinta, in via preliminare, l’istanza istruttoria presentata dalla società Fumei in data 22 aprile 2009 (v. “supra”, p. 1., “in finem”), devono essere anzitutto esaminate e decise le eccezioni in rito sollevate dalle difese delle parti resistenti.
1.1.- Sull’eccezione, formulata da BMG Noventa nella memoria del 3 aprile 2009, di sopravvenuta carenza di interesse a vedere deciso il giudizio, fondata sulla circostanza che il 22 dicembre 2008 si è tenuta una riunione della conferenza di servizi al termine della quale sono state assunte decisioni ulteriori sull’outlet “de quo”, il collegio osserva quanto segue.
In punto di fatto va ricordato che nella riunione del 22 dicembre 2008 la conferenza di servizi ha deliberato di rilasciare un’autorizzazione legittimante un ampliamento ulteriore della superficie di vendita del parco commerciale –outlet esclusivamente nel settore merceologico non alimentare a grande fabbisogno di superficie, fino a 10552 mq. .
In seguito alla delibera e agli atti conseguenti il parco commerciale –outlet risulta avere una superficie complessiva di 18.050 mq. .
Restano ferme invece le superfici autorizzate per il settore merceologico non alimentare generico (mq. 3003) e per il settore misto (mq. 4495).
Il 19 dicembre 2008 è stato altresì rilasciato il permesso di costruire n. 80.
In diritto, l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse alla decisione, giustificata dalla sopraggiunta adozione della recente delibera, è infondata e va respinta.
Il provvedimento con cui è stato autorizzato l’ampliamento ulteriore del parco commerciale non prevede una modifica correttiva delle attività procedimentali svolte in precedenza, ma permette soltanto l’ingrandimento della struttura nel settore “non alimentare a grande fabbisogno di superficie”, assumendo a presupposto della decisione la legittimità delle deliberazioni prese nelle precedenti conferenze di servizi.
In altre parole, poiché la legittimità dell’ultimo ampliamento si regge sul presupposto, logico e giuridico, della legittimità del provvedimento autorizzativo originario e delle modifiche e integrazioni sopraggiunte, atti che sono stati tutti puntualmente impugnati in questa sede giudiziale, ben può ritenersi che il provvedimento sopravvenuto nel dicembre del 2008, anziché avere efficacia sanante sul pregresso, sia invece destinato a rimanere esso stesso travolto per effetto dell’eventuale annullamento giudiziale dei provvedimenti che ne rappresentano il presupposto.
Anzi, a ben guardare, nella prospettiva –che naturalmente sarà il Tar, eventualmente adito da Fumei con un distinto ricorso, ad accertare come corretta, o no- di una sostanziale assenza di carattere lesivo diretto della delibera del 22 dicembre 2008, va nuovamente posto l’accento sul fatto che l’ampliamento (ulteriore) della superficie di vendita deciso, appunto, il 22 dicembre 2008, riguarda unicamente il settore merceologico non alimentare a grande fabbisogno di superficie di cui all’art. 7, comma 7, della l. reg. n. 15/04.
La circostanza assume importanza nella prospettiva di una eventuale, futura verifica giudiziale dell’esistenza di un interesse effettivo della ricorrente a far valere l’illegittimità dell’ampliamento anzidetto.
Indipendentemente dalla questione se la società Fumei chiederà l’annullamento giudiziale, o no, della delibera della conferenza di servizi del 22 dicembre 2008, e sulla base di quali motivi, il collegio giudica opportuno segnalare sin da ora di avere, “infra”, al p. 2.5., nel definire la questione relativa alla ipotizzata illegittimità dell’ampliamento dell’outlet con riguardo a 409 mq. di superficie di vendita riservati, appunto, a esercizi del settore a grande fabbisogno di superficie, riconosciuto un manifesto difetto di interesse della Fumei a chiedere l’annullamento “in parte qua” della delibera della conferenza di servizi del 29 maggio 2007 -27 giugno 2008 dal momento che non si riesce a vedere quale vantaggio potrebbe ricavare la ricorrente medesima, titolare di un esercizio di vendita di scarpe, borse e accessori a San Donà, dall’eventuale annullamento di un atto di assenso all’ampliamento di una superficie da destinare, come prevede l’art. 7, comma 7, della l. reg. n. 15/04, in via esclusiva alla vendita di “mobili, autoveicoli, motoveicoli, legnami, materiali edili, nautica”.
Al p. 2.5. viene rimarcata, cioè, la non idoneità di un ampliamento di superficie riferito unicamente al “settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie” a provocare un qualsivoglia sviamento della clientela a danno dell’esercizio della Fumei o, comunque, a porsi in concorrenza con l’attività commerciale svolta dalla stessa.
In conclusione, l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse a ricorrere va respinta.
1.2.-Quanto all’eccepita “estrema genericità delle formule di censura “ex adverso” impiegate” , che si concretizzano nell’uso delle espressioni “impugnazione delle autorizzazioni del Comune”; contestazione dei “verbali della conferenza di servizi”, o delle “singole autorizzazioni commerciali accordate” o dei “permessi di costruire”, il collegio rileva, a confutazione, che dal complesso degli atti presentati dalla Fumei (ricorso introduttivo e atti per motivi aggiunti: si vedano, in particolare, i preamboli da pag. 3 e le esposizioni in fatto), si ricava che i provvedimenti impugnati sono stati individuati in maniera sufficientemente precisa, mediante indicazioni puntuali che sono state rese realisticamente possibili solo dopo che il Comune ha prodotto in giudizio gli atti e i documenti di causa.
1.3.- Per respingere l’eccezione di inammissibilità del ricorso a causa della omessa notifica dello stesso alla Provincia di Venezia basta osservare, con la difesa della società Fumei, che la ricorrente ha avuto conoscenza della delibera della conferenza di servizi del 28 settembre 2006 solo il 20 ottobre 2007, quando il Comune di Noventa di Piave ha depositato in giudizio il relativo verbale.
Il 22 ottobre la società Fumei ha –tempestivamente- notificato il ricorso all’Amministrazione provinciale.
Ciò basta non solo per rigettare l’eccezione di inammissibilità sopra esposta, ma anche per respingere l’eccezione di irricevibilità per tardività formulata dalla difesa della controinteressata, a pagina 20 della memoria 16 settembre 2008, sull’assunto che “la proposizione del ricorso introduttivo a distanza di un anno non può che risultare tardiva”.
A questo riguardo occorre riaffermare che la piena conoscenza della delibera lesiva è avvenuta soltanto il 20 ottobre 2007, quando il Comune resistente ha depositato in giudizio copia del verbale della conferenza di servizi del 28 settembre 2006, cosicché l’impugnazione del provvedimento suindicato mediante atto notificato il 16 novembre 2007 è pienamente tempestiva.
1.4.-L’eccezione di carenza di legittimazione a ricorrere e di difetto di interesse ad agire in capo alle ricorrenti Fumei e Boutique Rossi (quest’ultima, peraltro, con atto in data 6 marzo 2008 ha rinunciato al ricorso) viene proposta, prima di tutto, con riferimento alla insussistenza di uno stabile collegamento territoriale con l’area, situata nel Comune di Noventa di Piave, che forma oggetto dell’intervento assentito.
L’eccezione è infondata e va respinta poiché il requisito della “vicinitas” sussiste.
Le ricorrenti sono infatti titolari di attività commerciali nel Comune, limitrofo a quello di Noventa di Piave, di San Donà di Piave, posto a pochissimi km. di distanza dal primo.
Entrambi i comuni rientrano nella stessa area sovracomunale di cui alla l. reg. n. 15/04.
Dagli atti di causa risulta che la ricorrente Fumei vende scarpe, borse ed accessori in un esercizio di vicinato a San Donà di Piave, e che la Boutique Rossi, sempre a San Donà di Piave, vende generi di abbigliamento in base all’autorizzazione commerciale n. 1910/1995.
Il criterio territoriale della vicinanza, dunque, sussiste e, a questo proposito, il collegio intende richiamare alcune affermazioni fatte dalla II sezione di questo Tar con la sentenza n. 1733 del 2007, ritenendole valorizzabili anche nella vicenda odierna, contraddistinta da una –perlomeno facilmente ipotizzabile- concorrenza tra l’outlet –o, per dir meglio, tra alcuni esercizi dello stesso- e gli esercizi commerciali gestiti dalle ricorrenti: “l’attuale facilità degli spostamenti e la indiscussa funzionalità dello shopping nel centro commerciale (in termini vuoi di reperibilità di parcheggio, vuoi di possibilità di scelta tra una vasta gamma di prodotti a prezzi spesso competitivi, vuoi di utilizzo dei servizi accessori) sono elementi che consentono di superare il tradizionale limite del collegamento della struttura di vendita con il territorio. La concorrenzialità di una struttura commerciale dipende, invero, (anche) dalle economie di scala che essa è in grado di realizzare, in quanto comportano, come effetto finale, la diminuzione del prezzo al consumatore: e poiché le economie di scala, nel breve periodo, sono in relazione alla quantità venduta (stante l’invariabilità degli altri fattori), segue necessariamente che il centro commerciale, per ottimizzare il profitto, deve proporsi – come in effetti si propone - su un mercato piuttosto vasto, certamente ulteriore rispetto all’area geografica che costituisce il suo apparente bacino di utenza. Ma se, dunque, il consumatore si sposta volentieri laddove può scegliere meglio ed ottenere prezzi migliori, allora deve concludersi che l’apertura di un nuovo centro commerciale, tra l’altro localizzato nelle immediate vicinanze di un altro, comporta comunque un potenziale sviamento di clientela in grado di procurare quel nocumento che la giurisprudenza amministrativa ritiene meritevole di tutela (cfr. CdS, IV, 27.5.2002 n. 2921)” (così, testualmente, Tar Veneto, sent. cit.; sulla sussistenza di legittimazione e interesse a impugnare un’autorizzazione per la ripartizione interna delle superfici commerciali di un parco commerciale, in capo a soggetti titolari di esercizi commerciali al dettaglio già operanti in un Comune limitrofo, e in quanto tali titolari di una “posizione differenziata e qualificata in ordine alle censure proposte avverso i provvedimenti che comporterebbero l’apertura del parco commerciale, il quale, per le sue dimensioni, si porrebbe in diretta concorrenza con la propria attività, sottraendo quote di mercato attualmente disponibili e pregiudicando altresì le prospettive di sviluppo e di espansione delle loro imprese” , v. Tar Veneto, sez. III, sent. n. 449 del 2009).
I prodotti venduti dalla Fumei e dalla Boutique Rossi corrispondono a quelli che, di norma, vengono “messi o rimessi in circolo”, come prevede l’art. 12 della l. reg. n. 15/04, negli outlets.
Sia sulla commercializzazione di capi d’abbigliamento, sia sulla vendita di scarpe, borse e accessori, non pare il caso di spendere soverchie parole.
Comune e controinteressata ritengono che il difetto di interesse al ricorso sia correlato al fatto che l’outlet non potrebbe fare concorrenza alle attività delle ricorrenti dato che in esso possono commercializzarsi soltanto la produzione in eccesso, l’invenduto e la fine serie, restando perciò esclusa la vendita dei beni di nuova produzione. La difesa di BMG Noventa afferma in particolare che le merci vendute nell’outlet appartengono a un “genus” diverso rispetto ai beni per la prima volti esposti per la vendita nei tradizionali negozi di vicinato, i quali possono formare oggetto, tutt’al più, di vendita “in saldo”.
A questo proposito il collegio rileva anzitutto che la finalità perseguita dalla ricorrente con il ricorso è quella di evitare un illegittimo sviamento della propria clientela. In questa prospettiva, non assume rilievo la circostanza che lo sviamento sia da ricollegare alla vendita di beni “nuovi”, o appartenenti all’ “invenduto”. Ciò che conta è il fatto che, per effetto dei provvedimenti impugnati, un nuovo concorrente è autorizzato a fare ingresso nello stesso mercato nel quale opera la ricorrente.
Non pare inutile aggiungere che, al fine di rendere concreto il rischio di sviamento della clientela, assumono rilievo preponderante i significativi abbattimenti dei prezzi di vendita praticati negli outlets rispetto agli esercizi commerciali ordinari.
Anche i negozianti al dettaglio praticano, in regime di saldi, la vendita dell’invenduto e del fine serie, ma ciò avviene con un ribasso dei prezzi che non è avvicinabile agli abbattimenti effettuati negli outlets.
La diretta concorrenza tra esercizi appare facilmente prevedibile considerando che mentre l’attività di vendita della ricorrente segue l’ordinaria filiera commerciale, la peculiare forma di vendita dell’outlet consente notevoli diminuzioni dei prezzi dei prodotti “messi o rimessi in circolo”.
Circa il rilievo di BMG Noventa secondo cui il rischio di perdere una parte della clientela, indotta ad acquistare prodotti di marca a prezzo inferiore, costituirebbe un’evenienza consentita, lecita, legittima e finanche auspicabile in un mercato, come quello attuale, improntato alle regole della concorrenza a tutela del consumatore finale, il collegio fa presente che il principio concorrenziale non può tradursi nella inoppugnabilità di una iniziativa commerciale asseritamente illegittima da parte di chi, proprio a causa dell’iniziativa stessa, rischia credibilmente di subire uno sviamento della propria clientela.
In definitiva, l’interesse che ha mosso la società Fumei a ricorrere contro l’apertura dell’outlet si concreta nell’evitare il rischio di un probabile sviamento di clientela a danno, appunto, del negozio gestito dalla ricorrente stessa. Il rischio anzidetto potrebbe concretizzarsi in un calo del volume delle vendite e appare tanto più serio considerato che, come si è appena visto, alla forma di vendita dell’outlet si accompagnano riduzioni significative dei prezzi praticati in via ordinaria. Sono proprio le differenze, sopra delineate, tra l’ordinaria vendita al dettaglio e la “vendita in outlet” che rendono verosimile l’attuarsi di quello sviamento di clientela sul quale si fonda l’interesse a ricorrere della commerciante sandonatese.
1.5. - Ad avviso di BMG Noventa la carenza di legittimazione e interesse ad agire deriverebbe anche dal fatto che la Fumei è divenuta titolare della rivendita di scarpe nel Comune di San Donà di Piave mediante d. i. a. del 3 novembre 2006, ossia dopo il rilascio del primo permesso edilizio e dopo la prima delibera della conferenza di servizi, di tal che la ricorrente non poteva lamentare alcuno svantaggio competitivo per fatti accaduti prima del suo ingresso sul mercato.
La legittimazione a ricorrere –prosegue BMG Noventa- deve sussistere anche nel momento in cui viene a esistenza il provvedimento lesivo.
Da parte propria la difesa comunale ritiene inammissibile il ricorso esponendo che:
-la Fumei ha avviato la vendita di calzature a San Donà mediante d. i. a. del 3 novembre 2006;
-il ricorso è diretto a contrastare atti, come le singole autorizzazioni commerciali, non ancora rilasciati, oppure atti, come le delibere della conferenza di servizi, che appartengono a un procedimento avviato prima che la ricorrente iniziasse le vendite.
Per superare anche quest’ulteriore eccezione basta rilevare che, come si ricava dall’allegato al verbale della conferenza di servizi del 29 maggio 2007, l’accettazione scritta, ex art. 23, comma 1, della l. reg. n. 15 del 2004, delle prescrizioni di cui all’art. 20, comma 9, l. cit. , è avvenuta solo il 28 novembre 2006, vale a dire dopo l’ingresso della Fumei nel mercato, che ha avuto luogo il 3 novembre, sempre del 2006.
Risulta dunque rispettato il principio secondo cui l’interesse a ricorrere deve sussistere e permanere per tutta la durata del giudizio.
1.6.- Un’ulteriore eccezione riguarda il difetto di legittimazione e di interesse a contestare i titoli edilizi necessari per realizzare l’outlet. La difesa di BMG Noventa sostiene che non sono state chiarite le ragioni per le quali i permessi di costruire che la ricorrente ha impugnato inciderebbero in maniera negativa sulla posizione sostanziale della ricorrente medesima, determinando una lesione concreta, immediata e attuale dell’interesse della stessa. Le autorizzazioni edilizie accordate non inciderebbero, insomma, perlomeno in via diretta, sugli interessi specifici della ditta ricorrente, e ciò è tanto più vero se si considera che la Fumei ha sede al di fuori del territorio di Noventa di Piave. La ricorrente si troverebbe in una posizione assolutamente indifferenziata, non essendo legittimata a verificare, in sede giudiziale, l’ordinato e corretto esercizio dei pubblici poteri urbanistico –edilizi.
Anche l’eccezione di inammissibilità su esposta va respinta.
L’interesse a ricorrere sussiste infatti ogniqualvolta è configurabile una utilità concreta che il ricorrente si ripromette di ottenere dall’accoglimento del ricorso, tenuto conto della situazione concreta nella quale il ricorrente medesimo si trova.
L’interesse a ricorrere può quindi essere anche solo di natura strumentale.
Nella specie, occorre considerare la stretta connessione esistente tra assenso all’apertura dell’outlet e permesso di costruire.
Appare evidente infatti che la contestazione del titolo edilizio viene fatta non tanto nei confronti del permesso di costruire in quanto tale, quanto invece perché l’illegittimità urbanistico –edilizia dell’intervento, eventualmente accertata, renderebbe illegittimo il verbale della conferenza di servizi e gli atti successivi.
In altre parole, dalla caducazione del titolo edilizio non potrebbe non discendere la caducazione, in via consequenziale, dei provvedimenti di carattere commerciale che, in base al principio della correlazione, trovano il loro presupposto nei primi.
Per impedire l’attivazione di strutture commerciali potenzialmente concorrenti con la propria la ricorrente ben può, quindi, denunciare, in via strumentale, profili di illegittimità connessi a violazioni della disciplina urbanistico –edilizia.
1.7.- -Ai fini del rigetto dell’eccezione di inammissibilità del giudizio per difetto di capacità lesiva delle deliberazioni emanate in sede di conferenza di servizi è appena il caso di richiamare, anche ai sensi dell’art. 9 della l. n. 205 del 2000, il “precedente conforme”, sul punto, costituito dalla sentenza della sezione n. 449 del 2009 (v. punti 1.5., 1.6. e 2.), sentenza con la quale è stata riconosciuta, ai ricorrenti, proprio in quanto commercianti, l’esistenza di un interesse concreto e attuale a impugnare gli atti, anche prodromici, rispetto alla attivazione effettiva del parco commerciale, ed è stata sottolineata l’impugnabilità, in via diretta e autonoma, della determinazione assunta nella conferenza di servizi ai sensi dell’art. 20 della l. reg. n. 15 del 2004.
Le decisioni assunte nelle conferenze di servizi indette ai sensi dell’art. 20 della l. reg. n. 15 del 2004 devono quindi ritenersi immediatamente lesive dell’interesse dei ricorrenti e sono quindi impugnabili in giudizio in via diretta e autonoma.
1.8.- BMG Noventa ha, poi, eccepito la inammissibilità del primo ricorso per motivi aggiunti, “perché sprovvisto della necessaria e specifica procura alle liti”; e la difesa comunale, da parte propria, ha eccepito la inammissibilità di tutti gli atti per motivi aggiunti a causa della avvenuta “notifica irrituale” degli atti stessi presso il domicilio eletto nel controricorso principale, vale a dire nello studio legale del difensore, anziché presso la sede dell’Amministrazione.
In particolare, le parti resistenti sostengono che il mandato a difendere, così come quello a resistere in giudizio, deve ritenersi rigorosamente limitato ai soli provvedimenti conosciuti al momento del conferimento del mandato medesimo, occorrendo la rinnovazione dello stesso ogniqualvolta si impugnino nuovi e diversi provvedimenti, ancorché connessi, e ancorché si utilizzi l’istituto processuale dei motivi aggiunti, e ciò perché il mandato “ad litem”, comportando l’assunzione di un impegno di natura contrattuale, richiede forma scritta e oggetto definito con conferimento di poteri determinati e precisati nella scrittura medesima. Da ciò discenderebbe l’inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti, proposto senza il conferimento di una procura nuova rispetto a quella posta a margine del ricorso introduttivo del 28 settembre 2007.
Si soggiunge che non può presumersi a favore del legale costituito in giudizio un potere rappresentativo che vada al di là della controversia instaurata, nel senso di presumerne l’estensione a un oggetto e a un “thema decidendum”, non solo diverso, ma nemmeno conoscibile al momento del conferimento del mandato; con la conseguenza che illegittimamente la notifica dei ricorsi per motivi aggiunti sarebbe stata effettuata al Comune di Noventa di Piave, presso il legale costituitosi in giudizio nella procedura instaurata in precedenza, presupponendo un potere rappresentativo dello stesso che questi non poteva avere.
Le controparti osservano, poi, che il (primo) ricorso per motivi aggiunti risulta sprovvisto della necessaria e specifica procura alle liti.
L’articolata eccezione su esposta è infondata e va respinta. E infatti:
-“la riforma del processo amministrativo introdotta 21 luglio 2000 n. 205, rafforza l'idea di un istituto (motivi aggiunti impugnatori) che è costruito come mezzo per integrare le censure prospettate dal ricorrente, non solo nei confronti del primo atto impugnato, ma anche degli ulteriori atti di esercizio del potere amministrativo che incidano sulla situazione soggettiva portata all'attenzione del giudice. Tanto è vero che l'art. 21, comma 8, della l. 6 dicembre 1971 n. 1034, nel testo modificato dall'art. 1, comma 1, della l. 21 luglio 2000 n. 205, circoscrive la possibilità di estendere l'ambito dell'impugnazione non solo all'esistenza di un giudizio tra le stesse parti ma anche all'esistenza di provvedimenti "connessi all'oggetto del ricorso stesso"; limitazione quest'ultima che non avrebbe senso se lo scopo perseguito dal legislatore fosse solo quello di apprestare "uno strumento di concentrazione processuale". Pertanto, le conclusioni cui il collegio è pervenuto con la decisione n. 3717 del 2002, rappresentano il logico corollario della concezione dell'istituto dei motivi aggiunti di tipo impugnatorio come mezzo finalizzato ad arricchire il thema decidendum, così come prospettato con l'atto introduttivo del giudizio e definito dall'interesse legittimo dedotto in giudizio. In questo ambito, non trattandosi di un ricorso formalmente autonomo, il ricorrente non è tenuto a conferire un incarico ad hoc al proprio legale per estendere l'impugnazione ai provvedimenti oggettivamente connessi ed introdurre ulteriori motivi rispetto a quelli dedotti con il ricorso originario” (così Cons. St., sez. V, sent. n. 213 del 2007; nello stesso senso Cons. St., IV, n. 298 del 2008, IV, n. 5354 del 2007, V, n. 3717 del 2002 e V, n. 2080 del 2006).
Insomma, per proporre un ricorso per motivi aggiunti contro un provvedimento distinto rispetto a quello impugnato con il ricorso principale, ma ad esso equivalente quanto a lesione degli interessi del ricorrente, non vi è necessità di una rinnovata procura al difensore.
Riguardo al luogo di notificazione dei ricorsi per motivi aggiunti basta osservare che, “una volta radicato il contraddittorio nei confronti dell'Amministrazione e una volta che questa si sia costituita in giudizio a mezzo di difensore, correttamente i motivi aggiunti sono notificati presso il difensore stesso nel domicilio eletto; i motivi aggiunti, infatti, si configurano come mezzo di ampliamento del giudizio in corso e, quindi, come atto del giudizio stesso; sicché è da ritenersi comunque legittima e rituale la loro notificazione effettuata presso il predetto domicilio eletto dalla parte intimata anziché in quello risultante dalla relata di notifica dell'atto introduttivo del giudizio (cfr. Sezione V, 6 luglio 2002, n. 3717); la formale conoscenza dell'atto da parte del difensore costituito consente, infatti - per il tramite della già avvenuta instaurazione del rapporto defensionale - di far conoscere, con tempestività, alla stessa Amministrazione l'atto contenente i motivi aggiunti e, quindi, di approntare idonei mezzi difensivi e, comunque, di impartire al difensore idonee direttive.
In tal modo viene soddisfatto, del resto, anche un naturale principio di economia processuale volto, in effetti, nella logica anche della legge n. 205 del 21 luglio 2000, a far si che - una volta instaurato il rapporto processuale teso ad investire atti amministrativi o rapporti insorti tra privato e amministrazione - ogni ulteriore determinazione assunta dalla stessa amministrazione, legata da un rapporto di consequenzialità logico-giuridica con gli atti o rapporti precedenti, possa essere gravata nell'ambito dello stesso rapporto processuale in precedenza instaurato; con la possibilità, quindi, di notificare i motivi aggiunti anche direttamente presso il difensore domiciliatario dell'Amministrazione, attesa l'intervenuta instaurazione di un rapporto professionale tra tali due soggetti, funzionale alla risoluzione di un contenzioso che va rivisto, dopo l'intervento del legislatore del 2000, con il carattere di unitarietà pur se teso a investire nuove determinazioni amministrative” (Cons. St., sez. V, sent. n. 831 del 2007; conf. CdS, IV, n. 5354 del 2007).
La notifica dei ricorsi per motivi aggiunti eseguita al domicilio eletto, dal Comune resistente, presso il suo difensore, deve dunque ritenersi legittima e regolare.
2.- Quanto al merito, il collegio ritiene opportuno impostare la motivazione della sentenza seguendo l’elencazione delle censure fatta dalla ricorrente, nel ricorso introduttivo e negli atti per motivi aggiunti, con numerazione ordinale romana. I motivi identici, o che attengono alla medesima questione, saranno esaminati e decisi in modo congiunto.
2.1.-Con la censura sub I del ricorso introduttivo la ricorrente premette che:
-l’art. 7, comma 4, della l. reg. n. 15 del 2004 suddivide la programmazione commerciale, e le relative strutture, nei seguenti quattro settori merceologici:
a) alimentare;
b) non alimentare generico;
c) non alimentare a grande fabbisogno di superficie;
d) misto;
-il successivo art. 12, comma 1, stabilisce che gli outlets sono forme di vendita di prodotti non alimentari;
-l’art. 15, comma 1, subordina l’apertura delle grandi strutture di vendita al rilascio di un’autorizzazione comunale “nel rispetto degli obiettivi di sviluppo fissati nell'allegato B che costituisce parte integrante della presente legge”;
-l’apertura di un outlet, struttura, lo si ripete, del settore non alimentare, presuppone necessariamente che la programmazione regionale preveda una corrispondente capienza nel medesimo settore.
Ciò premesso, la ricorrente sostiene che, nella specie, con riferimento all’area commerciale n. 10 –San Donà –Portogruaro, al cui interno si trova il Comune di Noventa di Piave, l’assenza di superficie disponibile nel settore non alimentare avrebbe dovuto impedire la convocazione della conferenza di servizi, dato che secondo l’art. 20, comma 2, l. reg. cit., la conferenza di servizi non viene indetta nel caso di mancanza di disponibilità di superficie. Ciò avrebbe dovuto precludere il rilascio dell’autorizzazione all’apertura dell’outlet.
La ricorrente aggiunge che la domanda di autorizzazione all’apertura della struttura si riferisce al settore merceologico misto, ovvero alimentare e non alimentare (cfr. art. 7, comma 8, della l. reg. n. 15/04), e che la conferenza di servizi, nell’accogliere l’istanza della Immobiliare Sassi, ha autorizzato l’apertura di un parco commerciale –outlet destinato a ospitare esercizi del settore misto, ovvero del settore alimentare e non alimentare, ex art. 7, comma 8, cit., per una superficie di vendita complessiva di mq. 3967. Senonché, la ricorrente ribadisce che la domanda esaminata dalla conferenza di servizi andava respinta in quanto l’art. 12, comma 1, della l. reg. n. 15/04, non consente che negli outlets sia esercitato il commercio di prodotti alimentari.
La censura è infondata e va respinta.
Va precisato in via preliminare che non è vero quanto afferma la difesa della controinteressata e, cioè, che il rilievo della Fumei “risulta ampiamente superato dalle risultanze” della conferenza di servizi del 27 giugno 2008, tenutasi sul presupposto della sopravvenuta disponibilità di ulteriori obiettivi regionali relativi al settore “non alimentare generico”, cosicché non sussisterebbe più “materia di contesa sul punto”.
In realtà, con il verbale n. 12125 del 27 giugno 2008 la conferenza di servizi ha autorizzato la terza modifica distributiva e di settore merceologico dell’outlet nei termini che seguono:
-superficie totale di vendita, mq. 7907, 4495 dei quali del settore misto, 3003 del settore non alimentare generico e 409 del settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie.
Risulta evidente che per circa 4500 mq. la conferenza di servizi ha utilizzato la disponibilità di superficie del settore misto.
“In parte qua” il rilievo è, dunque, tutt’altro che superato, mentre non vi è più materia di contesa, in relazione alla censura proposta, sulla parte della struttura destinata al settore non alimentare generico. Quanto ai 409 mq. destinati al settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie si dirà “infra”, al p. 2.5. .
Ciò posto, l’art. 7, comma 8, della l. reg. n. 15/04 prevede che “per settore misto si intende il settore comprensivo dei prodotti alimentari e non alimentari; la ripartizione interna della superficie di vendita tra le due merceologie è nella disponibilità del titolare dell'autorizzazione commerciale…”.
Come si è già detto, l’art. 12, comma 1, l. reg. cit. sancisce che gli outlets sono forme di vendita di prodotti non alimentari.
Il collegio ritiene che la difesa comunale colpisca il segno là dove osserva che l’aver attinto alla disponibilità di contingente del settore misto, pur nell’intento di non attivare una struttura di vendita di prodotti alimentari, non comporta la violazione del citato art. 12, comma 1 giacché, come dispone il sopra trascritto art. 7, comma 8, la ripartizione interna della superficie di vendita tra i prodotti del settore alimentare e di quello non alimentare “è nella disponibilità del titolare dell’autorizzazione commerciale”.
In altre parole, il contingente misto può essere destinato, a discrezione del titolare dell’autorizzazione commerciale, a entrambi i settori merceologici, a quello alimentare e a quello non alimentare, ovvero all’uno piuttosto che all’altro, senza alcuna riserva obbligatoria di superficie a favore dell’uno o dell’altro.
Quando la programmazione regionale in materia di esercizi di vendita ha destinato una certa quantità di superficie al settore merceologico misto, con pieno affidamento, alla iniziativa economica privata, della scelta sul se attivare, o no, un punto vendita di prodotti alimentari (la libertà nella ripartizione interna delle superfici tra i settori, precisa la difesa comunale in modo condivisibile, implica anche la facoltà di optare per l’azzeramento della superficie di vendita per l’uno o l’altro settore), ciò ha voluto significare che non si è ritenuto, e tuttora non si ritiene, sussistere un interesse pubblico meritevole di tutela a che sia garantita in maniera indefettibile l’attivazione di punti vendita di un determinato settore merceologico anziché di un altro nei settori misti: la relativa scelta è stata rimessa alle peculiari esigenze del mercato, vale a dire alla libera valutazione fatta di volta in volta dal titolare dell’autorizzazione commerciale.
Del resto, se il legislatore regionale avesse voluto obbligare il titolare dell’autorizzazione commerciale per il settore misto a riservare una superficie di vendita minima, o non trascurabile, al settore alimentare, o a quello non alimentare, avrebbe usato espressioni apposite, anziché stabilire, come viceversa ha fatto, che “la ripartizione interna della superficie di vendita tra le due merceologie è nella disponibilità del titolare dell’autorizzazione commerciale”, così legittimando la libertà di scelta del titolare dell’autorizzazione in base a ragioni di convenienza economico –imprenditoriale.
E’ quasi inutile aggiungere che, mente nulla osta a che il contingente che la programmazione regionale riserva al settore misto venga assorbito per intero da una iniziativa economica che non preveda l’attivazione di alcun punto vendita del settore alimentare, la richiedente non potrebbe essere autorizzata a vendere, sotto forma di outlet, prodotti alimentari, ostando a ciò il sopra citato art. 12 comma 1.
Del resto, per quanto qui interessa, le delibere delle conferenze di servizi prescrivono di mettere in vendita esclusivamente prodotti appartenenti al settore non alimentare generico, come prevede l’art. 12, comma 1, l. reg. n. 15/04, ed escludono la messa in vendita di prodotti alimentari.
Con il motivo sub IV la ricorrente ricalca, nella sostanza, la censura sopra sintetizzata, limitandosi ad aggiungere che anche la disciplina urbanistica locale (v. art. 5, comma 8, delle n.t.a. del PRG) definisce gli outlets come punti vendita utilizzati dalle grandi aziende del settore non food per distribuire i propri articoli.
Anche il motivo sub IV dev’essere quindi respinto mediante un semplice richiamo agli argomenti appena addotti.
La stessa decisione va presa in merito alla censura sub VI, con la quale si ribadiscono concetti analoghi a quelli esposti, sotto la differente angolazione, però, dell’eccesso di potere per sviamento e per illogicità manifesta, in relazione all’asserito aggiramento della pianificazione commerciale regionale.
A un identico esito occorre giungere, inoltre, in ordine sia alla censura sub XIII, pressoché identica al IV motivo, sia alla prima parte del motivo sub XVIII, concernente illegittimità derivata.
Allo stesso risultato si deve pervenire al termine dell’esame della censura sub XXV che riguarda l’ultima, in ordine cronologico, delle delibere impugnate, vale a dire il verbale conf. serv. 27 giugno 2008 prot. n. 12125, nella parte in cui si delibera di accogliere l’istanza diretta ad autorizzare l’attivazione dell’outlet impiegando la disponibilità di superficie di mq. 4495 del settore misto.
Anche la censura sub V presenta parecchi elementi di somiglianza con i motivi appena sunteggiati, e dunque può essere esaminata e decisa insieme a questi.
Nel ricorso, al p. V, si legge che esiste una discrasia tra la domanda della Immobiliare Sassi, riferita a 3967 mq. di superficie di vendita per il settore misto, e la delibera della conferenza di servizi 28 settembre 2006 che prescrive la vendita, in forma di outlet, di prodotti del settore non alimentare.
Nel ricorso si sostiene che la conferenza di servizi sarebbe intervenuta in modo arbitrario a modificare “ex officio” il settore merceologico di riferimento della struttura, dal misto al non alimentare, così eludendo la pianificazione commerciale regionale.
La Fumei prosegue evidenziando che, poiché la pianificazione commerciale vietava, nell’area “de qua”, di realizzare grandi strutture di vendita del settore “non alimentare”, se la Immobiliare Sassi avesse correttamente riferito la propria richiesta al “non alimentare”, anziché al misto, non sarebbe nemmeno stato possibile indire la conferenza di servizi, per mancanza di superficie disponibile –arg. ex art. 20, comma 2, cit.- , e l’istanza non sarebbe stata neppure esaminata.
Anche quest’ultima censura va respinta.
Fermo quanto si è detto sopra sulla inesistenza di una incompatibilità tra settore misto e apertura di un outlet, basterà aggiungere, adesso, che la specifica prescrizione della conferenza di servizi sulla vendita di prodotti esclusivamente del settore non alimentare non è altro che una conferma, verso l’esterno, della peculiare forma di vendita prescelta dalla controinteressata.
Vi è, dunque, coerenza tra la istanza della Immobiliare Sassi e la decisione assunta in sede di conferenza di servizi.
Anche la dedotta violazione dell’art. 20, comma 2, della l. reg. n. 15/04 non sussiste, dato che vi è disponibilità di superficie per il settore misto.
Concludendo sul punto non pare inutile ripetere che se è indubbia la persistenza dell’interesse a vedere decisa la censura con riferimento ai 4495 mq. del settore misto, ugualmente è innegabile che, sulla superficie destinata, dal 2007, al settore non alimentare generico, è venuta meno ogni ragione di contesa tra le parti.
2.2.- Con le censure sub II e IX la ricorrente deduce la violazione dell’art. 12, comma 1, della l. reg. n. 15 del 2004, il quale prevede che “…gli outlet sono forme di vendita di prodotti non alimentari che consentono alle aziende produttive, in locali diversi dal luogo di produzione, di mettere e rimettere in circolo esclusivamente l'invenduto, la produzione in eccesso, la fine serie…”.
Con le censure suddette la ricorrente sottolinea in primo luogo che la Immobiliare Sassi, avendo un oggetto sociale estraneo alla produzione e alla rivendita al pubblico di prodotti non alimentari, difetterebbe di un requisito essenziale per poter essere definita azienda produttiva e, quindi, per poter chiedere e ottenere il rilascio delle autorizzazioni commerciali.
E che il requisito in contestazione rivesta carattere essenziale emergerebbe dallo stesso verbale della conferenza di servizi del 28 settembre 2006 a conclusione del quale si è deciso di “verificare, prima del rilascio dell’autorizzazione, che i soggetti interessati siano qualificati come aziende produttive”.
Comune, BMG Noventa e Nike Retail controbattono puntualmente.
I motivi sono infondati e vanno respinti.
Per definire in modo corretto le censure sopra compendiate va precisato, in via preliminare, che nella seduta della conferenza di servizi del 27 giugno 2008, con il verbale prot. n. 12122, si è deciso di modificare la prescrizione di cui al p. 3 del verbale conf. serv. 28 settembre 2006, confermato nelle conferenze del 29 maggio e del 25 ottobre 2007.
La prescrizione sub 3. imponeva di verificare, “prima del rilascio dell’autorizzazione, tra l’altro:
-che i soggetti interessati siano qualificati come “aziende produttive” e
-che “i prodotti messi in vendita riguardino esclusivamente l’invenduto, la produzione in eccesso e la fine serie”.
La prescrizione del 2006 è stata modificata il 27 giugno 2008 disponendo, sul rilascio delle autorizzazioni commerciali e sul connesso controllo dei requisiti richiesti, che “prima del rilascio dell’autorizzazione e dopo l’apertura il comune verifichi il rispetto dei requisiti previsti dall’art. 12, comma 1, della l. reg. n. 15/04”.
Ciò posto, le censure vanno respinte perché, come giustamente osserva la difesa comunale, dato che gli outlet sono destinati alla messa e rimessa in circolo “di quanto rimasto nei magazzini delle aziende produttive”, va fatta una distinzione tra il soggetto che si attiva per realizzare la struttura e il soggetto, o i soggetti, che saranno autorizzati ad aprire i diversi punti –vendita all’interno dell’outlet.
Detto altrimenti, una cosa sono gli atti di assenso, rilasciati al soggetto che promuove la realizzazione della struttura, per l’apertura e l’ampliamento del parco commerciale –outlet, e altra e ben diversa cosa sono le singole autorizzazioni commerciali assentite di volta in volta.
Si tratta di provvedimenti coordinati, ma autonomi, cui corrispondono interessi sottostanti altrettanto distinti e autonomi.
Dalla sopra tratteggiata differenziazione tra promotore della iniziativa e futuri titolari delle autorizzazioni commerciali consegue che l’accertamento del possesso dei requisiti di cui al citato art. 12, comma 1, non può che avvenire “a valle”, vale a dire al momento del rilascio delle autorizzazioni, oltre che mediante verifiche successive eseguite durante l’esercizio dell’attività commerciale, e non già al momento della pronuncia della conferenza di servizi.
In questa prospettiva, è irrilevante la circostanza, segnalata dalla Fumei, che “l’assenza delle condizioni per definire la società Immobiliare Sassi “azienda produttiva” all’epoca dell’avvio del procedimento amministrativo diretto al rilascio delle autorizzazioni commerciali (sia) attestata (dal fatto) che, secondo la visura ordinaria … della CCIAA, la stessa società ha iniziato l’attività solo il 15 giugno 2007”.
Le censure sub XX, XXI e XXVII sono connesse alle censure II e IX e possono quindi essere esaminate e decise in un unico contesto argomentativo.
Con la censura sub XXVII la Fumei, dopo avere ribadito che le autorizzazioni commerciali interne all’outlet possono essere rilasciate solo alle aziende produttrici, e che Immobiliare Sassi e Immobiliare 2 tali sicuramente non sono, sottolinea che illegittimamente sarebbe stato assentito il rilascio di singole autorizzazioni commerciali a favore di soggetti che non risultano svolgere direttamente alcuna attività produttiva e che sono solo collegati ai soggetti produttori mediante non meglio precisati rapporti societari o contrattuali.
La tesi di fondo della ricorrente è quindi che se le aziende produttrici si avvalgono, per la vendita, di soggetti commerciali terzi, allora si è al di fuori dell’outlet.
La censura è infondata e va respinta.
Prima però va chiarito che l’interesse della società Fumei a impugnare le autorizzazioni commerciali dev’essere circoscritto ai casi che riguardano la vendita di beni dello stesso tipo di quelli trattati da Fumei (vale a dire scarpe, borse e accessori), e ciò perché una situazione di concorrenza tra la Fumei e altri esercizi in tanto può sussistere in quanto si tratti di esercizi che trattano la vendita di beni della stessa tipologia merceologica. Nessun interesse può quindi essere riconosciuto a Fumei ad avversare il rilascio di autorizzazioni commerciali che si riferiscono alla vendita di prodotti estranei a quelli commercializzati dalla stessa Fumei.
Precisato questo, va subito detto che l’art. 12, comma 1, della l. reg. n. 15 del 2004, rubricato “outlet”, il quale prevede che “ai fini della presente legge gli outlet sono forme di vendita di prodotti non alimentari che consentono alle aziende produttive, in locali diversi dal luogo di produzione, di mettere e rimettere in circolo esclusivamente l'invenduto, la produzione in eccesso, la fine serie. Sono costituiti prevalentemente da esercizi di vicinato che presentano un'immagine unitaria”, si limita a stabilire che la finalità degli outlet è quella di consentire, alle aziende produttive, di “mettere e rimettere in circolo” i prodotti indicati nella norma sopra trascritta.
Il citato art. 12 non impone, invece, alle aziende produttrici di richiedere direttamente l’autorizzazione per “mettere e rimettere in circolo” i medesimi prodotti, e neppure definisce ulteriormente le modalità con le quali ciò deve avvenire.
Da tutto questo consegue che, in assenza di indicazioni contrarie, le aziende produttive devono “mettere e rimettere in circolo”, in locali diversi dal luogo di produzione, l’invenduto, la produzione in eccesso e la fine serie, ma per assicurare una siffatta tipologia di vendita ben possono avvalersi di soggetti specifici che rientrano nella categoria dei commercianti.
In altre parole, le autorizzazioni commerciali per la vendita di prodotti all’interno degli outlets non presuppongono una identità soggettiva tra azienda produttiva e soggetto venditore, anche se deve pur esistere un rapporto tra il soggetto che richiede l’autorizzazione commerciale e l’azienda produttiva, tale per cui l’attività di vendita sia riferibile, anche solo in via indiretta e mediata, al soggetto produttore.
Detto altrimenti, nel disegno dell’art. 12 della l. reg. n. 15/04 la qualificazione di una struttura di vendita come outlet è posta in relazione alla tipologia dei prodotti venduti e alla provenienza degli stessi, e non, o non necessariamente, alla qualificabilità come azienda produttiva della struttura che pone in vendita i prodotti non alimentari.
Gli outlets non sono spacci aziendali, in quanto tali gestiti in via diretta dalle singole aziende produttrici, ma, come correttamente fa notare la difesa del Comune, sono strutture di vendita di merci a basso costo provenienti dalle giacenze di magazzino delle ditte produttrici, giacenze che possono sì essere messe in vendita dalle medesime ditte produttrici, ma che nulla esclude che possano essere poste in vendita, o “rimesse in circolo”, da soggetti terzi, che rilevano l’invenduto dai magazzini delle aziende per venderlo in strutture “ad hoc”.
Nella forma di vendita dell’outlet ben può accadere che l’azienda produttrice si avvalga, per regolamentare la messa in vendita della merce prodotta in eccesso oppure del “fine serie”, di altri soggetti legati al produttore dai più diversi rapporti negoziali, ciò che rileva essendo unicamente la riconducibilità dei prodotti alle aziende produttive.
Concludendo sul punto, non è vero che, in base a quanto dispone l’art. 12 della l. reg. n. 15/04, la vendita sia consentita in via esclusiva direttamente alle aziende produttive.
La censura sub XX si incentra sulla impugnazione del verbale della conferenza di servizi n. 12122 del 27 giugno 2008, con il quale è stata deliberata la modifica della prescrizione imposta al p. 3. del verbale della precedente conf. serv. del 28 settembre 2006.
Nella censura XX la ricorrente sottolinea che dallo stesso verbale prot. n. 12122 del 27 giugno 2008 emerge che la conferenza di servizi era stata indetta per l’esame della modifica delle prescrizioni “a seguito di richiesta da parte del Comune di Noventa di Piave”, anziché su istanza della titolare della iniziativa.
Si tratta, rileva la Fumei, di un modo di procedere illegittimo per violazione dell’art. 20, comma 2, della l. reg. n. 15/04, il quale subordina l’avvio dell’iter procedimentale alla contestuale presentazione della istanza di parte a Comune, Provincia e Regione, la mancanza della quale, sostiene la ricorrente, rappresenta un motivo ostativo alla indizione della conferenza di servizi.
In altre parole, l’illegittimità del verbale n. 12122, la quale si riverbera in via derivata sulle autorizzazioni commerciali rilasciate per l’apertura dei singoli esercizi, discenderebbe dal fatto che la prima conferenza di servizi del 27 giugno 2008 è stata indetta non già dando seguito a una domanda presentata dalla società controinteressata, ma su autonoma iniziativa comunale.
Il motivo è infondato e va respinto.
In punto di fatto si è già detto che con il verbale prot. n. 12122 è stata modificata la prescrizione di cui al p. 3 del verbale conf. serv. 28 settembre 2006, confermato nelle conferenze del 29 maggio e del 25 ottobre 2007.
La prescrizione imponeva di verificare, “prima del rilascio dell’autorizzazione:
-che i soggetti interessati siano qualificati come “aziende produttive”, e
-che i prodotti messi in vendita riguardino esclusivamente l’invenduto, la produzione in eccesso e la fine serie.
La prescrizione sopra trascritta è stata modificata dopo che la rappresentante del Comune aveva fatto presente, in conferenza di servizi, che la prescrizione stessa era di impossibile applicazione. Allora, sul rilascio delle autorizzazioni commerciali e sul connesso controllo dei requisiti richiesti si è stabilito che “prima del rilascio dell’autorizzazione e dopo l’apertura il comune verifichi il rispetto dei requisiti previsti dall’art. 12, comma 1, della l. reg. n. 15/04”.
In diritto, l’art. 20 della l. reg. n. 15/04 non solo non vieta agli enti pubblici di adottare, integrare e/o correggere disposizioni e/o prescrizioni da inserire nel verbale della conferenza di servizi; non esclude, cioè, iniziative di modifica “ex officio”, ma dispone, al comma 9, lett. f), che la delibera della conferenza di servizi può indicare “eventuali prescrizioni per la realizzazione della iniziativa”.
Se dunque sussiste il potere di imporre, al soggetto richiedente, l’osservanza di una determinata prescrizione, a maggior ragione potrà essere modificata, su iniziativa di uno degli enti coinvolti nella conferenza di servizi, una prescrizione già adottata, e ciò in ispecie se la prescrizione originaria risultava di difficile applicazione pratica. In particolare, non può non essere riconosciuto, al Comune, il potere di promuovere il riesame di quelle prescrizioni che si rivelino o si siano rivelate di difficile, o impossibile, applicazione.
Non si tratta, nel caso concreto, della indizione di una conferenza di servizi, ma semplicemente della (richiesta di) modifica di una precedente prescrizione: di qui l’erroneità del presupposto interpretativo dal quale la ricorrente ha preso le mosse, e la conseguente infondatezza della censura.
La censura sub XXI, concernente violazione dell’art. 12 della l. reg. n. 15/04 ed eccesso di potere per illogicità manifesta e sviamento, si incentra sulla impugnazione della modifica alla prescrizione di cui al p. 3., disposta con il verbale conf. serv. n. 12122 del 27 giugno 2008.
La Fumei ritiene che la modifica, più volte sopra indicata, sarebbe illegittima perché, spostando alla fase della vendita la verifica in ordine alla appartenenza delle merci alle categorie dell’invenduto, della produzione in eccesso e della fine serie, l’efficacia della prescrizione verrebbe irrimediabilmente svuotata.
La prescrizione verrebbe trasformata da condizione per il rilascio dell’autorizzazione commerciale a semplice prescrizione sullo svolgimento dell’attività commerciale.
Di qui l’illogicità manifesta e lo sviamento denunciati.
Anche la censura sopra riassunta è infondata e va respinta perché:
-la legge non richiede che le verifiche sulle tipologie di prodotti che sono posti in vendita negli outlets debbano essere effettuate prima della apertura dell’esercizio (per la verità, non richiede neppure che le verifiche vadano fatte prima del rilascio dell’autorizzazione commerciale);
-il temuto svuotamento di efficacia della prescrizione viene evitato prevedendo che la verifica “de qua” vada fatta prima del rilascio dell’autorizzazione –anche se dopo l’apertura-, fermo restando che non è ragionevole, né appare coerente con i principi generali dell’attività amministrativa, differire in modo eccessivo, o rinviare indefinitamente, ad apertura dell’esercizio già avvenuta, l’esecuzione della verifica “de qua”;
-resta salvo un potere permanente, del Comune, di verifica del rispetto dei requisiti di cui al citato art. 12, comma 1.
2.3.- La censura sub VII, concernente violazione dell’art. 19 della l. reg. n. 15 del 2004, in relazione alla insufficiente valutazione dell’impatto della struttura sulla viabilità circostante, è ammissibile ma dev’essere respinta perché infondata.
Il collegio dissente dalla prospettazione di BMG Noventa, secondo la quale Fumei “tenta di condurre il Giudicante attraverso una via … sbarrata dal divieto di accesso ai profili di merito dell’azione amministrativa”.
In realtà, Fumei invoca la violazione dell’art. 19, commi 2 e 3, della l. reg. n. 15/04 e, implicitamente ma non per questo meno sicuramente, deduce eccesso di potere per difetto di istruttoria.
Non si tratta di censura che attiene al merito della azione amministrativa.
Si tratta, invece, di censura di legittimità.
La censura dev’essere però respinta perché infondata, e ciò alla luce della documentazione depositata dalla controinteressata nel corso del procedimento amministrativo –e prodotta nel giudizio odierno-, relativamente agli studi e alle analisi effettuati sull’impatto della struttura commerciale sulla viabilità circostante e sul traffico (v. relazione sulle modalità di attuazione della iniziativa commerciale, da pag. 15 –doc. 5 dep. doc. Immobiliare Sassi del 27 dicembre 2007; v. anche il doc. 6, da pag. 16, e il doc. 8).
Di conseguenza va respinto il corrispondente profilo di censura sub XVIII, concernente illegittimità derivata.
2.4.- Con la censura sub VIII, concernente violazione degli articoli 15 e 12, comma 2, della l. reg. n. 15/04, la ricorrente espone che:
-dal verbale del 28 settembre 2006 emerge che la stessa conferenza di servizi, prima di valutare l’istanza della Immobiliare Sassi, si era espressa in senso favorevole alla attivazione di un altro outlet a breve distanza da quello di Noventa di Piave (si tratta dell’outlet del Gruppo Basso a Roncade –TV);
-all’epoca dei fatti il citato art. 12, comma 2, prevedeva che “quando la somma delle superfici di vendita superi i limiti dimensionali massimi di cui all'articolo 7, comma 1, lettere a) e b)”, gli outlet devono avere una distanza fra loro, in linea d'aria, non inferiore a cento chilometri;
-nella seduta del 28 settembre 2006 la conferenza di servizi, avendo già autorizzato l’apertura dell’outlet a Roncade, vale a dire a una distanza di circa 15 km. dall’outlet di Noventa, per una superficie di vendita di circa 11.300 mq., non avrebbe potuto approvare la domanda della Immobiliare Sassi, in quanto avente a oggetto un outlet, parimenti eccedente i limiti dimensionali massimi indicati dal citato art. 12, comma 2, da attivare a pochi km. di distanza dall’outlet autorizzato a Roncade;
-solo con la l. reg. 16 agosto 2007, n. 21, adottata in adempimento della previsione di cui all’art. 3, comma 4, del d. l. n. 223 del 2006, conv. con mod. in l. n. 248 del 2006, il sopra trascritto art. 12 è stato modificato eliminando l’imposizione della distanza minima di 100 km. tra gli outlets.
Ciò detto, il collegio è prima di tutto dell’avviso che la censura sopra riassunta debba ritenersi superata alla luce della sopravvenuta entrata in vigore della l. reg. 16 agosto 2007, n. 21, che ha soppresso il limite dei 100 km. di distanza tra gli outlets.
A questo proposito il collegio ritiene plausibile affermare che come, in nome dei principi di economia dei mezzi giuridici e di conservazione degli atti, l’art. 21 –octies della l. n. 241/90, a determinate condizioni, esclude che provvedimenti, astrattamente annullabili, possano essere caducati, così, a maggior ragione, non possono essere posti nel nulla tutti quei provvedimenti che, pur se assunti in violazione di legge, sono oggi conformi alle mutate prescrizioni normative. “Diversamente opinando, si perverrebbe a una metodica che richiederebbe un doppio passaggio (annullamento dell’atto per carenza di un presupposto e successiva rivalutazione della medesima vicenda con esito favorevole per la medesima parte) del tutto superfluo e contrario alla logica dell’economia processuale” (così Cons. St., V, sent. n. 5214 del 2004).
Con riferimento a una vicenda per alcuni versi simile a quella odierna la V sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5214 del 2004, ha chiarito che “conviene valutare … alla stregua di questa evenienza gli effetti di una pronuncia che, fondandosi sul mero dato formale, ritenesse che, al momento in cui era assentita la concessione edilizia “de qua” sussisteva comunque un elemento di illegittimità (la carenza di sagoma limite) reintrodotta solo in seguito… il giudizio di legittimità dovrebbe, in ogni caso, concludersi con un annullamento sul rilievo della originaria carenza di tutti i presupposti per l’adozione dell’impugnato provvedimento… se lo “jus aedificandi” … si forma anche in seguito, ma pur sempre nell’ambito di una procedura “lato sensu” di riesame, non v’è ragione per negare al titolo così formato la sua piena validità indipendentemente dalla sua originaria deficienza. Diversamente opinando, si perverrebbe a una metodica che richiederebbe un doppio passaggio (annullamento dell’atto per carenza di un presupposto e successiva rivalutazione della medesima vicenda con esito favorevole per la medesima parte) del tutto superfluo e contrario alla logica dell’economia processuale. Sotto questo profilo, deve darsi atto che il provvedimento non soffre più di illegittimità …”.
Anche se la richiamata sentenza del Consiglio di Stato riguardava una controversia devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, si trattava pur sempre di un giudizio di natura impugnatoria avente a oggetto un provvedimento autoritativo: di qui l’adattabilità del precedente giurisprudenziale alla fattisopecie odierna.
In ogni caso, anche a prescindere dalla considerazione su esposta che, peraltro, risulta decisiva, il collegio condivide la conclusione della difesa comunale là dove si rimarca che la prescrizione della legge regionale sulla distanza minima tra gli outlet non inferiore ai 100 km. è passibile di disapplicazione dal giudice nazionale, e ciò in ossequio a un orientamento della giurisprudenza della Corte costituzionale (v. sent. n. 389 del 1989 e numerose altre) e della CGCE che ben può dirsi consolidato, il che esime il collegio dall’aggiungere citazioni specifiche.
E infatti:
-le norme comunitarie che disciplinano la concorrenza trovano applicazione diretta all’interno degli Stati membri con l’obbligo, per il giudice nazionale, di disapplicare le norme interne che contrastano con le prime;
-se l’abrogazione esplicita disposta dall’art. 2, comma 3, del d. l. n. 223 del 2006, conv. in l. n. 248 del 2006, è stata circoscritta alle disposizioni legislative, e regolamentari, statali di disciplina del settore della distribuzione commerciale incompatibili con le disposizioni dell’ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza, ciò è avvenuto perché il legislatore statale non poteva emanare una analoga disposizione abrogatrice nei confronti di norme di legge regionali in materia di commercio, vale a dire in una materia che, dalla modifica del Titolo V della Costituzione in poi, appartiene alla competenza delle regioni (cfr. art. 117, comma 4, Cost.). Detto altrimenti, la legge statale non poteva disporre l’abrogazione espressa di norme di legge regionale in una materia in cui la prima difetta ormai di competenze;
-d’altra parte, è anche vero che il decreto c. d. Bersani del 2006 e la legge di conversione contengono disposizioni che, pur se destinate a inserirsi nell’ambito del commercio, dettano regole in una materia, quella della tutela della concorrenza, che è espressione di competenza esclusiva dello Stato (cfr. art. 117, comma 2, lett. e) Cost.), ferma l’osservanza della disciplina comunitaria direttamente applicabile all’interno degli Stati membri. Non è certo priva di significato la circostanza che il citato art. 3 del d. l. n. 223 del 2006 si intitoli “regole di tutela della concorrenza nel settore della distribuzione commerciale”;
-da ciò consegue che l’obbligo sancito, dal citato art. 3, comma 4, a carico di regioni ed enti locali, di adeguare le proprie disposizioni legislative e regolamentari –tra l’altro- sulle distanze tra gli esercizi, entro il 1° gennaio 2007, “non può significare il permanere, fino a tale data, dei limiti derivanti dal rispetto delle distanze stabilite in sede locale, trattandosi di norme direttamente confliggenti con disposizioni dell’ordinamento comunitario di immediata applicazione e, come tali, prevalenti su ordinamenti di rango inferiore, nella gerarchia delle fonti, eventualmente difformi” (così, con riguardo a una vicenda sotto alcuni aspetti analoga a quella odierna, Tar Piemonte, sez. I, sent. n. 1322 del 2007);
-in definitiva l’art. 3, comma 4, del decreto Bersani, nell’obbligare le Regioni ad adeguare la propria normativa al divieto di restringere la concorrenza stabilendo l’osservanza di distanze minime obbligatorie tra esercizi commerciali, risponde alla sola esigenza di “depurare il diritto interno da eventuali incompatibilità o disarmonie con le precedenti norme comunitarie” (C. cost. , n. 389/89). Il limite di distanza dei 100 km. ex l. reg. n. 15/04 non può più ritenersi sussistente, e se ritenuto sussistente andava e va disapplicato, poiché esso contrasta con le regole comunitarie in materia di tutela della concorrenza.
In conclusione, la censura va respinta.
Restano assobite le ulteriori argomentazioni addotte dalla difesa della controinteressata.
Va rigettato anche il corrispondente profilo di censura, riguardante illegittimità derivata, illustrato al n. XVIII.
2.5.- Con la censura sub XI la ricorrente segnala la violazione del principio, in tema di procedimento a istanza di parte, secondo il quale l’Amministrazione è tenuta a pronunciarsi sulla istanza del privato senza poterne modificare gli elementi essenziali.
Nel secondo atto per motivi aggiunti, in relazione alla istanza decisa nella conferenza di servizi del 29 maggio 2007 viene rilevato che la Immobiliare Sassi aveva chiesto di ampliare la propria struttura di vendita sino a mq. 7907, con una maggiore superficie di mq. 3940, di cui mq. 528 del “settore misto” e mq. 3412 del “settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie”. Orbene, la conferenza di servizi si è conclusa con l’assenso all’ampliamento della struttura per mq. 3940, imputando però interamente la maggiore superficie al “settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie”, in questo modo violando il principio suddetto.
La Fumei aggiunge che, se l’art. 21 della l. reg. n. 15/04 prevede che il richiedente, nel presentare al Comune competente la domanda di autorizzazione, è tenuto a indicare la superficie di vendita e i settori merceologici, il Comune non può sostituirsi alla parte privata stabilendo “ex officio” il settore merceologico di intervento.
Con il motivo sub XII si rileva l’illegittimità dell’ampliamento assentito dalla conferenza di servizi del 29 maggio 2007, poiché riferito a un settore merceologico –quello non alimentare a grande fabbisogno di superficie, di cui all’art. 7, comma 7, l. reg. cit.- che non si attaglia a un outlet, riguardando la vendita esclusiva di “mobili, autoveicoli, motoveicoli, legnami, materiali edili e nautica”.
Le censure su esposte, entrambe dirette ad avversare l’accoglimento, da parte della conferenza di servizi, della domanda della Immobiliare Sassi diretta ad ampliare la struttura commerciale con l’aggiunta di una superficie di vendita da destinare al “settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie”, vanno esaminate congiuntamente.
Esse non possono trovare accoglimento.
Prima di tutto va chiarito che nella seduta del 27 giugno 2008 la conferenza di servizi ha acconsentito al cambio di destinazione della superficie di vendita, limitatamente a 3.003 mq. su 3412, dal settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie al settore non alimentare generico.
Le censure su esposte risultano quindi in gran parte superate per effetto della sopraggiunta variazione di settore merceologico riferita alla struttura del parco commerciale.
Rimane una (solo astratta, come si vedrà) rilevanza della censura limitatamente ai residui 409 mq. (pari a 3412 meno 3003) di superficie di vendita riservati a esercizi del settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie.
A questo proposito il collegio ritiene tuttavia manifesta la carenza di interesse della Fumei a impugnare la delibera della conferenza di servizi chiedendone l’annullamento –oramai “in parte qua”-, dato che non si riesce a vedere quale vantaggio potrebbe ricavare la ricorrente medesima, che esercita il commercio nel settore della rivendita di scarpe, borse e accessori, dall’eventuale annullamento di un atto di assenso all’ampliamento di una superficie da destinare, come prevede l’art. 7, comma 7, della l. reg. n. 15/04, alla vendita di “mobili, autoveicoli, motoveicoli, legnami, materiali edili, nautica”.
Detto altrimenti, quali che siano le superfici minime ammissibili delle strutture di vendita a grande fabbisogno di superficie, è da escludere che il rilascio delle autorizzazioni riferite ai 409 mq. di superficie di vendita destinata al settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie possa determinare un qualsivoglia sviamento della clientela a danno dell’esercizio della Fumei, o possa porsi in concorrenza con l’attività commerciale svolta dalla stessa.
All’interrogativo posto dalla difesa comunale, riguardo all’interesse della ricorrente a contrastare l’apertura di esercizi commerciali totalmente estranei ai propri interessi economici, il collegio risponde rilevando la insussistenza di alcun interesse, da parte di Fumei, a proporre gravame “avverso provvedimenti che –come giustamente sottolinea la difesa del Comune- nessuna lesione possono arrecare alla propria sfera di interessi, stante l’assoluto difetto di concorrenzialità tra l’attività di commercio di calzature e quella di mobili, autoveicoli, legnami, ecc.”.
In conclusione, i motivi XI e XII devono essere in parte dichiarati improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse, alla luce della modifiche sopraggiunte nella composizione della struttura di vendita, e in parte vanno dichiarati inammissibili per difetto di interesse.
Non sembra tuttavia superfluo, sul merito della doglianza (sub XI) relativa alla asserita mancata corrispondenza tra quanto richiesto e quanto concesso dalla conferenza di servizi del 29 maggio 2007, osservare che, dall’esame complessivo del verbale della conf. serv. del 29 maggio 2007 e degli atti dell’istruttoria, emerge, in realtà, l’intervenuto accoglimento della domanda di ampliamento secondo la ripartizione merceologica proposta dalla richiedente (e quindi, 528 mq. di superficie riferiti al settore misto e 3412 mq. del settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie –cfr. la dichiarazione resa a verbale dalla dott. ssa Niero, rappresentante della Regione Veneto, e scheda istruttoria Reg. Ven. ; v. anche doc. 17 dep. doc. 27 dicembre 2007 Immobiliare Sassi). Se è vero che dal dispositivo del verbale della conf. serv. del 29 maggio 2007 risulta autorizzato un ampliamento di mq. 3940 senza alcuna indicazione del settore merceologico di riferimento, è vero anche che da un esame d’insieme del verbale e delle risultanze dell’istruttoria risulta sussistere corrispondenza tra chiesto e assentito.
Di qui, la insussistenza della denunciata violazione dell’art. 21 della l. reg. n. 15/04.
2.6.- I motivi sub XIV e XV, che riguardano l’asserita inosservanza del termine biennale per l’attivazione della struttura, di cui all’art. 23 della l. reg. n. 15/04, possono essere esaminati e decisi insieme.
Con la censura XIV la ricorrente espone:
-che il p. 4. del verbale conf. serv. 28 settembre 2006 aveva stabilito l’obbligo “di attivare almeno due terzi della superficie di vendita assentita in sede di conferenza di servizi, ai sensi dell’art. 23, comma 2, della l. reg. n. 15/2004, entro 24 mesi dalla data di ricevimento in Comune dell’accettazione delle prescrizioni da parte dell’interessato”;
-che la comunicazione dell’accettazione delle prescrizioni era stata ricevuta dal Comune il 28 novembre del 2006, sicché la struttura commerciale doveva essere attivata, per almeno 2/3 della superficie, entro il 28 novembre 2008;
-che la conferenza di servizi del 29 maggio 2007, nell’accordare l’ampliamento della struttura, al p. 6) ha nuovamente deliberato di attivare almeno i due terzi della superficie di vendita assentita in sede di conferenza di servizi, ai sensi dell’art. 23, comma 2, l. reg. cit., entro 24 mesi dalla data del ricevimento, da parte del Comune, dell’accettazione delle prescrizioni da parte dell’interessato, fissando così, illegittimamente, al 30 luglio 2009, un nuovo termine di attivazione della struttura commerciale, e ciò sia per la parte autorizzata, sia per le nuove superfici di vendita.
La ricorrente ritiene che “la novazione del termine” di attivazione delle superfici di vendita già autorizzate in precedenza dalla conferenza di servizi del 28 settembre 2006 vìoli l’art. 20, comma 9, lett. e) della l. reg. n. 15/04, secondo cui la deliberazione della conferenza di servizi indica “il termine di attivazione dell'esercizio nel limite previsto dall'articolo 23”, il quale, a sua volta, prevede che “le grandi strutture di vendita o parchi commerciali devono essere attivate, per almeno i due terzi della superficie assentita in sede di conferenza di servizi, entro il termine di ventiquattro mesi dal ricevimento in comune dell'accettazione delle prescrizioni da parte dell'interessato. Il comune può concedere una sola proroga fino ad un massimo di un anno, nei casi di comprovata necessità per ritardi comunque non imputabili al richiedente. La richiesta di proroga deve essere presentata al comune entro e non oltre i sessanta giorni precedenti la scadenza del termine di attivazione, salvo il caso in cui il motivo del ritardo intervenga successivamente e comunque entro il termine di attivazione”.
Con la censura XV la ricorrente segnala che nella conferenza di servizi del 25 ottobre 2007 è stato ulteriormente –e illegittimamente- prolungato il termine per attivare le superfici di vendita già autorizzate il 28 settembre 2006 e il 29 maggio 2007, in violazione dei citati articoli 20 e 23 l. reg. n. 15/04.
I profili di illegittimità sopra riassunti sono stati nuovamente sottolineati dalla difesa della ricorrente con memoria depositata in prossimità della data dell’udienza di trattazione del ricorso nel merito.
Le denunciate, illegittime dilatazioni dei termini entro cui attivare la struttura non sussistono.
La grande struttura di vendita di cui si discute è stata assoggettata a un processo di programmazione alquanto complesso, caratterizzato da ampliamenti e da variazioni dei settori merceologici, il che ha comportato la rinnovazione del procedimento di autorizzazione.
La modificazione di precedenti autorizzazioni, diretta a trasformare la tipologia della struttura di vendita, ha sempre carattere sostanziale, ed è quindi soggetta alla procedura della conferenza di servizi (v. circ. reg. n. 4 del 2005, che su questo punto il collegio condivide), coerentemente con quanto dispone l’art. 20 della l. reg. n. 15 del 2004, il quale impone il rispetto del modulo procedimentale della conferenza di servizi, oltre che nelle ipotesi, per quanto qui più interessa, di ampliamento della superficie e di mutamento del settore merceologico, anche per ogni altra modifica delle prescrizioni e/o modifica sostanziale delle autorizzazioni rilasciate.
Orbene che, nel procedimento in esame, si rientri in casi riguardanti modificazioni sostanziali (e, si aggiunga, assai significative, alla luce della lettura dei verbali delle conf. serv. 29 maggio 2007, 25 ottobre 2007, etc…) , non appare dubbio.
La conclusione che si deve trarre è che la rinnovazione del procedimento di autorizzazione, tenuto anche conto della complessità e delle peculiarità della fattispecie “de qua”, non poteva non comportare la fissazione di nuovi termini per l’attivazione dei due terzi della superficie di vendita assentita.
Del resto, la normativa regionale non contiene alcuna disposizione che imponga al soggetto richiedente di attivare la struttura di vendita prima della presentazione di una richiesta di modificazione dell’autorizzazione originaria riferita, ad esempio, all’ampliamento della struttura medesima.
In ogni caso è certo che la rinnovazione procedimentale non poteva non comprendere anche la fase che prevede l’accettazione delle nuove prescrizioni da parte dell’interessato, momento dal quale riprende a decorrere il termine di 24 mesi entro cui attivare almeno i due terzi della superficie autorizzata.
Per le stessa ragioni appena illustrate va respinta anche la censura sub XXVI, che concerne l’ipotizzata illegittimità del prolungamento ulteriore del termine per l’attivazione delle superfici di vendita, deliberato nella conferenza di servizi del 27 giugno 2008.
2.7.- La censura sub XVI si incentra su un affermato “transito surrettizio” di 528 mq. di superficie di vendita dal settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie al settore misto; “transito” avvenuto nella conferenza di servizi del 25 ottobre 2007.
Più specificamente, nel ricorso si osserva che:
-al termine della conferenza di servizi del 29 maggio 2007 la composizione della struttura era la seguente: mq. 3967 del settore misto; mq. 3940 del settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie.
Nella conferenza di servizi del 25 ottobre 2007 si è deciso di suddividere la superficie complessiva dell’outlet, di complessivi mq. 7907, in:
-mq. 4495 del settore misto (pari a 3967+528), e
-mq. 3412 del settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie;
-rispetto alle indicazioni della conf. serv. del 29 maggio 2007 vi sarebbe, dunque, una differente imputazione della superficie di mq. (3940–3412=) 528 che transita dall’un settore all’altro, in contrasto con le indicazioni della conferenza servizi del 29 maggio 2007.
La censura va respinta perché muove da un presupposto erroneo.
Come si è chiarito sopra, nell’ultima parte del p. 2.5., dall’esame del verbale della conf. serv. del 29 maggio 2007, e degli atti della relativa istruttoria, emerge l’accoglibilità della domanda per l’aggiunta di 528 mq. per il settore misto, con conseguente assegnazione di 3412 mq. al settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie, in conformità alla istanza di ampliamento presentata dalla Immobiliare Sassi.
Il motivo risulta comunque superato a seguito della conferenza di servizi del 22 dicembre 2008, che ha operato una completa redistribuzione della superficie interna.
2.8.- Con la XVII censura, che concerne violazione dell’art. 18 della l. reg. n. 15 del 2004, la ricorrente espone che:
-dagli atti istruttori allegati al verbale della conferenza di servizi del 25 ottobre 2007 emerge l’intenzione della Immobiliare Sassi di inserire, nel parco commerciale, alcuni esercizi di somministrazione di alimenti e bevande;
-l’art. 18, comma 8, della l. reg. n. 15/04 prevede che “tutte le grandi strutture di vendita ed i parchi commerciali con superficie di vendita compresa tra i mq. 4000 e mq. 8000, con esclusione degli ampliamenti inferiori al 10 per cento, sono assoggettati alla procedura di verifica di cui all'articolo 7 della legge regionale 26 marzo 1999, n. 10 -"Disciplina dei contenuti e delle procedure di valutazione ambientale" e successive modifiche e integrazioni, qualora le suddette tipologie di vendita siano annesse o collegate ad attività di intrattenimento, come definite all'articolo 8, comma 1, lettera h), a pubblici esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande o ad attività artigianali, situati nel medesimo spazio unitario ed omogeneo…”;
-il parco commerciale ha una superficie complessiva di vendita di mq. 7907 e pertanto ricade nella ipotesi di cui al sopra trascritto art. 18, comma 8;
-in sede istruttoria il Comune aveva osservato che gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande che la società assuntrice della iniziativa intende realizzare saranno ricavati all’interno dei singoli edifici dei quali si compone il parco commerciale, il che escluderebbe la necessità dell’assoggettamento alla procedura di verifica richiamata dal citato art. 18, comma 8;
-l’interpretazione proposta dal Comune contrasta, oltre che con i principi di logica e di buon senso, anche con la norma suindicata, la cui finalità è quella di assoggettare alla procedura di verifica di cui all’art. 7 l. reg. n. 10/99 “tutte quelle strutture nelle quali al richiamo degli esercizi commerciali si aggiunge quello degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, con conseguente incremento del numero dei visitatori”, indipendentemente dal fatto se gli esercizi si trovino all’interno o all’esterno della struttura commerciale.
La difesa comunale eccepisce la inammissibilità del motivo proposto per difetto di interesse attuale e, comunque, rileva la infondatezza della censura, evidenziando che dagli atti di causa risulta che i pubblici esercizi saranno ricavati all’interno del parco commerciale nel medesimo spazio unitario ed omogeneo, e che in casi come questi l’assoggettamento alla procedura di verifica ex art. 7 l. reg. n. 10/99 non occorre, dato che non sussiste quella situazione di collegamento tra pubblici esercizi e parco commerciale prevista dal citato art. 18, comma 8.
Il collegio può fare a meno di verificare se la prevista collocazione dei pubblici esercizi all’interno della struttura comporti, come sostiene la ricorrente, o no, come ritiene il Comune, l’assoggettamento alla procedura di verifica prevista dall’art. 7 della l. reg. n. 10/99.
La censura è infatti inammissibile per difetto di interesse attuale poiché l’interesse a rilevare la violazione di legge suindicata nascerebbe soltanto nel momento in cui il Comune avesse ad autorizzare l’insediamento di esercizi di somministrazione di alimenti e bevande: parte ricorrente, però, non ha comprovato che ciò sia avvenuto.
La censura dev’essere pertanto dichiarata inammissibile.
2.9.- Con la censura sub XIX la ricorrente deduce la violazione dell’art. 51 del r. d. n. 2537 del 1925 in quanto, dalla documentazione prodotta in giudizio, si evince che lo studio di impatto sulla viabilità sarebbe stato realizzato dagli arch. Granzotto, Davanzo, Braggion, Gabatel e dal geom. Pistolato, e che l’unico permesso di costruire –il n. 40/07- risulta rilasciato sulla base di un progetto redatto dal medesimo arch. Valter Granzotto, mentre invece un’attività di tal genere esulerebbe dalle competenze della figura professionale dell’architetto, rientrando in quelle dell’ingegnere a norma del citato art. 51, il quale riserva in via esclusiva agli ingegneri “il progetto, la condotta e la stima dei lavori per estrarre, trasformare ed utilizzare i materiali direttamente od indirettamente occorrenti per le costruzioni e per le industrie, dei lavori relativi alle vie ed ai mezzi di trasporto, di deflusso e di comunicazione, alle costruzioni di ogni specie, alle macchine ed agli impianti industriali, nonché in generale alle applicazioni della fisica, i rilievi geometrici e le operazioni di estimo”.
La censura è infondata, giacché dalla lettura del citato art. 51 non emerge in alcun modo una preclusione a che un architetto rediga una relazione sull’impatto viabilistico conseguente alla esecuzione di interventi come quello in argomento.
In altri termini, lo studio dell’impatto di un intervento sulla viabilità non risulta riconducibile a nessuna delle ipotesi elencate nel citato art. 51.
2.10.- Quanto infine al terzo atto per motivi aggiunti (v. motivi da XX a XXVIII, proposti contro il verbale conf. serv. 27 giugno 2008 e le autorizzazioni per l’apertura degli esercizi di vendita al dettaglio), il collegio osserva quanto segue:
-le censure XX, XXI e XXVII, concernenti violazione dell’art. 12 della l. reg. n. 15/04, sono state esaminate, e respinte, sopra, al p. 2.2. , al quale si fa rinvio;
-il profilo di doglianza sub XXII, concernente violazione dell’art. 9 della l. reg. n. 15/04 ed eccesso di potere per illogicità manifesta e sviamento, attiene al fatto che, nonostante l’intervenuta modifica della ripartizione interna dell’outlet –che in seguito alla conferenza di servizi del 27 giugno 2008 è formato da 5 centri commerciali e da 21 esercizi singoli, 14 dei quali esercizi di vicinato e 7 medie strutture-, è rimasta inalterata la struttura dei parcheggi, sempre quattro, privi di separazione fisica tra loro. Nel ricorso si sottolinea che, per autorizzare la suddivisione dei 7 centri commerciali in 5 centri commerciali, 7 medie strutture e 14 esercizi di vicinato, la conferenza di servizi avrebbe dovuto disporre la separazione fisica dei parcheggi di pertinenza dei centri commerciali da quelli di pertinenza delle medie strutture di vendita e, ancora, da quelli di pertinenza degli esercizi di vicinato.
Sarebbe insomma illegittima una dotazione di parcheggi unitaria e indivisa per l’intero insediamento.
Anche quest’ultima censura va respinto poiché l’art. 10 della l. reg. n. 15 del 2004, nel definire i parchi commerciali, prevede che le infrastrutture di parcheggio possano essere “anche” distinte: di qui l’impossibilità di attribuire carattere decisivo, nella fase della applicazione della norma di legge al caso concreto, al fatto della separazione e/o del carattere unitario dei parcheggi.
Inoltre, l’art. 9 non prescrive alcuna separazione fisica dei parcheggi di pertinenza dei centri commerciali;
-con la censura XXIII, intitolata “violazione dell’art. 20 della l. reg. n. 15 del 2004 –eccesso di potere per illogicità e sviamento”, la ricorrente osserva che:
-la richiedente aveva domandato la variazione di settore merceologico, da “non alimentare a grande fabbisogno di superficie” a “non alimentare generico”, per la superficie di vendita di 3412 mq.;
-nell’area commerciale 10 –San Donà –Portogruaro, la disponibilità residua per il settore “non alimentare generico” era di soli mq. 3003;
-l’insufficiente disponibilità di superficie “impediva la stessa convocazione della conferenza di servizi”;
-nonostante ciò, la conferenza di servizi, nella seduta del 27 giugno 2008, ha (illegittimamente, ad avviso della Fumei) acconsentito alla variazione del settore merceologico della superficie di vendita, limitatamente a 3.003 mq. su 3412, dal settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie al settore non alimentare generico, in violazione dell’art. 20, comma 2, della l. reg. n. 15/04, che preclude l’indizione della conferenza di servizi nel caso di “mancanza di disponibilità di superficie”;
-né la conf. serv. poteva deliberare il mutamento del settore merceologico di riferimento per la minore superficie effettivamente disponibile nel settore non alimentare generico.
Nel formulare la censura sopra svolta parte ricorrente muove da un presupposto, di rigorosa corrispondenza tra quanto richiesto e quanto concesso, che, in primo luogo non trova riscontro testuale nel citato art. 20, comma, 2, della l. reg. n. 15/04 e, in secondo luogo, risulta contrario ai principi di ragionevolezza e buon andamento e ai criteri di semplificazione e di economicità che governano l’azione amministrativa.
In realtà, l’accertata disponibilità solo parziale di superfici di vendita non preclude l’indizione della conferenza di servizi e l’accoglimento della istanza soltanto in parte;
-quanto all’asseritamente illegittima attivazione dell’outlet nei limiti della superficie di mq. 409 riferita al settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie (v. censura sub XXIV), va ribadita la inammissibilità della censura, per carenza di interesse, per le ragioni esposte sopra, al p. 2.5. , a confutazione delle censure proposte sub XI e XII;
-ai fini del rigetto della censura XXV si rinvia al p. 2.1., riguardante la questione del “settore misto”;
-per respingere il motivo sub XXVI, relativo al prolungamento ulteriore del termine per l’attivazione dell’outlet, il collegio non ha che da fare richiamo alle osservazioni svolte sopra, al p. 2.6;
-circa la censura sub XXVII, relativa alla affermata violazione dell’art. 12 della l. reg. n. 15/04, si rinvia “supra, al p. 2.2. ;
-per rigettare la censura sub XXVIII, che concerne illegittimità derivata, censura suddivisa in 13 profili, dalla lettera A) alla lettera O), basta fare richiamo alle argomentazioni esposte sopra con riferimento alle singole censure “autonome”.
I punti III. e X. del ricorso riguardavano istanze istruttorie, che sono state adempiute.
2.11.- In conclusione, dato atto della intervenuta rinuncia al ricorso da parte della Boutique Rossi, il ricorso della società Fumei in parte dev’essere dichiarato inammissibile e in parte va respinto.
Nonostante l’esito del ricorso sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese e gli onorari del giudizio
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione terza, definitivamente decidendo sul ricorso in premessa così provvede:
-dà atto della intervenuta rinuncia della Boutique Rossi;
-in parte dichiara il ricorso della società Fumei inammissibile e
-in parte lo rigetta;
-compensa integralmente tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 23/04/2009 con l'intervento dei Magistrati:
Angelo De Zotti, Presidente
Marco Buricelli, Consigliere, Estensore
Marina Perrelli, Referendario
 
                



 N. 2341/09         REG.SEN.
N. 00026/2008 REG.RIC.

 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso introduttivo e sul primo e secondo atto per motivi aggiunti, rubricati al n. 26 del 2008, proposti dalla s.r.l. Iper Gara, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, rappresentata e difesa dagli avvocati Vittorio Biagetti, Franco Di Maria e Pier Vettor Grimani, e domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Venezia, S. Croce n. 466/G;
contro
il Comune di Roncade, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Munari e domiciliato presso lo studio dello stesso in Venezia, S. Croce n. 464;
della Regione Veneto, in persona del suo legale rappresentante “pro tempore”, costituitasi in giudizio, rappr. e dif. dagli avvocati Ezio Zanon e Luisa Londei, dell’Avvocatura regionale del Veneto, presso la sede della quale, in Venezia, San Polo n. 1429/B), sono elettivamente domiciliati;
e di
Provincia di Treviso ed s.p.a. Lefim, in persone dei rispettivi legali rappresentanti “pro tempore”, non costituitisi in giudizio;
nei confronti di
del Gruppo Basso s. p. a. , in persona del legale rappresentante “pro tempore”, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dagli avvocati Vittorio Domenichelli, Guido Zago e Francesco Curato, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Venezia, S. Croce n. 468/B;
per l'annullamento
-quanto al ricorso introduttivo:

1) del provvedimento prot. n. 0018857, in data 13 ottobre 2007, con cui il responsabile del Servizio Sportello Unico Attività Produttive del Comune di Roncade ha accolto la richiesta di riesame formulata dalla Gruppo Basso spa, in data 23 luglio 2007, emanando – ora per allora – l’atto con cui la stessa Amministrazione comunale aveva concesso alla predetta società la prima proroga per l’attivazione delle sette medie strutture di vendita della lottizzazione Fusana;
2) del provvedimento prot. n. 0019191, in data 18 ottobre 2007, con cui il responsabile del Servizio Sportello Unico Attività Produttive del Comune di Roncade ha accolto la richiesta di riesame formulata dalla Gruppo Basso spa, in data 23 luglio 2007, emanando – ora per allora- l’atto con cui la stessa Amministrazione comunale aveva concesso alla predetta società la seconda proroga per l’attivazione delle sette medie strutture di vendita della lottizzazione Fusana;

-quanto al primo atto per motivi aggiunti:

3) del verbale della conferenza di servizi tenutasi il 28 settembre 2006, ai sensi dell’art. 20 della l. reg. n. 15/04, ove è stata assunta decisione favorevole in ordine alla richiesta presentata dalla Gruppo Basso spa di modifica della ripartizione interna della superficie di vendita del parco commerciale ricadente all’interno della lottizzazione Fusana del Comune di Roncade, e al conseguente riconoscimento di un outlet;
4) del provvedimento n. 0005126, in data 19 marzo 2007, con cui il responsabile del Servizio Sportello Unico Attività Produttive del Comune di Roncade ha autorizzato l’apertura di una grande struttura di vendita, tipologia centro commerciale-outlet, avente una superficie pari a 7.969 mq. e facente parte del parco commerciale sito in Roncade all’interno della lottizzazione Fusana;

-quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti:

5) del verbale della conferenza di servizi tenutasi il 29 luglio 2008, ai sensi dell’art. 20 della L.R. 13 agosto 2004, n. 15, ove è stata accolta la richiesta della Gruppo Basso spa, di modifica della ripartizione interna della superficie di vendita del parco commerciale -outlet ricadente all’interno della lottizzazione Fusana del Comune di Roncade; nonché di ogni atto presupposto, conseguente e comunque connesso, ivi compresa l’autorizzazione commerciale n. 21653 del 19 novembre 2008 rilasciata dal Comune di Roncade alla Gruppo Basso s.p.a. ;
6) della delibera n. 542, in data 10 dicembre 2007, con la quale la Giunta provinciale di Treviso ha espresso, ai sensi dell’art. 19 della L.R. 26 marzo 1999, n. 10, il proprio giudizio favorevole di compatibilità ambientale sul progetto “Factory Outlet Centre”, riguardante la realizzazione di un parco commerciale -outlet di 11.317 mq. in Comune di Roncade, lottizzazione Fusana, e del presupposto parere della Commissione provinciale per la valutazione dell’impatto ambientale della Provincia di Treviso, in data 7 novembre 2007, recante il giudizio favorevole di compatibilità ambientale sul progetto anzidetto;

visti il ricorso introduttivo e i ricorsi per motivi aggiunti, con i relativi allegati;
viste le memorie di costituzione in giudizio del Comune di Roncade, della Regione Veneto e del Gruppo Basso, con i relativi allegati;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti della causa;
uditi, all’udienza del 23 aprile 2009 (relatore il consigliere Marco Buricelli), gli avvocati: Cappella, su delega di Biagetti e Di Maria, per la ricorrente, Amadio in sostituzione di Munari per il Comune di Roncade, Zanon e Londei per la Regione e De Salvia in sostituzione di Domenichelli, e Zago per il Gruppo Basso.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO
1.-La società ricorrente espone:
-di essere proprietaria, nell’area commerciale sovra comunale n. 3 –“Treviso –Castelfranco”, di un centro commerciale in località Olmi di San Biagio di Callalta (TV), denominato “Tiziano”, e di essere titolare, all’interno della struttura, di alcune autorizzazioni commerciali per la vendita di prodotti non alimentari;
-di avere avuto notizia, all’inizio del mese di luglio del 2006, che, nel comune di Roncade, la società Gruppo Basso si apprestava ad attivare un parco commerciale –outlet;
-di avere impugnato, con ricorso proposto nel luglio del 2006, avanti al Tar del Veneto (n. R.G.R. 1540/06) : a) la delibera ricognitiva n. 154, in data 19 ottobre 2005, della Giunta comunale di Roncade, avente a oggetto “Parchi commerciali: verifica esistenza sul territorio comunale”; b) la delibera n. 69, in data 18 novembre 2005, del Consiglio comunale di Roncade, avente a oggetto “esame ed adozione di una variante parziale al P.R.G. ai sensi dell’art. 50, comma 4, L.R. 61/1985 e s.m.i. finalizzata all’individuazione dei parchi commerciali”; c) la delibera n. 26, in data 3 maggio 2006, del Consiglio comunale di Roncade, con la quale è stata approvata la “variante parziale al P.R.G., ai sensi dell’art. 50, comma 4, della L.R. n. 61/1985 e s.m.i. finalizzata all’individuazione dei parchi commerciali – art. 50, L.R. 15/2004 – esame osservazioni ed approvazione”;
-che nel costituirsi in giudizio il Comune di Roncade ha prodotto sette autorizzazioni commerciali per medie strutture di vendita, rilasciate alla Promedi, dante causa della s. p. a. Gruppo Basso, tra il novembre del 2003 e il febbraio del 2004;
-che il Comune ha depositato in giudizio anche le istanze di proroga dei termini per attivare le strutture di vendita, e i relativi provvedimenti di proroga dei termini anzidetti, atti che Iper Gara ha impugnato con motivi aggiunti;
-che con la sentenza n. 938 del 23 febbraio -26 marzo 2007 la seconda sezione del Tar ha accolto il ricorso di Iper Gara giudicando illegittima la concessione delle prime e delle seconde proroghe e ritenendo fondata la censura relativa alla mancata attivazione della procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA);
-che la sentenza è stata appellata ma il Gruppo Basso, nel luglio del 2007, ha chiesto al Comune di Roncade di esprimersi nuovamente sulle domande di proroga già presentate, e di riconoscere l’esistenza delle ragioni di comprovata necessità richieste per la concessione delle proroghe medesime. La controinteressata ha illustrato le ragioni che giustificavano, e giustificano, l’accoglimento delle richieste medesime, e il Comune ha concesso un nuovo termine per l’attivazione delle strutture, corrispondente a quello di ultimazione dei lavori di cui ai permessi di costruire già rilasciati e prorogati fino al 30 settembre 2008. In particolare, in data 13 ottobre e 18 ottobre 2007 il Comune ha rilasciato alla società gruppo Basso, “ora per allora”, i provvedimenti di concessione, rispettivamente, delle prime e delle seconde proroghe dei termini per l’attivazione delle medie strutture di vendita, concedendo, contestualmente, un nuovo termine per attivare le strutture di vendita, coincidente con quello di ultimazione dei lavori di cui ai permessi di costruire già assentiti fino al 30 settembre 2008.
Contro i provvedimenti suddetti, in epigrafe specificati ai numeri 1) e 2), la società Iper Gara ha proposto il ricorso odierno, che resta affidato a nove motivi, enumerati da I. a IX. (il motivo sub X. si intitola “risarcimento del danno”).
La sentenza del Tar è stata appellata e con sentenza n. 782 del 29 febbraio 2008 la quarta sezione del Consiglio di Stato ha accolto l’appello proposto dalla società Gruppo Basso e, per l’effetto, ha rigettato il ricorso di primo grado della Iper Gara.
Il giudice d’appello ha ritenuto che le due ragioni, sulle quali il Tar aveva fondato l’accoglimento del ricorso, “e precisamente la illegittimità delle proroghe concesse dal Comune alla messa in opera degli esercizi commerciali e la mancata previa valutazione di impatto ambientale (fossero) entrambe da disattendere.
Relativamente alle proroghe –ha proseguito il Cons. St.- va rilevato che il termine che ad esse si riferisce è teso ad evitare dilazioni operative che andrebbero a vulnerare la ragione stessa del rilascio delle autorizzazioni, e cioè il concreto inserimento nel settore commerciale di strutture di vendita considerate necessarie per dare al settore stesso il suo più completo ed armonico sviluppo.
Ma ciò concerne l’eventuale attività dilatoria dei soggetti autorizzati, mentre quando il ritardo dell’apertura non è addebitabile a tali pratiche, ma si innesti in evenienze non imputabili ai soggetti autorizzati e dagli stessi non controllabili, allora, evidentemente, la regola dei termini deve essere diversamente apprezzata.
Ora, nella specie, è accaduto che, per ragioni in gran parte dovute a nuove e diverse prescrizioni in ordine all’esecuzione delle opere di urbanizzazione concernenti l’area di allocazione delle strutture di vendita, queste hanno subito un ritardo, per cui, conseguentemente, non è stato possibile rispettare il termine per l’apertura delle strutture di vendita medesime.
Né può parlarsi di carenza di motivazione, in quanto i provvedimenti concessivi delle proroghe si riferiscono espressamente alla situazione di fatto rappresentata dal soggetto istante, che l’Amministrazione ha ritenuto di fare propria, in quanto ben conosciuta dalla stessa e ritenuta corrispondente alla realtà.
Per quanto concerne la mancata procedura di valutazione di impatto ambientale, va precisato che la stessa è un’attività preventiva e non successiva; pertanto, la stessa non può che riferirsi a quei parchi commerciali ancora “in nuce” e non certo a quell’attività, come nella specie, di ricognizione dei parchi commerciali già sostanzialmente esistenti, ove le autorizzazioni commerciali sono state già rilasciate, per i quali una procedura di valutazione di impatto ambientale (che, si ripete, è attività preventiva) non avrebbe senso.
L’appello principale va, pertanto, accolto…”.
Con un primo e un secondo “atto per motivi aggiunti” la ricorrente ha contestato la legittimità dei provvedimenti in epigrafe enumerati da 3) a 6), formulando censure, di illegittimità autonoma e illegittimità derivata, numerate da XI. a XXX. .
In particolare, con i motivi aggiunti Iper Gara ha impugnato:
a) il verbale della conferenza di servizi in data 28 settembre 2006 con il quale è stata accolta la domanda della società Gruppo Basso diretta a ottenere il rilascio dell’autorizzazione commerciale per la modifica della ripartizione interna della superficie di vendita del parco commerciale esistente , di mq. 11317 –lottizzazione Fusana, nei termini di seguito indicati:
-una grande struttura di vendita –tipologia centro commerciale –outlet, di mq. 7969, riferita al settore merceologico non alimentare, ripartita in 37 esercizi di vicinato;
-una grande struttura di vendita –tipologia esercizio singolo, con una superficie di vendita di mq. 2800, del settore non alimentare generico;
-una media struttura di vendita –tipologia esercizio singolo, con superficie di vendita di mq. 548, del settore non alimentare generico; e
b) il verbale della conferenza di servizi tenutasi il 29 luglio 2008, ai sensi dell’art. 20 della L.R. 13 agosto 2004, n. 15, con cui è stata accolta la richiesta della Gruppo Basso spa, di modifica della precedente istanza, prevedendo una differente ripartizione della superficie complessiva del parco commerciale, sempre di mq. 11.317, e, precisamente:
-una grande struttura di vendita –tipologia centro commerciale –outlet, di 11.009 mq., destinata alla vendita di prodotti del settore non alimentare generico; e
-due esercizi singoli di vicinato, aventi una superficie, rispettivamente, di circa 149 e 159 mq., anch’essi destinati al settore non alimentare generico.
Resistono Regione, Comune e società Gruppo Basso.

2.-In diritto, va precisato in via preliminare che il collegio ritiene di dover impostare la motivazione della sentenza seguendo l’elencazione delle censure articolate dalla ricorrente nel ricorso introduttivo e negli atti per motivi aggiunti, fatto salvo l’accorpamento di censure identiche o che trattino questioni analoghe, ove ne ricorrano i presupposti.
2.1./2.-La censura sub I. concerne violazione degli articoli 26 e 33 della l. n. 1034/71, carenza di potere e violazione e/o elusione della sentenza del Tar Veneto n. 938/07.
La ricorrente sostiene che, nelle premesse dei provvedimenti impugnati sub 1) e 2), il Comune muove dall’assunto, erroneo, secondo cui il Tar, con la sentenza n. 938 del 2007, avrebbe annullato le proroghe accordate alla società Gruppo Basso solo per vizi di ordine puramente formale, il che non ha precluso e, anzi, ha consentito il riesercizio del potere da parte del Comune di Roncade, eliminando i vizi formali rilevati dal Tar.
Ad avviso della ricorrente, in primo luogo non è vero che la sentenza n. 938/07 ha annullato le proroghe originarie solo per vizi di natura formale. Al contrario, il Tar ha ravvisato illegittimità di ordine sostanziale attinenti, in particolare, alla tardività della presentazione delle istanze rispetto al termine stabilito dall’art. 23 della l. reg. n. 15/04, e al superamento del termine massimo per l’attivazione delle grandi strutture di vendita e dei parchi commerciali ex art. 23 della l. reg. n. 15/04, violazioni sostanziali che non consentono alcun riesercizio del potere amministrativo.
La difesa di Iper Gara aggiunge che il Tar ha statuito che la Gruppo Basso non ha dimostrato l’esistenza di ragioni di comprovata necessità tali da impedire la tempestiva attivazione delle strutture di vendita, il che precludeva il riesercizio del potere amministrativo da parte del Comune.
Il motivo sub II. si incentra sull’illegittimità, per violazione dell’art. 22 del decreto n. 114/98, del provvedimento di proroga del 13 ottobre 2007 giacché, sostiene Iper Gara, il Comune ha ritenuto sussistere ragioni di comprovata necessità, non imputabili al soggetto richiedente e idonee a giustificare le proroghe domandate, senza che, in realtà, vi fosse “riscontro alcuno nella documentazione acquisita agli atti del procedimento”. Nel ricorso si legge che “la situazione (reale) è, dunque, ben diversa da quella rappresentata dall’Amministrazione comunale”, e che i rinvii erano “legati a una precisa volontà della società titolare delle autorizzazioni commerciali”. Il tentativo comunale di fornire alle proroghe una motivazione viola l’art. 22, comma 4, del d. lgs. n. 114/98, secondo cui “l'autorizzazione all'apertura è revocata qualora il titolare non inizia l'attività di una media struttura di vendita entro un anno dalla data del rilascio o entro due anni se trattasi di una grande struttura di vendita, salvo proroga in caso di comprovata necessità”.
Le censure sub I. e II. sono esaminabili congiuntamente.
A differenza di quanto sostiene la difesa di Iper Gara, con la sentenza Cons. St. n. 782/08, di riforma della sentenza del Tar n. 938/07, è stata accertata la legittimità dei provvedimenti di proroga gravati con il ricorso n. 1540/06, provvedimenti che, di conseguenza, riacquistano piena validità ed efficacia.
Il giudicato formatosi sul ricorso n. 1540/06 impedisce a Iper Gara di reintrodurre, nel giudizio odierno, vizi già formulati nel ricorso proposto in precedenza, e già respinti in quanto giudicati infondati dal giudice d’appello.
Le argomentazioni svolte da Cons. St., n. 782/08, sono state trascritte sopra, e non è il caso di ripeterle.
Il collegio condivide premesse e conclusioni alle quali è giunto il giudice d’appello, e da ciò non può non discendere la inammissibilità delle censure sopra svolte.
In ogni caso, anche a voler sottoporre a disamina le censure suddette, il collegio aderisce al rilievo difensivo comunale secondo cui nel 2007 il Tar non aveva messo in discussione l’effettiva sussistenza e la fondatezza delle ragioni che avevano reso necessaria la concessione delle proroghe in questione (v. pagg. 18 e 19 sent. cit. : “questo Collegio ritiene fondata la censura di difetto di motivazione della concessione delle prime e delle seconde proroghe; invero non vengono affatto esplicitate le ragioni della concessione delle dilazioni, né appare sufficiente il richiamo al contenuto delle istanze, trattandosi di atti di parte non suscettibili di motivazione per relationem, possibile solo se riferita ad atti della medesima amministrazione. Si aggiunga che nelle relazioni stesse depositate in atti si afferma che i lavori di urbanizzazione erano ormai completati e comunque non si fa alcun cenno a ragioni indipendenti dalla volontà della ditta titolare che avrebbero causato la necessità delle dilazioni. Né ovviamente le esaurienti spiegazioni contenute nelle memorie difensive valgono ad integrare una motivazione del tutto carente”).
L’omessa esplicitazione delle ragioni, indipendenti dalla volontà della ditta titolare, inerenti alla necessità della proroga, incide sulla motivazione delle concessioni delle proroghe e, come tale, assume carattere formale.
Anche le considerazioni, fatte dal Tar, sulla alternativa applicazione, alla medesima fattispecie, ora della normativa relativa alle grandi strutture di vendita, per definire la durata massima del termine di attivazione, ora di quella che riguarda le medie strutture, in relazione alle modalità di presentazione delle domande di proroga, incidono sulla motivazione dell’atto e, in quanto tali, assumono carattere formale.
Inoltre, dalla lettura della sentenza non si ricava con certezza che le proroghe siano state ritenute illegittime a causa della loro tardiva presentazione (a questo proposito, correttamente la difesa comunale rimarca che l’art. 22 del d. lgs. n. 114/98 non prevede alcun termine per presentare la domanda di proroga, essendo sufficiente, in conformità ai principi, che la domanda medesima sia presentata prima della scadenza).
Il collegio ritiene poi condivisibile la posizione difensiva del Comune là dove lo stesso rimarca che le ragioni di comprovata necessità, che hanno inciso in modo negativo sulla possibilità di attivare le strutture, giustificando la concessione di proroghe, trovano un riscontro attendibile nella documentazione acquisita agli atti del procedimento e, in particolare, nei documenti allegati a ciascuna istanza.
Ne rileva, in senso contrario, la circostanza che alcune prescrizioni imposte dalla Provincia siano intervenute prima del rilascio delle autorizzazioni commerciali alla Promedil.
Quanto, infine, alla prospettata violazione dell’art. 22, comma 4, del decreto n. 114/98, il collegio evidenzia che in un contesto nel quale è ammesso il ricorso a proroghe reiterate (conf. CdS, n. 782/08 e Tar Veneto, n. 938/07), la norma sopra citata non prescrive alcun termine massimo complessivo entro il quale il titolare deve iniziare l’attività di vendita, ma si limita a stabilire che le proroghe richieste –le quali, come si è visto, possono anche essere più di una- siano giustificate da situazioni di “comprovata necessità” (fatta salva, si intende, l’esigenza di evitare rinvii abnormemente lunghi dell’inizio dell’attività di vendita, circostanza che, però, nella specie non si è verificata).
Inoltre, le domande di proroga risultano essere state presentate in modo tempestivo, dal momento che le istanze sono state prodotte prima dei termini di scadenza.
2.3.-Il motivo sub III. si appunta sulla seconda proroga, accordata con il provvedimento del 18 ottobre 2007.
A sostegno della censura si sostiene che le motivazioni addotte dal Comune non integrano la sussistenza delle ragioni di comprovata necessità che, come prevede l’art. 22 del d. lgs. n. 114/98, legittimano la concessione della proroga del termine di attivazione delle medie strutture di vendita, e ciò avendo riguardo in particolare al fatto che, nella specie, singolarmente le autorizzazioni commerciali sono state assentite prima della realizzazione degli edifici destinati ad ospitarle.
A confutazione del motivo su esposto occorre ribadire che il Comune si è pronunciato su domande motivate e documentate, e aggiungere, più in dettaglio, che le “ragioni di comprovata necessità” recate a sostegno della seconda proroga concessa trovano una plausibile giustificazione, oltre che nella complessità e nella rilevanza dell’intervento, nella necessità di completare l’esecuzione delle prescritte opere viarie. Sulla effettiva sussistenza della comprovata necessità di prorogare il termine di attivazione delle strutture, per ragioni non imputabili al richiedente, si rinvia alle considerazioni enunciate dal responsabile del Servizio comunale competente a pag. 4 del provvedimento 18 ottobre 2007.
2.4.-Con la censura sub IV. Iper Gara sostiene che la concessione della seconda proroga, accordata, fino al 30 settembre 2008, con il provvedimento del 18 ottobre 2007, contrasterebbe con l’art. 23 della l. reg. n. 15/04.
Iper Gara osserva:
-che le autorizzazioni commerciali della Gruppo Basso sono state attratte dalla specifica disciplina sulle grandi strutture di vendita e sui parchi commerciali contenuta nella l. reg. n. 15/04;
-che, in particolare, e per quanto qui più interessa, l’art. 23, comma 2, l. cit. stabilisce che “il comune può concedere una sola proroga fino ad un massimo di un anno, nei casi di comprovata necessità per ritardi comunque non imputabili al richiedente…”;
-che avendo la Gruppo Basso già beneficiato di una proroga annuale del termine di attivazione delle strutture, le sette medie strutture di vendita delle quali si discute non avrebbero potuto ottenere una seconda dilazione.
Il collegio non condivide la premessa interpretativa dalla quale prende le mosse la difesa di Iper Gara. Infatti, l’art. 23, comma 2, della l. reg. n. 15/04 non è applicabile alla fattispecie in argomento, giacché le seconde domande di proroga si riferivano a medie strutture di vendita, con conseguente applicazione dell’art. 22 del decreto n. 114/98.
E il citato art. 22, al comma 4, lett. a) non prescrive alcun termine massimo complessivo entro il quale il titolare deve iniziare l’attività di vendita, ma si limita a stabilire che le proroghe richieste –le quali, come si è detto sopra, possono anche essere più di una (conf. CdS, n. 782/08 e Tar Veneto, II, n. 938/07)- siano giustificate da situazioni di “comprovata necessità” (fatta salva, si intende, l’esigenza di evitare rinvii abnormemente lunghi dell’inizio dell’attività di vendita, circostanza che, però, nella specie, non si è verificata).
2.5.-Nel dedurre, sub V., la violazione dell’art. 23 della l. reg. n. 15/04, la ricorrente muove dall’assunto per cui nel caso in esame troverebbe applicazione l’art. 23 là dove prevede che “la richiesta di proroga deve essere presentata al comune entro e non oltre i sessanta giorni precedenti la scadenza del termine di attivazione, salvo il caso in cui il motivo del ritardo intervenga successivamente e comunque entro il termine di attivazione”.
Poiché quattro delle sette domande di proroga sono state presentate oltre il termine di legge, il Comune avrebbe errato nel prorogare il termine di attivazione delle strutture di vendita del Gruppo Basso.
Anche qui, a confutazione del motivo appena riassunto, va sottolineato che, nella fattispecie, non si applica l’art. 23 della l. reg. n. 15/04, giacché le seconde domande di proroga si riferivano a medie strutture di vendita, con conseguente applicazione dell’art. 22 del decreto n. 114/98, disposizione che, in conformità ai principi in materia, presuppone soltanto –e comunque va interpretata secondo logica nel senso- che la proroga va richiesta prima della scadenza del termine, il che, nella specie, è puntualmente avvenuto.
2.6.-Con il motivo sub VI. , recante violazione degli articoli 22 del decreto n. 114/98 e dell’art. 23 della l. reg. n. 15/04 si osserva che le proroghe concesse, superiori ai due anni e mezzo, da un lato non rispettano il citato art. 23 e, dall’altro, contraddicono l’art. 22 della legge regionale, poiché una proroga non può arrivare quasi a triplicare l’originario termine che si intende prorogare.
La censura è infondata e va respinta.
Come si è già detto, il richiamo all’art. 23, e alla disciplina delle grandi strutture di vendita, è erroneo.
Si è anche detto, e ora lo si ribadisce, che il menzionato art. 22 consente più di una proroga, non prescrive alcune termine massimo entro cui debba iniziare l’attività di vendita, ma si limita a esigere la sussistenza del requisito della “comprovata necessità”, fatta salva l’illegittimità di rinvii aventi durata abnorme, circostanza che non sussiste nel caso concreto.
2.7.- Nel dedurre –sub VII.- eccesso di potere per illogicità manifesta ed erroneità dei presupposti, Iper Gara sostiene che la proroga del 18 ottobre 2007 presuppone erroneamente che “quelle della Gruppo Basso siano ancora sette distinte medie strutture di vendita, trascurando il fatto che le medesime costituiscono ormai un parco commerciale, a seguito della DGC di Roncade n. 154 del 2005”.
La censura è infondata e va respinta, poiché i parchi commerciali sono aggregazioni di esercizi commerciali che, anche se situati in uno spazio unitario e omogeneo, sono distinti e autonomi. Il dato testuale ricavabile dalla lettura dell’art. 10 della l. reg. n. 15/04, con particolare riguardo all’uso del termine “aggregazione”, è indicativo di una realtà caratterizzata da una pluralità di esercizi, distinti e indipendenti tra loro, anche se legati dall’assoggettamento a una stessa disciplina amministrativa.
Di qui l’infondatezza anche del motivo sub VII.
2.8.-Con la censura sub VIII., concernente eccesso di potere per sviamento e per erroneità dei presupposti sotto un diverso profilo, Iper Gara sostiene che il Comune avrebbe illegittimamente riesercitato il proprio potere amministrativo, azionato di nuovo in seguito alla sentenza del Tar n. 938/07, basandosi su “fatti e circostanze sopravvenute” rispetto ai fatti e ai documenti che la P. A. aveva tenuto in considerazione in occasione della concessione delle proroghe poi dichiarate illegittime dal Tar.
Il motivo è infondato e va respinto.
Il provvedimento di proroga del 18 ottobre 2007 ha un contenuto plurimo. Con esso, da un lato, il Comune di Roncade ha riesercitato il proprio potere amministrativo eliminando alcuni vizi di ordine formale riscontrati dal Tar. Dall’altro, il responsabile del SUAP ha legittimamente tenuto conto di circostanze, sopravvenute “medio tempore”, che sono state ritenute idonee a giustificare la concessione di una proroga ulteriore (fino al 30 settembre 2008) del termine di attivazione delle autorizzazioni commerciali.
2.9.-Con la censura formulata al p. IX. Iper Gara rileva eccesso di potere per illogicità manifesta e sviamento, affermando che il Comune, nel permettere alla gruppo Basso di conservare “sine die” autorizzazioni commerciali mai attivate, avrebbe eluso e aggirato la pianificazione commerciale regionale, giacché un parco commerciale delle dimensioni di quello della Gruppo Basso, vale a dire di oltre 11.000 mq., non potrebbe mai essere autorizzato “ex novo” nell’area n. 3 –Treviso –Castelfranco, e ciò a causa della indisponibilità, perlomeno parziale, di superfici.
Il denunciato sviamento, là dove la ricorrente trae spunto da quella parte del provvedimento del 18 ottobre 2007 che si traduce nel riesercizio del potere amministrativo di proroga a seguito dell’accoglimento del ricorso n. 1540/06 deciso con la sentenza del Tar Veneto, II, n. 938/07, è chiaramente inammissibile perché il giudicato che si è formato sulla decisione n. 782/08 del Cons. St. toglie rilevanza alla censura.
In ogni caso, sotto un diverso profilo, la non accoglibilità della censura discende dalla legittimità del provvedimento sub 2) nella parte in cui il termine di attivazione viene prorogato ancora fino al 30 settembre 2008. La legittimità dianzi accertata impedisce di valutare positivamente il segnalato sviamento.
2.10.-Il rigetto delle censure da I. a IX. preclude l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno proposta al p. X.
Inoltre, la ricorrente non ha dimostrato né la sussistenza, né l’entità del danno ipotizzato.
2.11.-Il primo atto di motivi aggiunti ha ad oggetto, essenzialmente, la domanda di annullamento del verbale della conferenza di servizi del 28 settembre 2006.
Con la censura sub XI. la ricorrente premette che all’esito della seduta della conferenza di servizi del 28 settembre 2006 la superficie del parco commerciale-outlet –lottizzazione Fusana, pari a 11.317 mq., è stata suddivisa in:
-una grande struttura di vendita –tipologia centro commerciale –outlet, di mq. 7969, riferita al settore merceologico non alimentare, ripartita in 37 esercizi di vicinato;
-una grande struttura di vendita –tipologia esercizio singolo, con una superficie di vendita di mq. 2800, del settore non alimentare generico;e
-una media struttura di vendita –tipologia esercizio singolo, con superficie di vendita di mq. 548, del settore non alimentare generico.
Ciò premesso, ad avviso di Iper Gara:
-quella assentita dalla conferenza di servizi del 28 settembre 2006 non è, in realtà, una semplice modifica della ripartizione interna del parco commerciale, ma una “concentrazione”, ex art. 8 l. reg. n. 15/04, di precedenti titoli commerciali;
-risultano violati gli articoli 15, 20 e 22 l. reg. n. 15/04, atteso che la Gruppo Basso è stata autorizzata ad attivare una grande struttura di vendita in luogo delle sette medie strutture di vendita precedenti, senza doversi confrontare con gli obiettivi di sviluppo della pianificazione commerciale regionale;
-inoltre, la “concentrazione” ex art. 8 cit. presuppone che le medie strutture di vendita che si riuniscono siano preesistenti e operanti da almeno tre anni nell’ambito dello stesso comune: nella specie –conclude Iper Gara- , le msv della Gruppo Basso sono inattive ormai da tempo e difettano, quindi, del requisito dell’operatività triennale.
Anche la censura sub XI. è infondata e va respinta.
Iper Gara muove dal presupposto, errato, secondo cui la domanda, accolta dalla conferenza di servizi il 28 settembre 2006, non fosse, in realtà, una domanda diretta alla mera ripartizione interna delle superfici complessive del parco commerciale, ma fosse una domanda di “concentrazione” di medie strutture di vendita. Da un presupposto errato si fa discendere la conseguenza, anch’essa errata, secondo la quale sarebbero state violate le norme regionali sull’osservanza degli obiettivi di sviluppo.
In realtà, in disparte il rilievo secondo cui l’istituto della concentrazione ex art. 8 l. reg. cit. prevede come presupposto che la riunione, in una nuova struttura di vendita, di medie e/o di grandi strutture avvenga in un luogo diverso da quello nel quale si trovano le strutture di vendita oggetto di concentrazione, appare decisivo rilevare che la legge regionale n. 15/04 non si limita a prevedere concentrazioni e ampliamenti, ma disciplina anche il caso in cui l’autorizzazione commerciale già rilasciata sia modificata per effetto di una nuova articolazione della ripartizione interna (cfr. art. 20/d) l. reg. cit.).
Come questa sezione ha già affermato in una recente pronuncia (la n. 449/09), “detta norma (vale a dire l’art. 20/d) cit.) riconosce un’ampia flessibilità agli operatori al fine di riorganizzare gli spazi di vendita senza ulteriori limiti di carattere qualitativo o quantitativo, che avrebbero peraltro una dubbia utilità, posto che la procedura autorizzatoria è la medesima di quella originaria e richiede ugualmente il ricorso alla conferenza di servizi”.
Se così è, come correttamente rileva la difesa della società Gruppo Basso è, appunto, nel legittimo esercizio della discrezionalità allo stesso spettante che il Gruppo Basso ha ritenuto di riorganizzare gli spazi di vendita mediante una modifica della ripartizione interna delle superfici di vendita, mantenendo invariata la superficie complessiva del parco commerciale.
Nessuna concentrazione di esercizi è stata richiesta (e, a questo proprosito, va rammentato che la stessa Gruppo Basso aveva qualificato la domanda come rivolta alla modifica della ripartizione interna delle superfici di vendita), ma soltanto la modifica della ripartizione interna delle superfici, che è stata doverosamente esaminata dalla conferenza di servizi come prevede l’art. 20/d) della l. reg. n. 15/04.
2.12.-La rilevata infondatezza del motivo sub XI. comporta il rigetto anche della censura sub XII. , recante eccesso di potere per illogicità manifesta e sviamento.
2.13. e 14.- Con la censura sub XIII. la ricorrente ritiene violato l’art. 12, comma 1, della l. reg. n. 15 del 2004, il quale prevede che “…gli outlet sono forme di vendita di prodotti non alimentari che consentono alle aziende produttive, in locali diversi dal luogo di produzione, di mettere e rimettere in circolo esclusivamente l'invenduto, la produzione in eccesso, la fine serie…”; e rileva la violazione del punto 3. della delibera della conferenza di servizi del 28 settembre 2006, con cui si è stabilito di verificare, “prima del rilascio dell’autorizzazione riferita al centro commerciale –outlet”, tra l’altro:
-“che i soggetti interessati siano qualificati come “aziende produttive”, e
-che “i prodotti posti in vendita riguardino esclusivamente l’invenduto, la produzione in eccesso e la fine serie”.
Con la censura in argomento la società Iper Gara, dopo avere rammentato che il 19 marzo 2007 il Comune di Roncade ha rilasciato alla Gruppo Basso l’autorizzazione commerciale relativa all’outlet di 7969 mq. richiamando, nell’autorizzazione medesima, la necessità di eseguire le verifiche sopra trascritte, sottolinea che la società Gruppo Basso, avendo un oggetto sociale estraneo alla produzione e alla rivendita al pubblico di prodotti non alimentari, difetterebbe di un requisito essenziale per poter essere definita azienda produttiva e, quindi, per poter chiedere e ottenere il rilascio delle autorizzazioni commerciali.
Il profilo di censura è infondato e va respinto.
Per definire in modo corretto la censura sopra compendiata va precisato, in via preliminare, che nella seduta della conferenza di servizi del 29 luglio 2008 si è deciso di modificare la prescrizione del verbale conf. serv. 28 settembre 2006.
La prescrizione del 2006, come si è già scritto, imponeva di verificare, “prima del rilascio dell’autorizzazione”, tra l’altro:
-che i soggetti interessati siano qualificati come “aziende produttive” e
-che “i prodotti posti in vendita riguardino esclusivamente l’invenduto, la produzione in eccesso e la fine serie”.
La prescrizione del 2006 è stata modificata il 29 luglio 2008 disponendo, sul rilascio delle autorizzazioni commerciali e sul connesso controllo dei requisiti richiesti, che “prima del rilascio delle singole autorizzazioni commerciali e dopo l’apertura il comune verifichi il rispetto dei requisiti previsti dall’art. 12, comma 1, della l. reg. n. 15/04”.
Ciò posto, la censura va respinta perché, dato che gli outlets sono destinati alla messa e rimessa in circolo “di quanto rimasto nei magazzini delle aziende produttive”, va fatta una distinzione tra il soggetto che si attiva per realizzare la struttura e il soggetto, o i soggetti, che saranno autorizzati ad aprire i diversi punti –vendita all’interno dell’outlet.
Detto altrimenti, una cosa sono gli atti di assenso, rilasciati al soggetto che promuove la realizzazione della struttura, per l’apertura e l’ampliamento del parco commerciale –outlet, e altra e ben diversa cosa sono le singole autorizzazioni commerciali assentite di volta in volta.
Si tratta di provvedimenti coordinati, ma autonomi, cui corrispondono interessi sottostanti altrettanto distinti e autonomi.
Dalla sopra tratteggiata differenziazione tra promotore della iniziativa e futuri titolari delle autorizzazioni commerciali consegue che l’accertamento del possesso dei requisiti di cui al citato art. 12, comma 1, non può che avvenire “a valle”, vale a dire al momento del rilascio delle autorizzazioni, oltre che mediante verifiche successive eseguite durante l’esercizio dell’attività commerciale, e non già al momento della pronuncia della conferenza di servizi (e nei confronti del soggetto che ha presentato la domanda di attivazione del parco commerciale –outlet).
In questa prospettiva, è irrilevante la circostanza, segnalata dalla Iper Gara, che “la Gruppo Basso difetta(sse) dei requisiti per essere definitiva “azienda produttiva”, poiché la medesima non produce beni del genere “non alimentare” destinati alla rivendita al pubblico, come risulta dalla visura ordinaria”.
Nella seconda parte della censura viene rilevata la violazione della prescrizione sub punto 3. della delibera conf. serv. 28 settembre 2006, in relazione all’autorizzazione commerciale n. 5126/07.
Anche la censura sub XIII/B) va rigettata, per le ragioni appena viste.
Allo stesso esito non sfugge il motivo XIV., con il quale viene posto l’accento sulle omesse verifiche stabilite in sede di conf. serv. 28 settembre 2006 sotto la prospettiva del vizio di eccesso di potere per sviamento e per difetto di istruttoria.
2.15.- Con il motivo sub XV. , concernente violazione dell’art. 12 della l. reg. n. 15/04, la ricorrente espone che:
-in data 28 settembre 2006, oltre alla conferenza di servizi indetta per valutare –favorevolmente- il progetto presentato dal Gruppo Basso, è stata convocata un’altra conferenza di servizi, che ha valutato positivamente l’istanza presentata dalla Immobiliare Sassi il 31 maggio 2006, avente a oggetto l’autorizzazione alla apertura di un parco commerciale –outlet nel Comune di Noventa di Piave (VE), a una distanza di circa 15 km. da Roncade, per una superficie di vendita di 3967 mq. ;
-all’epoca della conf. serv. del 28 settembre 2006 il citato art. 12, comma 2, prevedeva che “quando la somma delle superfici di vendita superi i limiti dimensionali massimi di cui all'articolo 7, comma 1, lettere a) e b)”, gli outlet devono avere una distanza fra loro, in linea d'aria, non inferiore a cento chilometri;
-nella seduta del 28 settembre 2006 la conferenza di servizi non avrebbe potuto accogliere due domande di autorizzazione all’apertura di due outlet, a una distanza di circa 15 km. l’uno dall’altro, entrambi eccedenti i limiti dimensionali massimi indicati dal citato art. 12, comma 2. In particolare, non avrebbe dovuto approvare il progetto del parco commerciale –outlet, in comune di Roncade, in quanto situato a soli 15 km. di distanza dall’outlet assentito in comune di Noventa di Piave;
-solo con la l. reg. 16 agosto 2007, n. 21, adottata in adempimento della previsione di cui all’art. 3, comma 4, del d. l. n. 223 del 2006, conv. con mod. in l. n. 248 del 2006, il sopra trascritto art. 12 è stato modificato eliminando l’imposizione della distanza minima di 100 km. tra gli outlets. In ogni caso, la necessità di rispettare il limite di distanza minimo dei 100 km. può dirsi venuta meno solo a partire dal 1° gennaio 2007, e non prima;
-alla data del 28 settembre 2006 il limite della distanza di 100 km. era vigente e applicabile, e di ciò le amministrazioni avrebbero dovuto tenere conto.
Ciò detto, l’infondatezza della censura nel merito esime il collegio dal prendere posizione, in particolare, sull’eccezione di inammissibilità per genericità sollevata dalla difesa della società Gruppo Basso.
In disparte l’osservazione che l’iniziativa del Gruppo Basso risulta anteriore, sul piano cronologico, rispetto alla iniziativa relativa al Comune di Noventa di Piave, il che potrebbe far ritenere la fattispecie “de qua” non soggetta al disposto di cui all’art. 12, comma 2, della l. reg. n. 15/04, il collegio è dell’avviso che la censura sopra riassunta debba ritenersi superata alla luce della sopravvenuta entrata in vigore della l. reg. 16 agosto 2007, n. 21, che ha soppresso il limite dei 100 km. di distanza tra gli outlets.
A questo proposito il collegio ritiene plausibile affermare che come, in nome dei principi di economia dei mezzi giuridici e di conservazione degli atti, l’art. 21 –octies della l. n. 241/90, a determinate condizioni, esclude che provvedimenti, astrattamente annullabili, possano essere caducati, così, a maggior ragione, non possono essere posti nel nulla tutti quei provvedimenti che, pur se assunti in violazione di legge, sono oggi conformi alle mutate prescrizioni normative. “Diversamente opinando, si perverrebbe a una metodica che richiederebbe un doppio passaggio (annullamento dell’atto per carenza di un presupposto e successiva rivalutazione della medesima vicenda con esito favorevole per la medesima parte) del tutto superfluo e contrario alla logica dell’economia processuale” (così Cons. St., V, sent. n. 5214 del 2004).
Con riferimento a una vicenda per alcuni versi simile a quella odierna la V sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5214 del 2004, ha chiarito che “conviene valutare … alla stregua di questa evenienza gli effetti di una pronuncia che, fondandosi sul mero dato formale, ritenesse che, al momento in cui era assentita la concessione edilizia “de qua” sussisteva comunque un elemento di illegittimità (la carenza di sagoma limite) reintrodotta solo in seguito… il giudizio di legittimità dovrebbe, in ogni caso, concludersi con un annullamento sul rilievo della originaria carenza di tutti i presupposti per l’adozione dell’impugnato provvedimento… se lo “jus aedificandi” … si forma anche in seguito, ma pur sempre nell’ambito di una procedura “lato sensu” di riesame, non v’è ragione per negare al titolo così formato la sua piena validità indipendentemente dalla sua originaria deficienza. Diversamente opinando, si perverrebbe a una metodica che richiederebbe un doppio passaggio (annullamento dell’atto per carenza di un presupposto e successiva rivalutazione della medesima vicenda con esito favorevole per la medesima parte) del tutto superfluo e contrario alla logica dell’economia processuale. Sotto questo profilo, deve darsi atto che il provvedimento non soffre più di illegittimità …”.
Anche se la richiamata sentenza del Consiglio di Stato riguardava una controversia devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, si trattava pur sempre di un giudizio di natura impugnatoria avente a oggetto un provvedimento autoritativo: di qui l’adattabilità del precedente giurisprudenziale alla fattisopecie odierna.
In ogni caso, anche a prescindere dalla considerazione su esposta che, peraltro, risulta decisiva, il collegio ritiene che la prescrizione della legge regionale sulla distanza minima tra gli outlet non inferiore ai 100 km. sia passibile di disapplicazione dal giudice nazionale, e ciò in ossequio a un orientamento della giurisprudenza della Corte costituzionale (v. sent. n. 389 del 1989 e numerose altre) e della CGCE che ben può dirsi consolidato, il che esime il collegio dall’aggiungere citazioni specifiche.
E infatti:
-le norme comunitarie che disciplinano la concorrenza trovano applicazione diretta all’interno degli Stati membri con l’obbligo, per il giudice nazionale, di disapplicare le norme interne che contrastano con le prime;
-se l’abrogazione esplicita disposta dall’art. 2, comma 3, del d. l. n. 223 del 2006, conv. in l. n. 248 del 2006, è stata circoscritta alle disposizioni legislative, e regolamentari, statali di disciplina del settore della distribuzione commerciale incompatibili con le disposizioni dell’ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza, ciò è avvenuto perché il legislatore statale non poteva emanare una analoga disposizione abrogatrice nei confronti di norme di legge regionali in materia di commercio, vale a dire in una materia che, dalla modifica del Titolo V della Costituzione in poi, appartiene alla competenza delle regioni (cfr. art. 117, comma 4, Cost.). Detto altrimenti, la legge statale non poteva disporre l’abrogazione espressa di norme di legge regionale in una materia in cui la prima difetta ormai di competenze;
-d’altra parte, è anche vero che il decreto c. d. Bersani del 2006 e la legge di conversione contengono disposizioni che, pur se destinate a inserirsi nell’ambito del commercio, dettano regole in una materia, quella della tutela della concorrenza, che è espressione di competenza esclusiva dello Stato (cfr. art. 117, comma 2, lett. e) Cost.), ferma l’osservanza della disciplina comunitaria direttamente applicabile all’interno degli Stati membri. Non è certo priva di significato la circostanza che il citato art. 3 del d. l. n. 223 del 2006 si intitoli “regole di tutela della concorrenza nel settore della distribuzione commerciale”;
-da ciò consegue che l’obbligo sancito, dal citato art. 3, comma 4, a carico di regioni ed enti locali, di adeguare le proprie disposizioni legislative e regolamentari –tra l’altro- sulle distanze tra gli esercizi, entro il 1° gennaio 2007, “non può significare il permanere, fino a tale data, dei limiti derivanti dal rispetto delle distanze stabilite in sede locale, trattandosi di norme direttamente confliggenti con disposizioni dell’ordinamento comunitario di immediata applicazione e, come tali, prevalenti su ordinamenti di rango inferiore, nella gerarchia delle fonti, eventualmente difformi” (così, con riguardo a una vicenda sotto alcuni aspetti analoga a quella odierna, Tar Piemonte, sez. I, sent. n. 1322 del 2007);
-in definitiva l’art. 3, comma 4, del decreto Bersani, nell’obbligare le Regioni ad adeguare la propria normativa al divieto di restringere la concorrenza stabilendo l’osservanza di distanze minime obbligatorie tra esercizi commerciali, risponde alla sola esigenza di “depurare il diritto interno da eventuali incompatibilità o disarmonie con le precedenti norme comunitarie” (C. cost. , n. 389/89). Il limite di distanza dei 100 km. ex l. reg. n. 15/04 non può più ritenersi sussistente, e se ritenuto sussistente andava e va disapplicato, poiché esso contrasta con le regole comunitarie in materia di tutela della concorrenza.
In conclusione, anche la censura sub XV. va respinta.
2.16.- Con la censura sub XVI. la ricorrente afferma che la conferenza di servizi (cfr. verbale del 28 settembre 2006, nella parte in cui è stata prevista “l’attivazione di almeno i due terzi della superficie di vendita assentita in sede di conferenza di servizi, ai sensi dell’art. 23, comma 2, della l. reg. n. 15/04, entro 24 mesi dalla data di ricevimento in Comune dell’accettazione delle prescrizioni da parte dell’interessato”) e il Comune di Roncade (v. aut. n. 5126/07, che contiene una prescrizione identica) hanno attribuito alla Gruppo Basso s.p.a. “un ingiustificato vantaggio sotto forma di malcelata proroga del termine di attivazione delle sette medie strutture di vendita che compongono il parco commerciale” –outlet di cui si discute; proroga che non trova sostegno né nell’art. 22 del decreto n. 114/98, né nell’art. 23 della l. reg. n. 15/04, non sussistendo, nel caso di specie, né una istanza di parte, né la dimostrazione di una situazione di “comprovata necessità” idonea a prorogare il termine.
In altre parole, con gli atti sopra indicati sarebbero state concesse proroghe del termine di attivazione delle strutture di vendita in modo non diretto ma dissimulato, utilizzando lo strumento della modifica della ripartizione interna della superficie di vendita del parco commerciale –outlet.
Il motivo è infondato e va respinto.
Come si ricava dalla lettura dell’art. 20, comma 1, lett. d) della l. reg. n. 15/04, il legislatore regionale ha inteso assoggettare al procedimento autorizzatorio in conferenza di servizi anche le modificazioni, purché rilevanti, della ripartizione interna delle superfici di vendita, assicurando agli operatori “un’ampia flessibilità…al fine di riorganizzare gli spazi di vendita senza ulteriori limiti di carattere qualitativo o quantitativo” (v. sent. Tar Veneto, III, n. 449/09).
Se questa è la “ratio” della disposizione in argomento, appare evidente che, in mancanza di una diversa e specifica indicazione di legge, il rilascio di una nuova autorizzazione per attivare una struttura diversamente ripartita nelle sue superfici rispetto a progetti precedenti non può che essere sottoposto al generale termine di attivazione decorrente dal rilascio del nuovo titolo.
Detto altrimenti, come giustamente rileva la difesa comunale, poiché la procedura per il rilascio di autorizzazioni per le grandi strutture di vendita o per i parchi commerciali (su cui v. articoli da 20 a 23 della l. reg. n. 15/04) si applica anche all’ipotesi della ripartizione interna della struttura che interessi una percentuale significativa della superficie di vendita complessiva (v. art. 20/d) cit.), il termine per attivare almeno i due terzi della superficie di vendita assentita in sede di conferenza di servizi non può che ripartire “ex novo” con l’azzeramento dei precedenti titoli commerciali accordati dal Comune.
In definitiva, nella fattispecie “de qua” si fa questione non di una proroga del termine per attivare una struttura di vendita, come sostiene Iper Gara, ma di una nuova autorizzazione che contiene un nuovo termine per attivare almeno i due terzi della superficie di vendita assentita in sede di conferenza di servizi.
2.17.- Con la censura sub XVII., recante violazione degli articoli 10, 18 e 20 della l. reg. n. 15/04, Iper Gara rammenta che nella riunione del 28 settembre 2006 la conferenza di servizi ha accolto la domanda della società Gruppo Basso, intesa ad ottenere il rilascio dell’autorizzazione commerciale per la modifica della ripartizione interna della superficie di vendita del parco commerciale esistente , di mq. 11317 –lottizzazione Fusana, nei termini di seguito indicati:
-una grande struttura di vendita –tipologia centro commerciale –outlet, di mq. 7969, riferita al settore merceologico non alimentare, ripartita in 37 esercizi di vicinato;
-una grande struttura di vendita –tipologia esercizio singolo, con una superficie di vendita di mq. 2800, del settore non alimentare generico;
-una media struttura di vendita –tipologia esercizio singolo, con superficie di vendita di mq. 548, del settore non alimentare generico.
Ciò premesso, la ricorrente osserva che illegittimamente il progetto di parco commerciale –outlet non è stato sottoposto alla procedura di VIA che, invece, era imposta dalla normativa regionale.
Iper Gara rileva, in particolare:
-che l’art. 10, comma 3, della l. reg. n. 15/04 dispone che “ogni modificazione relativa ai parchi commerciali esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge o di nuova costituzione è regolata dalle norme di cui al presente articolo nonché dall'articolo 18”;
-che l’art. 18, comma 7, primo periodo, l. reg. cit. prevede che “tutte le grandi strutture di vendita ed i parchi commerciali con superficie di vendita superiore a mq. 8000 sono assoggettati alla valutazione di impatto ambientale (VIA)”;
-che l’art. 20, comma 1, lett. d), stabilisce che la conferenza di servizi finalizzata al rilascio dell'autorizzazione riferita a grandi strutture di vendita o parchi commerciali è indetta: … lett. d) per ogni altra modificazione delle autorizzazioni rilasciate, con particolare riferimento alla ripartizione interna che interessi oltre il venti per cento della superficie complessiva o che comunque comporti la modifica della ripartizione dei settori merceologici, alle modifiche delle prescrizioni nonché ad ogni altra modifica sostanziale”;
-che poiché la modifica della ripartizione interna ha interessato il 100% del parco commerciale, che ha una superficie di 11.317 mq., era necessario sottoporre il progetto di modificazione alla procedura di VIA.
Per decidere sul motivo sopra riassunto –che è infondato e va respinto- il collegio può fare a meno di accertare: a)se la censura risulta, o no, superata alla luce di Cons. St., IV, sent. n. 782/08 che, sul punto, ha escluso la riferibilità della procedura di VIA alla attività di ricognizione di parchi commerciali già sostanzialmente esistenti, e in presenza di autorizzazioni commerciali già rilasciate, per i quali una procedura di VIA, che è attività preventiva, non avrebbe senso; e b) se la mancata sottoposizione alla procedura di VIA sia stata “sanata” dal parere favorevole reso dalla commissione provinciale VIA in data 7 novembre 2007, e dalla successiva delibera della Giunta provinciale (DGP) n. 542 del 10 dicembre 2007.
La censura è comunque infondata e va respinta poiché nel ricorso si procede da una premessa interpretativa erronea.
E infatti, il combinato disposto di cui agli articoli 10, comma 3, e 18, comma 7, della l. reg. n. 15/04, dev’essere interpretato nel senso che va assoggettata a procedura di VIA ogni modifica, relativa a parchi commerciali (esistenti), che concerne una superficie di vendita superiore agli 8.000 mq. .
Nel caso in esame, a differenza di ciò che ritiene Iper Gara, la modifica della ripartizione interna riguarda(va) in via esclusiva una superficie di vendita di 7.969 mq. , corrispondente alla superficie di vendita dell’outlet, autorizzata nella seduta della conferenza di servizi del 28 settembre 2006.
In altre parole, la “ratio” delle disposizioni di cui agli articoli 10, comma 3, e 18, comma 7, della l. reg. n. 15/04 va individuata nell’esigenza di sottoporre a VIA progetti che comportino significative modifiche delle ripartizioni interne delle superfici di vendita.
Se così è poiché, nella specie, la modifica della ripartizione interna di una parte –di mq. 7.969- della superficie complessiva del parco commerciale, pari a mq. 11.317, non ha avuto quale effetto il superamento del limite dimensionale degli 8.000 mq. di superficie di vendita, limite oltre il quale la legge regionale prescrive l’assoggettamento della struttura alla VIA, correttamente la modifica della ripartizione interna non è stata sottoposta a VIA. Il limite degli 8.000 mq. riguarda, insomma, l’estensione della superficie oggetto di modifica della ripartizione interna, e non la superficie di vendita complessiva del parco commerciale, modificato.
Va solo aggiunto che la variazione della ripartizione interna, superiore al 20%, di cui all’art. 20, comma 1, lett. d) della l. reg. n. 15/04, non riguarda le fattispecie per le quali è necessario l’assoggettamento a VIA, ma si riferisce ai casi per i quali va indetta la procedura della conferenza di servizi.
2.18.- Con il motivo sub XVIII., recante violazione dell’art. 37 della l. reg. n. 15/04, la ricorrente rileva che:
-la DCC 3 maggio 2006, n. 26, di approvazione della variante parziale al p. r. g. , ex art. 10 della l. reg. n. 15/04, è stata pubblicata all’albo pretorio dal 26 maggio al 9 giugno del 2006, divenendo esecutiva solo da tale ultima data;
-la domanda della società Gruppo Basso, diretta ad ottenere la modifica della ripartizione interna della superficie di vendita del parco commerciale, è stata presentata il 4 maggio 2006, vale a dire quando la variante parziale al p. r. g. non era ancora divenuta esecutiva;
-è stato così violato l’art. 37, comma 4, della l. reg. n. 15/04, vigente all’epoca dei fatti (il comma 4 verrà abrogato dall’art. 15 della l. reg. n. 21/07), norma che subordina(va) la presentazione delle domande agli adempimenti comunali di cui ai commi 7 e 8 del citato art. 10;
-l’avvenuta presentazione della istanza della Gruppo Basso prima del perfezionamento dell’adempimento comunale (variante al p. r. g. ) previsto dalla legge impediva la stessa convocazione della conferenza di servizi.
A confutazione della censura sopra riassunta appare sufficiente osservare che la variante parziale al p. r. g. era valida ed efficace sia al momento dell’istruttoria sia al momento della decisione della conferenza di servizi del 28 settembre 2006.
2.19. e 20.- Il motivo sub XIX. (eccesso di potere per illogicità manifesta, sviamento, contraddittorietà dell’azione amministrativa e falsità dei presupposti) è rivolto contro il provvedimento di proroga del 18 ottobre 2007, indicato in epigrafe al p. 2., nella parte in cui il provvedimento stesso contiene una proroga ulteriore, fino al 30 settembre 2008, del termine di attivazione delle sette medie strutture di vendita che rappresentano la parte più rilevante del parco commerciale “de quo”.
Ad avviso di Iper Gara le proroghe suddette sarebbero illegittime poiché, in seguito alla seduta della conferenza di servizi del 28 settembre 2006, il Comune di Roncade, nel rilasciare l’autorizzazione commerciale “generale” n. 5126 del 19 marzo 2007, aveva disposto, contestualmente al rilascio dell’autorizzazione “generale”, la revoca delle sette autorizzazioni commerciali per medie strutture di vendita a suo tempo accordate.
L’Amministrazione comunale avrebbe insomma prorogato l’efficacia di provvedimenti che essa stessa aveva già revocato, incorrendo così nel vizio di eccesso di potere sotto i diversi profili sopra ricordati.
Il collegio può fare a meno di stabilire se, come sostengono le difese del Comune e della società Gruppo Basso, la censura possa essere dichiarata improcedibile, o inammissibile, per effetto della sopravvenuta decisione del Cons. St. n. 782 del 2008 la quale, riformando la sentenza di questo Tar n. 938 del 2007, avrebbe fatto rivivere i provvedimenti di proroga originari, con conseguente venire meno di ogni interesse della ricorrente a impugnare provvedimenti di rinnovazione di proroghe che –sostengono le parti resistenti- risulterebbero oggi superati e privi di concreta utilità ed effettiva operatività.
Piuttosto, la coerenza e la razionalità del comportamento complessivamente tenuto dal Comune di Roncade trovano riscontro –come evidenziato dalla difesa della Gruppo Basso anche nel corso dell’udienza di discussione- nel fatto che non poteva non considerarsi la circostanza che, mentre era in corso di svolgimento il giudizio di appello, sono sopravvenuti i provvedimenti, in materia urbanistico –edilizia, indicati a pag. 4 del provvedimento del 18 ottobre 2007, provvedimenti dei quali il Comune ha, secondo logica, tenuto conto.
Il rigetto di tutte le censure su esposte preclude l’accoglimento della censura di “illegittimità derivata” sub XX. .
2.21. e 22. - Con il secondo ricorso per motivi aggiunti la ricorrente avversa il verbale del 29 luglio 2008 con il quale la conferenza di servizi, nell’accogliere un’ulteriore domanda della Gruppo Basso, ha deliberato di modificare la ripartizione della superficie complessiva del parco commerciale, sempre di mq. 11.317, come segue:
-una grande struttura di vendita –tipologia centro commerciale –outlet, di 11.009 mq., destinata alla vendita di prodotti del settore non alimentare generico, articolata in 69 esercizi di vicinato e 4 medie strutture e
-due esercizi singoli di vicinato, aventi una superficie, rispettivamente, di circa 149 e 159 mq. .
Iper Gara impugna inoltre gli atti connessi tra i quali, in particolare, la delibera della Giunta provinciale di Treviso (DGP) 10 dicembre 2007, n. 542, recante giudizio positivo di compatibilità ambientale sul progetto riguardante la realizzazione del parco commerciale –outlet (v. “amplius” p. 6. dell’epigrafe).
Con la censura sub XXI. Iper Gara deduce la violazione degli articoli 8, 15, 20 e 22 della l. reg. n. 15/04, poiché quella assentita dalla conferenza di servizi del 29 luglio 2008 non sarebbe una semplice modifica della ripartizione interna del parco commerciale, ma una ben più complessa “concentrazione” di precedenti titoli commerciali, ex art. 8 l. reg. n. 15/04, autorizzata, in primo luogo, “senza doversi confrontare con gli obiettivi di sviluppo della pianificazione commerciale regionale” e, in secondo luogo, in difetto del requisito della operatività almeno triennale richiesto dal citato art. 8 per le strutture di vendita oggetto di concentrazione.
Le circostanze sopra denunciate rileverebbero anche sotto il profilo dell’eccesso di potere per illogicità manifesta e per sviamento (v. motivo sub XXII.).
I motivi sopra riassunti, che possono essere esaminati insieme, sono infondati e vanno respinti.
Si tratta di doglianze simili alla censura sub XI. (sulla quale v. sopra, p. 2.11.), proposta avverso la delibera conf. serv. 28 settembre 2006.
A confutazione (anche) dei motivi appena riassunti appare sufficiente ribadire che Iper Gara muove dal presupposto, errato, secondo cui la domanda, accolta dalla conferenza di servizi nella seduta del 29 luglio 2008, non era, in realtà, una domanda diretta alla mera ripartizione interna delle superfici complessive del parco commerciale, ma era una domanda di “concentrazione” di medie strutture di vendita. Da un presupposto errato si fa discendere la conseguenza, anch’essa errata, secondo la quale sarebbero state violate, o comunque eluse, le norme regionali sull’osservanza degli obiettivi di sviluppo commerciale; per il resto, basta rinviare, anche ai sensi dell’art. 9 della l. n. 205 del 2000, alle argomentazioni ulteriori svolte sopra, al p. 2.11. , rimarcando che, come la domanda accolta dalla conferenza di servizi nella seduta del 28 settembre 2006 non aveva ad oggetto una “concentrazione” di esercizi di vendita, così, similmente, nella seduta del 29 luglio 2008 è stata autorizzata unicamente una modifica ulteriore della ripartizione interna della superficie di vendita del parco commerciale esistente, di mq. 11.317.
2.23. e 24. - La censura sub XXIII. , concernente violazione dell’art. 12 della l. reg. n. 15/04, si incentra sulla impugnazione della modifica alla prescrizione di cui alla lettera f), disposta con il verbale conf. serv. del 29 luglio 2008.
Iper Gara premette in fatto che con il verbale del 29 luglio 2008 è stata modificata la prescrizione di cui al p. 3 del verbale conf. serv. 28 settembre 2006.
La prescrizione del 2006 imponeva in particolare di verificare, “prima del rilascio dell’autorizzazione:
-che i soggetti interessati siano qualificati come “aziende produttive”, e
-che i prodotti messi in vendita riguardino esclusivamente l’invenduto, la produzione in eccesso e la fine serie.
La prescrizione sopra trascritta è stata modificata dopo che era emerso, in conferenza di servizi, che la prescrizione stessa era di difficile applicazione (cfr. verbale conf. serv. 29 luglio 2008, pag. 3). Allora, sul rilascio delle autorizzazioni commerciali e sul connesso controllo dei requisiti richiesti si è stabilito che “prima del rilascio delle singole autorizzazioni commerciali e dopo l’apertura il comune verifichi il rispetto dei requisiti previsti dall’art. 12, comma 1, della l. reg. n. 15/04”.
La ricorrente considera illegittima la prescrizione così modificata perché, posticipando dalla fase da svolgersi in conferenza di servizi alla fase della vendita la verifica, specialmente, sull’appartenenza del soggetto interessato alla categoria delle “aziende produttive”, la prescrizione medesima violerebbe il dettato normativo di cui al citato art. 12, comma 1, della l. reg. n. 15/04, attenendo, la verifica in argomento, “ad una condizione essenziale per l’assenso all’attivazione dell’outlet”.
Con il motivo sub XXIV. Iper Gara riprende, sotto una diversa angolazione, concernente eccesso di potere per illogicità manifesta e sviamento, la censura sopra riassunta, specificando anche qui che l’illegittimità si riverbera sull’autorizzazione commerciale rilasciata dal Comune di Roncade il 19 novembre 2008.
Per respingere le censure, riassunte poc’anzi e che possono essere esaminate e decise in modo congiunto, il collegio giudica appropriato:
-richiamare quanto osservato sopra, al p. 2.13., in particolare là dove, nel rigettare una censura sotto alcuni aspetti simile a quella di cui si sta discutendo ora, è stato affermato che le verifiche sul possesso dei requisiti di cui al citato art. 12, comma 1, non possono che avvenire “a valle”, vale a dire al momento del rilascio delle autorizzazioni, oltre che mediante verifiche successive eseguite durante l’esercizio dell’attività commerciale, dato che le verifiche stesse si riferiscono alle modalità di esercizio dell’attività commerciale, e non già al momento della pronuncia della conferenza di servizi (e nei confronti del soggetto – promotore, che ha presentato la domanda di attivazione del parco commerciale –outlet, diverso da colui, o da coloro, che saranno titolari delle autorizzazioni commerciali);
-precisare che, a differenza di quanto ritiene la difesa della ricorrente, l’art. 12, comma 1, della l. reg. n. 15 del 2004, rubricato “outlet”, nella parte in cui prevede che “ai fini della presente legge gli outlet sono forme di vendita di prodotti non alimentari che consentono alle aziende produttive, in locali diversi dal luogo di produzione, di mettere e rimettere in circolo esclusivamente l'invenduto, la produzione in eccesso, la fine serie. Sono costituiti prevalentemente da esercizi di vicinato che presentano un'immagine unitaria”, si limita a stabilire che la finalità degli outlets è quella di consentire, alle aziende produttive, di “mettere e rimettere in circolo” i prodotti indicati nella norma sopra trascritta.
Il citato art. 12 non impone, invece, alle aziende produttrici di richiedere direttamente l’autorizzazione per “mettere e rimettere in circolo” i medesimi prodotti, e neppure definisce ulteriormente le modalità con le quali ciò deve avvenire.
Da tutto questo consegue che, in assenza di indicazioni contrarie, le aziende produttive devono “mettere e rimettere in circolo”, in locali diversi dal luogo di produzione, l’invenduto, la produzione in eccesso e la fine serie, ma per assicurare una siffatta tipologia di vendita ben possono avvalersi di soggetti specifici che rientrano nella categoria dei commercianti.
In altre parole, le autorizzazioni commerciali per la vendita di prodotti all’interno degli outlets non presuppongono una identità soggettiva tra azienda produttiva e soggetto venditore, anche se deve pur esistere un rapporto tra il soggetto che richiede l’autorizzazione commerciale e l’azienda produttiva, tale per cui l’attività di vendita sia riferibile, anche solo in via indiretta e mediata, al soggetto produttore.
Nel disegno dell’art. 12 della l. reg. n. 15/04 la qualificazione di una struttura di vendita come outlet è posta in relazione alla tipologia dei prodotti venduti e alla provenienza degli stessi, e non, o non necessariamente, alla qualificabilità come azienda produttiva della struttura che pone in vendita i prodotti non alimentari.
Gli outlets non sono spacci aziendali, in quanto tali gestiti in via diretta dalle singole aziende produttrici, ma sono strutture di vendita di merci a basso costo provenienti dalle giacenze di magazzino delle ditte produttrici, giacenze che possono sì essere messe in vendita dalle medesime ditte produttrici, ma che nulla esclude che possano essere poste in vendita, o “rimesse in circolo”, da soggetti terzi, che rilevano l’invenduto dai magazzini delle aziende per venderlo in strutture “ad hoc”.
Nella forma di vendita dell’outlet ben può accadere che l’azienda produttrice si avvalga, per regolamentare la messa in vendita della merce prodotta in eccesso oppure del “fine serie”, di altri soggetti legati al produttore dai più diversi rapporti negoziali, ciò che rileva essendo unicamente la riconducibilità dei prodotti alle aziende produttive.
Non è vero dunque che, in base a quanto dispone l’art. 12 della l. reg. n. 15/04, la vendita sia consentita in via esclusiva direttamente alle aziende produttive;
-rilevare che la legge non richiede che le verifiche debbano essere effettuate prima della apertura dell’esercizio (per la verità, non è neppure richiesto che le verifiche vadano fatte prima del rilascio dell’autorizzazione commerciale);
-sottolineare che il temuto svuotamento di efficacia della prescrizione viene evitato prevedendo, appunto (v. lettera f) del verbale conf. serv. 29 luglio 2008) , che la verifica sui prodotti messi in vendita vada fatta prima del rilascio dell’autorizzazione –anche se dopo l’apertura-, fermo restando che non è ragionevole, né appare coerente con i principi generali dell’attività amministrativa, differire in modo eccessivo, o rinviare indefinitamente, ad apertura dell’esercizio già avvenuta, l’esecuzione della verifica “de qua”; e
-soggiungere infine che resta salvo un potere permanente, del Comune, di verifica del rispetto dei requisiti di cui al citato art. 12, comma 1.
2.25.- Con il motivo sub XXV. Iper Gara ripropone la censura sub XVII. , rivolta contro la delibera conf. serv. del 28 settembre 2006, avvalorando la tesi dell’illegittimità del verbale in questione, per violazione degli articoli 10, 18 e 20 della l. reg. n. 15/04, mediante il richiamo alla DGP n. 542/07, nel frattempo adottata, e con la quale è stato reso un giudizio di compatibilità ambientale positivo ma –sostiene Iper Gara- del tutto tardivo rispetto al momento, anteriore al 28 settembre 2006, entro il quale il giudizio medesimo sarebbe dovuto intervenire.
Ai fini del rigetto della censura il collegio non ha che da fare richiamo, anche ai sensi dell’art. 9 della l. n. 205/00, alle osservazioni svolte sopra, al p. 2.17., circa l’erroneità dei presupposti dai quali la società Iper Gara ha preso le mosse. Nella specie, infatti, era esclusa la necessità di sottoporre, alla procedura preventiva di valutazione di impatto ambientale, la modifica della ripartizione interna della superficie di vendita del parco commerciale, oggetto della conf. serv. del 28 settembre 2006, trattandosi di modifica riguardante una superficie di vendita minore di 8.000 mq. .
Non appare inutile aggiungere che il positivo giudizio di compatibilità ambientale di cui alla DGP n. 542/07 si riferisce a una domanda riguardante una modifica dell’assetto generale del parco commerciale che, coinvolgendo una superficie di vendita maggiore di 8.000 mq. esigeva, appunto, l’assoggettamento a VIA preventiva.
2.26. e 27.- La censura sub XXVI., che concerne violazione degli articoli 10 e 18 della l. reg. n. 15/04, si incentra sulla prescrizione, inserita a pag. 5, lett. a), del verbale conf. serv. 29 luglio 2008, con la quale si è stabilito che “i due esercizi di vicinato rispettivamente contrassegnati con il n. 41 e il n. 28 … siano separati fisicamente e abbiano effettivamente spazi di servizio e infrastrutture non in comune con la grande struttura –centro commerciale. Pertanto dovranno godere di un accesso sulla viabilità pubblica che serva esclusivamente l’area a parcheggio relativa ai medesimi esercizi, area che dovrà essere delimitata con infrastrutture per caratteristiche strutturali permanenti rispetto alla restante porzione di parcheggio servente la molteplicità degli esercizi commerciali residui”.
Nel ricorso si legge che la prescrizione sopra trascritta era finalizzata a evitare una ripetizione della VIA che tenesse conto della specifica situazione di insieme: infatti, l’art. 18, comma 7, della l. reg. n. 15/04, stabilisce che qualora le grandi strutture di vendita ed i parchi commerciali con superficie di vendita superiore a mq. 8000 siano annesse o collegate ad attività di intrattenimento, come definite all'articolo 8, comma 1, lettera h), a pubblici esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande o ad attività artigianali, situati nel medesimo spazio unitario e omogeneo, la procedura di VIA va riferita all'insieme delle attività.
Nel caso “de quo” è stata imposta la separazione degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande dal parco commerciale per legittimare una procedura di VIA non riferita all’insieme delle attività.
Senonché, prosegue Iper Gara, così facendo, la struttura del Gruppo Basso ha perso i requisiti per poter essere definita parco commerciale, e ciò in base a quanto dispone l’art. 10, comma 1, della l. reg. n. 15/04.
Con la censura sub XXVII. Iper Gara aggiunge che la conferenza di servizi, ricorrendo all’espediente di imporre la separazione degli edifici E ed F per evitare la ripetizione della VIA mantenendo, nel contempo, alla struttura, la qualifica di parco commerciale, sarebbe incorsa nel vizio di eccesso di potere per illogicità manifesta e sviamento.
Entrambe le censure, che possono essere esaminate insieme, sono infondate e vanno respinte, poiché muovono da un errato presupposto in fatto.
In realtà, dalla documentazione allegata alla istanza della Gruppo Basso ed esaminata in sede di conf. serv. emerge che i due esercizi di vendita autonomi rispetto alla grande struttura non corrispondono ai corpi di fabbrica sub E ed F nei quali è previsto lo svolgimento di attività di somministrazione di alimenti e bevande.
Gli esercizi di somministrazione, collocati nei corpi di fabbrica E ed F, sono infatti interni alla struttura, e non in posizione annessa, o collegata, alla stessa, come prevede l’art. 18, comma 7, cit. .
Gli esercizi di vicinato, contrassegnati, rispettivamente, con il n. 41 e il n. 28 nella planimetria allegata al verbale conf. serv. , sono destinati alla vendita al dettaglio nell’àmbito del settore merceologico non alimentare. Con riferimento a questi ultimi esercizi, opportunamente la difesa regionale rimarca che con la prescrizione sub a) è stata imposta la separazione fisica degli spazi di servizio e delle infrastrutture dei due esercizi, rispetto alla grande struttura –centro commerciale, e ciò per evitare che gli esercizi di cui ai nn. 41 e 28, condividendo spazi di servizio e infrastrutture con la grande struttura –centro commerciale, costituissero, con la medesima grande struttura, ai sensi dell’art. 9 della l. reg. n. 15/04, un unico centro commerciale, facendo venire meno i requisiti essenziali previsti dall’art. 10 l. reg. cit. ai fini della configurazione di un parco commerciale (ci si riferisce alla presenza di almeno tre esercizi commerciali collocati nel medesimo spazio unitario ed omogeneo).

Poiché dunque la procedura di verifica ex art. 18, comma 7, cit., vale a dire riferita all’insieme delle attività, dev’essere seguita soltanto se le attività di somministrazione di alimenti e bevande “sono annesse o collegate all’esercizio commerciale, cioè non integrate al loro interno” (cfr. circ. reg. nn. 4/05 e 1/06: i pubblici esercizi interni e accessori a una grande struttura di vendita appaiono destinati a soddisfare in via esclusiva la clientela della struttura di vendita), va esclusa l’applicabilità della peculiare procedura di VIA di cui all’art. 18, comma 7 cit. alla fattispecie “de qua”.
2.28. Ai fini del rigetto della censura sub XXVIII., pressoché identica al motivo sub XVI., anche se la prima si riferisce alla delibera conf. serv. 29 luglio 2008, e l’altra al verbale conf. serv. 28 settembre 2006, è sufficiente fare rinvio a quanto precisato sopra, al p. 2.16., in particolare sulla “ripartenza ex novo” del termine, previsto dall’art. 23, comma 2, della l. reg. n. 15/04, per l’attivazione di almeno i due terzi della superficie di vendita del parco, assentita in sede di conferenza di servizi.
Occorre ribadire che non si fa questione di una dilazione ulteriore del termine di attivazione della struttura, ma di una nuova autorizzazione che contiene un nuovo termine per attivare almeno i due terzi della superficie di vendita assentita in sede di conferenza di servizi.
Quasi inutile aggiungere, in relazione alla rilevata violazione dell’art. 22 del d. lgs. n. 114/98, che il ricorso a proroghe reiterate è ammesso e che la situazione di “comprovata necessità” è stata adeguatamente dimostrata.
2.29. – Per respingere il motivo sub XXIX., imperniato nuovamente (v. “supra”, pp. 2.13. e 2.23.) sull’asserita violazione dell’art. 12 della l. reg. n. 15/04, basta richiamare ciò che si è osservato sopra al p. 2.23. .
2.30.-Dalle considerazioni su esposte è inevitabile rigettare anche la censura sub XXX. , recante “illegittimità derivata”.
2.31.-In conclusione, ricorso introduttivo e motivi aggiunti sono infondati e vanno respinti.
Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione terza, definitivamente decidendo sul ricorso in premessa lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 23/04/2009 con l'intervento dei Magistrati:
Angelo De Zotti, Presidente
Marco Buricelli, Consigliere, Estensore
Marina Perrelli, Referendario
 
                
                
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE      

                REPUBBLICA ITALIANA
                     IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso introduttivo e sul primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto ricorso per motivi aggiunti rubricati al n. 2731 del 2006, proposti da:
-Unione del Commercio, del Turismo, dei Servizi e della Piccola e Media Impresa della Provincia di Venezia (Confcommercio Unione Venezia, di seguito Unicomm od Unicomm Venezia), in persona del legale rappresentante “pro tempore”; e da
-Gabriel Giannino e Ghiotto Carlo, entrambi titolari di attività commerciali nel comune di San Donà di Piave,
rappresentati e difesi dagli avvocati Ivone Cacciavillani e Carlo Alberto Tesserin, e domiciliati presso la Segreteria del Tar ai sensi dell’art. 35 del r. d. n. 1054 del 1924;
contro
il Comune di Noventa di Piave, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv. Mariateresa Borgato Pagotto domiciliato presso la Segreteria del Tar ai sensi dell’art. 35 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054;
e nei confronti
della Regione Veneto, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avvocati Ezio Zanon e Luisa Londei dell’Avvocatura regionale del Veneto, con domicilio eletto presso la sede dell’Avvocatura regionale in Venezia, San Polo n. 1429/B);
e di
BMG Noventa s.r.l. , società derivante dalla fusione, per incorporazione c. d. inversa, tra le società Immobiliare Due s.r.l. unipersonale e BMG Venezia s.r.l. unipersonale, e Immobiliare Sassi s.r.l., in persona del legale rappresentante “pro tempore”, rappr. e dif. dagli avvocati Annamaria Tassetto, Duccio M. Traina e Franco Zambelli, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Venezia –Mestre, Via Cavallotti, 22;
e di
Nike Retail B. V. , in persona del legale rappresentante “pro tempore”, rappr. e dif. dagli avvocati Riccardo Marletta, Luca Tiberi e Stefano Sacchetto, ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Venezia –Mestre, Via Carducci n. 45;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
Andreuzza S.n.c., rappresentato e difeso dagli avv. Vittorio Biagetti, Franco Di Maria, Pier Vettor Grimani, con domicilio eletto presso Pier Vettor Grimani in Venezia, S. Croce, 466/G; Dal Ben Tre Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Ludovica Bernardi, Luigi Garofalo, con domicilio eletto presso Luigi Garofalo in Venezia, Piazzale Roma, 468/B;
per l'annullamento
-quanto al ricorso introduttivo: A) del verbale della conferenza di servizi ex art. 20 della l. reg. n. 15/04 tenutasi il 28 settembre 2006 in funzione del rilascio, alla controinteressata Immobiliare Sassi, dell’autorizzazione all’apertura di un outlet in forma di parco commerciale nel comune di Noventa di Piave, via Calnova;
-quanto al ricorso per motivi aggiunti: B) del verbale indicato sub A) e del permesso di costruire n. 92 accordato dal comune di Noventa di Piave in data 26 settembre 2006;
-quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti: C) del verbale della conferenza di servizi ex art. 20 della l. reg. n. 15/04 tenutasi il 28 maggio 2007 in funzione del rilascio, alla controinteressata Immobiliare Sassi, dell’autorizzazione all’apertura di un outlet in forma di parco commerciale nel comune di Noventa di Piave, via Calnova;
-quanto al terzo ricorso per motivi aggiunti: D) del verbale della conferenza di servizi ex art. 20 della l. reg. n. 15/04 tenutasi il 29 maggio 2007 in funzione del rilascio, alla controinteressata Immobiliare Sassi, dell’autorizzazione all’ampliamento di un outlet in forma di parco commerciale nel comune di Noventa di Piave, via Calnova; e –D2) - di ogni atto connesso, presupposto o consequenziale, inclusi il permesso di costruire n. 40 del 22 maggio 2007 e l’atto comunale prot. n. 12462 del 3 agosto 2007, di presa d’atto della accettazione, da parte della Immobiliare Sassi, delle prescrizioni deliberate dalla conferenza di servizi del 29 maggio 2007;
-quanto al quarto ricorso per motivi aggiunti: E) del verbale della conferenza di servizi ex art. 20 della l. reg. n. 15/04 tenutasi il 25 ottobre 2007 in funzione del rilascio, alla controinteressata Immobiliare Sassi, dell’autorizzazione alla modifica distributiva e di settore merceologico di un outlet in forma di parco commerciale nel comune di Noventa di Piave, via Calnova; e –E2) – di ogni atto connesso, presupposto o consequenziale, incluso il permesso di costruire in variante n. 72 del 28 agosto 2007;
-quanto al quinto ricorso per motivi aggiunti: F) del verbale di conferenza di servizi n. 12122 del 27 giugno 2008, per la modifica della prescrizione di cui al punto n. 3 del verbale di conferenza di servizi del 28 settembre 2006; e –F2)- del verbale di conferenza di servizi n. 12125 del 27 giugno 2008, in funzione del rilascio, alla controinteressata, dell’autorizzazione alla modifica distributiva e di settore merceologico di un outlet in forma di parco commerciale nel comune di Noventa di Piave, via Calnova; e di ogni atto connesso, presupposto o consequenziale, incluso il permesso di costruire in variante n. 47 del 24 giugno 2008;
-quanto al sesto ricorso per motivi aggiunti: delle autorizzazioni commerciali dalla n. 416 alla n. 433 rilasciate dal comune di Noventa di Piave il 22 settembre 2008, e delle autorizzazioni commerciali nn. 434 e 435 rilasciate dal comune resistente il 23 settembre 2008.

visti il ricorso introduttivo e i ricorsi per motivi aggiunti, con i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio di:
-Comune di Noventa di Piave;
-Regione Veneto;
-Immobiliare Sassi e Immobiliare Due;
-Nike Retail, con i relativi allegati;
visti gli atti di intervento “ad adiuvandum” della società Dal Ben Tre e di Andreuzza Sport, con i relativi allegati;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti della causa;
uditi, all’udienza del 23 aprile 2009 (relatore il consigliere Marco Buricelli), gli avvocati: Tesserin per i ricorrenti, Borgato Pagotto per il comune di Noventa di Piave, Londei per la Regione Veneto, Traina e Zambelli per la società BMG Noventa, Cappella, su delega di Biagetti, per Andreuzza Sport e Bernardi per Dal Ben Tre;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO
1.-Il 28 settembre 2006 la conferenza di servizi indetta ai sensi dell’art. 20 della l. reg. n. 15 del 2004 ha valutato positivamente l’istanza presentata dalla Immobiliare Sassi il 31 maggio 2006, avente a oggetto l’autorizzazione alla apertura di un parco commerciale –outlet nel comune di Noventa di Piave (VE), per una superficie di vendita di 3967 mq. .
Il provvedimento è stato impugnato con il ricorso introduttivo e i motivi di doglianza sono stati tempestivamente integrati con il primo ricorso per motivi aggiunti. Contestualmente è stato impugnato anche il permesso di costruire n. 92 del 26 settembre 2006.
Nella seduta del 29 maggio 2007 è stato autorizzato l’ampliamento del parco commerciale-outlet assentito nella conferenza di servizi del 28 settembre 2006, fino a raggiungere la consistenza complessiva di 7907 mq., divisi in 53 esercizi, 27 dei quali, per complessivi 4495 mq. di superficie di vendita, nel settore misto, e 26, per complessivi 3412 mq. di superficie di vendita, nel settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie.
Anche il verbale anzidetto, e il conseguente permesso di costruire, sono stati impugnati con atti di motivi aggiunti.
Con un verbale ulteriore di conferenza di servizi del 25 ottobre 2007 è stato assentito il mutamento della distribuzione interna del parco commerciale approvato nella seduta del 28 settembre 2006. In base al progetto approvato, la superficie di vendita complessiva di 7907 mq., dei quali 3412 nel settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie, e 4495 nel settore misto, si sarebbe dovuta distribuire non più fra 53 esercizi commerciali inseriti in cinque edifici, ma tra 68 esercizi inseriti in sette fabbricati.
Verbale della conferenza di servizi e permesso di costruire in variante n. 72 del 28 giugno 2007 sono stati impugnati con il quarto ricorso per motivi aggiunti.
Il 27 giugno 2008 la conferenza di servizi ha assunto due determinazioni:
-con il verbale prot. n. 12122 ha disposto la modifica della prescrizione di cui al p. 3 del verbale conf. serv. 28 settembre 2006, confermato nelle conf. serv. del 29 maggio e del 25 ottobre del 2007;
-con il verbale n. 12125 ha autorizzato la terza modifica distributiva e di settore merceologico.
Questi ultimi due verbali di conferenza di servizi e il permesso di costruire in variante n. 47 del 24 giugno 2008 sono stati impugnati con il quinto ricorso per motivi aggiunti. Di rilievo la variazione dell’assetto complessivo dell’insediamento commerciale: la superficie di vendita complessiva, che rimane di 7907 mq., viene ripartita tra 3003 mq. nel settore non alimentare generico, 409 mq. nel settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie e 4495 nel settore misto.
Con il sesto ricorso per motivi aggiunti sono state impugnate le singole autorizzazioni commerciali accordate dal comune di Noventa di Piave a diverse ditte.
Con il ricorso introduttivo, e con i sei atti di motivi aggiunti, i ricorrenti hanno formulato numerose censure di illegittimità propria e derivata.
Si sono costituiti in giudizio il Comune di Noventa di Piave, la Regione Veneto, la Immobiliare Sassi e, in relazione agli atti specificamente impugnati con il sesto ricorso per motivi aggiunti, la società Nike Retail B. V. .
Le parti resistenti hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti per svariate ragioni e, nel merito, hanno chiesto al Tar di rigettare ricorso e motivi aggiunti.
Sono intervenute “ad adiuvandum” le società Dal Ben Tre e Andreuzza Sport.
All’udienza del 23 aprile 2009 il ricorso è stato discusso e quindi trattenuto in decisione.
1.-In diritto, in via preliminare devono essere esaminate e decise le eccezioni in rito sollevate dalle difese delle parti resistenti.
1.1.-Comune e Immobiliare Sassi eccepiscono la carenza di legittimazione attiva e di interesse ad agire in capo non solo a Unicomm -Venezia, articolazione locale di Confcommercio, ma con riferimento anche ai signori Gabriel Giannino e Ghiotto Carlo, titolari di attività commerciali nel Comune di San Donà di Piave.
L’eccezione è fondata e va accolta per quanto attiene alla posizione di Unicomm; è infondata e va respinta nei riguardi dei ricorrenti Gabriel Giannino e Ghiotto Carlo.
1.1.1.-Circa Unicomm, il collegio ritiene opportuno premettere, in linea generale, che, secondo la consolidata giurisprudenza amministrativa, alle associazioni di categoria sono riconosciute posizioni soggettive tutelabili in giudizio in quanto riferibili alla associazione come tale (e non è questo il nostro caso), ovvero alla categoria rappresentata. In quest’ultima ipotesi, però, a condizione che non siano coinvolti interessi individuali, vale a dire dei singoli appartenenti alla categoria, in potenziale contrasto con la posizione fatta valere dalla associazione stessa. In altre parole, per giurisprudenza costante (v. ad es. Cons. St. , nn. 5138 del 2004 e 5307 del 2003, e Tar Veneto, III, n. 2692 del 2008), le associazioni di categoria sono legittimate ad agire in giudizio a tutela degli interessi della collettività di cui sono centri di riferimento, con la conseguenza che va esclusa la legittimazione dell’associazione di categoria qualora non sia certo che gli interessi di tutti gli iscritti alla associazione stessa siano conformi a quello a tutela del quale l’associazione agisce. Gli interessi individuali dei singoli appartenenti alla categoria non devono cioè confliggere tra loro, neppure in modo potenziale. Una situazione di conflitto, anche se solo potenziale, tra appartenenti alla categoria, di cui l’associazione ricorrente è organismo esponenziale, preclude la legittimazione della stessa a far valere l’interesse azionato in giudizio per difetto del necessario presupposto della riferibilità di tale interesse, in modo indistinto, a tutta la categoria.
Orbene, negli atti di causa è stata puntualmente richiamata la sentenza Cons. St. , sez. V, n. 3451 del 2008, con la quale, in relazione a una fattispecie per certi aspetti analoga a quella odierna, si statuisce, testualmente, che “deve condividersi l’assunto che pone l’apertura di un centro commerciale al di fuori della sfera di interesse di un’intera categoria, in quanto, se è vero che una siffatta struttura può restringere gli spazi di mercato degli operatori commerciali insediati nel Comune interessato, è parimenti innegabile che essa è in grado di offrire anche la possibilità di attivare altri esercizi commerciali. Con la conseguenza che potrebbe essere pregiudicato l’interesse di alcuni commercianti, ma non quello comune di tutti gli appartenenti alla categoria (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 1826/2004)”. “In virtù … del principio generale secondo cui l’interesse collettivo deve identificarsi con l’interesse di tutti gli appartenenti alla categoria unitariamente considerata, e non con gli interessi individuali o specifici di singoli associati o gruppi di associati, deve escludersi la legittimazione a ricorrere delle associazioni di categoria quando le stesse facciano valere in giudizio gli interessi peculiari di una sola parte dei propri associati e non della totalità dei propri componenti, trascurando quelli, eventualmente, di segno contrario” (così, testualmente, Cons. st. , sent. cit.).
Guardando più da vicino la vicenda per cui è causa, assume rilievo la constatazione secondo la quale Unicomm, articolazione locale di Confcommercio, si prefigge, per statuto, la tutela degli interessi delle imprese che operano nel commercio.
Appare evidente che l’interesse che Unicomm intende far valere con la proposizione del presente ricorso inerisce, essenzialmente, alla tutela delle posizioni degli operatori commerciali insediati sul territorio o, per dir meglio, dei commercianti che svolgono attività economica in concorrenza con quella dell’outlet.
La finalità avuta di mira da Unicomm è quella di evitare sviamenti di clientela, di tenere lontano il pericolo di cali dei volumi delle vendite, più o meno consistenti, conseguenti alla realizzazione della iniziativa della Immobiliare Sassi, vale a dire alla attivazione dell’outlet.
Se l’interesse perseguito da Unicomm è questo, il che appare indubitabile, il collegio non ritiene di poter riconoscere, nei provvedimenti impugnati, una capacità lesiva di interessi unitari della categoria.
Come giustamente osservano le difese del Comune e della società Immobiliare Sassi, nel proporre il ricorso odierno Unicomm “assume le parti” di alcuni soltanto degli operatori commerciali insediati nel territorio interessato dalla messa in funzione dell’outlet.
In realtà, se è vero che l’attivazione dell’outlet indubbiamente comporta un potenziale danno per alcuni commercianti sul territorio, sotto l’aspetto del potenziale sviamento di clientela, è vero anche che l’attivazione medesima determina, o comunque può determinare, un vantaggio per altri commercianti, segnatamente per quelli in grado di operare all’interno dell’outlet stesso.
Non sussiste, perciò, un pregiudizio per tutti gli appartenenti alla categoria che, solo, legittimerebbe l’interesse a ricorrere di Unicomm.
L’associazione ricorrente tenta di contrastare l’eccezione di difetto di legittimazione attiva e di interesse a ricorrere formulata dalle parti resistenti sostenendo che i principi affermati dalla V sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 3451 del 2008 si attagliano perfettamente alla fattispecie in allora decisa perché in quel caso la controversia verteva sull’apertura di un centro commerciale nel quale si sarebbero potuti insediare gli esercizi commerciali di alcuni degli iscritti all’associazione appellante; viceversa, nella fattispecie qui a giudizio è oggetto di contesa un parco commerciale in forma di outlet nel quale, ai sensi dell’art. 12, comma 1, della l. reg. n. 15 del 2004, la vendita è consentita in via esclusiva ai produttori che, come tali, non rientrano nella categoria dei commercianti unitariamente rappresentati, a livello provinciale, dall’associazione ricorrente. Di qui –conclude la difesa di Unicomm- , l’inconfigurabilità di quel conflitto potenziale tra gli interessi degli uni e degli altri aderenti all’associazione che, per la giurisprudenza, ne escluderebbe la legittimazione.
L’obiezione sopra riassunta riecheggia –e si intreccia con- la censura di “illegittimità propria” delle singole autorizzazioni commerciali, formulata nel sesto ricorso per motivi aggiunti e attinente alla asserita violazione dell’art. 12, comma 1, della l. reg. n. 15 del 2004.
Con la censura suddetta si osserva che illegittimamente sarebbe stato assentito il rilascio di “autorizzazioni commerciali comunali” non soltanto ad aziende produttrici, come sarebbe esplicitamente prescritto dal citato art. 12, comma 1, ma anche a favore di soggetti che non risultano svolgere direttamente alcuna attività produttiva e che sono solo collegati ai soggetti produttori mediante non meglio precisati rapporti societari o contrattuali.
La tesi di fondo dei ricorrenti sarebbe che se le aziende produttrici si avvalgono, per la vendita, di soggetti commerciali terzi, allora si è al di fuori dell’outlet.
Il rigetto dell’obiezione di Unicomm trova corrispondenza nella reiezione della sopra trascritta prima censura del sesto ricorso per motivi aggiunti.
A differenza di quanto ritiene Unicomm, l’art. 12, comma 1, della l. reg. n. 15 del 2004, rubricato “outlet”, il quale prevede che “ai fini della presente legge gli outlet sono forme di vendita di prodotti non alimentari che consentono alle aziende produttive, in locali diversi dal luogo di produzione, di mettere e rimettere in circolo esclusivamente l'invenduto, la produzione in eccesso, la fine serie. Sono costituiti prevalentemente da esercizi di vicinato che presentano un'immagine unitaria”, si limita a stabilire che la finalità degli outlet è quella di consentire, alle aziende produttive, di “mettere e rimettere in circolo” i prodotti indicati nella norma sopra trascritta.
Il citato art. 12 non impone, invece, alle aziende produttrici di richiedere direttamente l’autorizzazione per “mettere e rimettere in circolo” i medesimi prodotti, e neppure definisce ulteriormente le modalità con le quali ciò deve avvenire.
Da tutto questo consegue che, in assenza di indicazioni contrarie, le aziende produttive devono “mettere e rimettere in circolo”, in locali diversi dal luogo di produzione, l’invenduto, la produzione in eccesso e la fine serie, ma per assicurare una siffatta tipologia di vendita ben possono avvalersi di soggetti specifici che rientrano nella categoria dei commercianti.
In altre parole, le autorizzazioni commerciali per la vendita di prodotti all’interno degli outlets non presuppongono una identità soggettiva tra azienda produttiva e soggetto venditore, anche se deve pur esistere un rapporto tra il soggetto che richiede l’autorizzazione commerciale e l’azienda produttiva, tale per cui l’attività di vendita sia riferibile, anche solo in via indiretta e mediata, al soggetto produttore.
Detto altrimenti, nel disegno dell’art. 12 della l. reg. n. 15/04 la qualificazione di una struttura di vendita come outlet è posta in relazione alla tipologia dei prodotti venduti e alla provenienza degli stessi, e non, o non necessariamente, alla qualificabilità come azienda produttiva della struttura che pone in vendita i prodotti non alimentari.
Gli outlets non sono spacci aziendali, in quanto tali gestiti in via diretta dalle singole aziende produttrici, ma, come correttamente fa notare la difesa del Comune, sono strutture di vendita di merci a basso costo provenienti dalle giacenze di magazzino delle ditte produttrici, giacenze che possono sì essere messe in vendita dalle medesime ditte produttrici, ma che nulla esclude che possano essere poste in vendita, o “rimesse in circolo”, da soggetti terzi, che rilevano l’invenduto dai magazzini delle aziende per venderlo in strutture “ad hoc”.
Nella forma di vendita dell’outlet ben può accadere che l’azienda produttrice si avvalga, per regolamentare la messa in vendita della merce prodotta in eccesso oppure del “fine serie”, di altri soggetti legati al produttore dai più diversi rapporti negoziali, ciò che rileva essendo unicamente la riconducibilità dei prodotti alle aziende produttive.
Concludendo sul punto, non è vero che, in base a quanto dispone l’art. 12 della l. reg. n. 15/04, la vendita sia consentita in via esclusiva ai produttori che, come tali, non rientrano nella categoria dei commercianti, la sola ad essere rappresentata in via unitaria, a livello provinciale, dall’associazione ricorrente: da ciò discende la configurabilità, nella specie, di quel contrasto, anche solo potenziale, di interessi, tra gruppi diversi di commercianti, idoneo a determinare la inammissibilità -solo parziale, peraltro, come si vedrà meglio tra breve- del ricorso per la carenza, in capo a Unicomm, della legittimazione e dell’interesse ad agire.
1.1.2-L’eccezione di carenza di legittimazione a ricorrere e di interesse ad agire, sollevata dalle difese del Comune e della Immobiliare Sassi con riferimento alle posizioni dei ricorrenti Gabriel e Ghiotto, è invece infondata e va respinta perché:
-i ricorrenti sono titolari di attività commerciali nel comune, limitrofo a quello di Noventa di Piave, di San Donà di Piave, posto a pochissimi km. di distanza dal primo. Entrambi i comuni rientrano nella stessa area sovracomunale di cui alla l. reg. n. 15/04. Dagli atti di causa risulta che, mentre Giannino Gabriel esercita attività di vendita di capi d’abbigliamento, di accessori per l’abbigliamento e di biancheria intima, Carlo Ghiotto vende prodotti cine –foto –ottici. Il criterio territoriale della vicinanza, dunque, nella specie sussiste e, a questo proposito, il collegio intende richiamare alcune affermazioni fatte dalla II sezione di questo Tar con la sentenza n. 1733 del 2007, ritenendole valorizzabili anche nella vicenda odierna, contraddistinta da una –perlomeno facilmente ipotizzabile- concorrenza tra l’outlet –o, per dir meglio, tra alcuni esercizi dello stesso- e gli esercizi commerciali gestiti dai ricorrenti: “l’attuale facilità degli spostamenti e la indiscussa funzionalità dello shopping nel centro commerciale (in termini vuoi di reperibilità di parcheggio, vuoi di possibilità di scelta tra una vasta gamma di prodotti a prezzi spesso competitivi, vuoi di utilizzo dei servizi accessori) sono elementi che consentono di superare il tradizionale limite del collegamento della struttura di vendita con il territorio. La concorrenzialità di una struttura commerciale dipende, invero, (anche) dalle economie di scala che essa è in grado di realizzare, in quanto comportano, come effetto finale, la diminuzione del prezzo al consumatore: e poiché le economie di scala, nel breve periodo, sono in relazione alla quantità venduta (stante l’invariabilità degli altri fattori), segue necessariamente che il centro commerciale, per ottimizzare il profitto, deve proporsi – come in effetti si propone - su un mercato piuttosto vasto, certamente ulteriore rispetto all’area geografica che costituisce il suo apparente bacino di utenza. Ma se, dunque, il consumatore si sposta volentieri laddove può scegliere meglio ed ottenere prezzi migliori, allora deve concludersi che l’apertura di un nuovo centro commerciale, tra l’altro localizzato nelle immediate vicinanze di un altro, comporta comunque un potenziale sviamento di clientela in grado di procurare quel nocumento che la giurisprudenza amministrativa ritiene meritevole di tutela (cfr. CdS, IV, 27.5.2002 n. 2921)” (così, testualmente, Tar Veneto, sent. cit.; sulla sussistenza di legittimazione e interesse a impugnare un’autorizzazione per la ripartizione interna delle superfici commerciali di un parco commerciale, in capo a soggetti titolari di esercizi commerciali al dettaglio già operanti in un comune limitrofo, e in quanto tali titolari di una “posizione differenziata e qualificata in ordine alle censure proposte avverso i provvedimenti che comporterebbero l’apertura del Parco commerciale, il quale, per le sue dimensioni, si porrebbe in diretta concorrenza con la propria attività, sottraendo quote di mercato attualmente disponibili e pregiudicando altresì le prospettive di sviluppo e di espansione delle loro imprese” , v. Tar Veneto, sez. III, sent. n. 449 del 2009);
-i prodotti venduti dal Gabriel e dal Ghiotto corrispondono a quelli che, di norma, vengono “messi o rimessi in circolo”, ex art. 12 della l. reg. n. 15/04, negli outlets. In particolare, se sulla commercializzazione di capi d’abbigliamento e di accessori di abbigliamento da parte del Gabriel, come da parte di gran parte delle ditte già insediate nell’outlet, non occorre spendere soverchie parole, con riferimento alla posizione del Ghiotto, la cui autorizzazione commerciale consente la vendita di prodotti foto –cine –ottici, non appare inutile rilevare che in essi rientra anche quella occhialeria di firma che, generalmente, viene commercializzata, a prezzi ridotti, negli outlets;
-quanto al rilievo secondo cui il difetto di interesse al ricorso andrebbe correlato al fatto che l’outlet non potrebbe fare concorrenza alle attività dei ricorrenti, potendo in esso commercializzarsi soltanto la produzione in eccesso, l’invenduto e la fine serie, e restando perciò esclusa la vendita dei beni di nuova produzione, è appena il caso di rilevare che anche i negozianti al dettaglio praticano, in regime di saldi, la vendita dell’invenduto e del fine serie, con un ribasso dei prezzi, però, che non è avvicinabile agli abbattimenti effettuati negli outlets. Anzi, la diretta concorrenza tra attività appare ancora più facilmente prevedibile se si considera che mentre gli esercizi dei ricorrenti seguono l’ordinaria filiera commerciale, la particolare forma di vendita dell’outlet consente un significativo abbattimento del prezzo dei prodotti “messi o rimessi in circolo”.
-in definitiva, l’interesse che ha mosso il Gabriel e il Ghiotto a ricorrere contro l’apertura dell’outlet si concreta nell’evitare il rischio di un probabile sviamento di clientela a danno, appunto, dei negozi gestiti dai ricorrenti stessi;
-quanto ai peculiari profili sui quali si regge l’eccezione di inammissibilità, per difetto di legittimazione e interesse, formulata dalla controinteressata Immobiliare Sassi, esattamente il difensore dei ricorrenti osserva che il principio concorrenziale non può tradursi nella inoppugnabilità di una iniziativa commerciale asseritamente illegittima da parte di chi, proprio a causa dell’iniziativa stessa, rischia di subire uno sviamento della propria clientela; rischio di sviamento tanto più serio se, come si è appena visto, alla forma di vendita dell’outlet si accompagnano significativi abbattimenti dei prezzi praticati in via ordinaria. A ben guardare, è proprio la differenza tra l’ordinaria vendita al dettaglio e la “vendita in outlet” che rende assai probabile il concretizzarsi di quello sviamento di clientela sul quale si fonda l’interesse a ricorrere dei due commercianti.
1.2.- Sulla eccepita tardività del ricorso introduttivo.
Ad avviso della società controinteressata il ricorso sarebbe tardivo, in quanto notificato il 28 novembre 2006, vale a dire il girono dopo la scadenza del termine decadenziale che, sempre secondo la società Immobiliare Sassi, decorrerebbe dal giorno in cui si tenne la Conferenza di servizi (28 settembre 2006).
L’eccezione è infondata e va respinta.
Indipendentemente dalla soluzione da dare al quesito se il “dies a quo” per l’impugnazione vada individuato nel giorno della riunione della conferenza di servizi (non viene però contestato che il Gabriel e il Ghiotto abbiano avuto notizia dell’esito della conferenza di servizi solo in seguito a domanda di accesso agli atti), e anche a voler far decorrere il termine per la impugnazione “de qua” dalla data della seduta della conferenza medesima, il ricorso dovrebbe ritenersi –e va, difatti, ritenuto- tempestivo giacché parte ricorrente ha consegnato l’originale dello stesso agli ufficiali giudiziari il 27 novembre 2006, con richiesta di notifica “in die”. L’ufficiale giudiziario ha proceduto alla notifica mediante consegna a mani, e “in die”, alla Regione Veneto e alla Provincia di Venezia il che, comunque, basterebbe per considerare tempestivo il ricorso, come prevede l’art. 21, comma 1, della l. n. 1034 del 1971, mediante spedizione a mezzo del servizio postale al Comune a alla controinteressata.
A ciò va aggiunto che con sentenza n. 447 del 2002 la Corte costituzione ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, “in parte qua”, del combinato disposto dell’art. 149 c.p.c. e dell’art. 4, comma 3, della l. n. 890 del 1982, cosicché il ricorso è tempestivo se è stato consegnato all’ufficiale giudiziario entro il termine di decadenza, come è accaduto nel caso in esame, e ciò anche se la consegna del ricorso al destinatario sia avvenuta, insieme all’espletamento degli incombenti di competenza esclusiva dell’ufficiale giudiziario, in un momento successivo.
1.3.-Sull’eccezione, formulata da BMG Noventa, di sopravvenuta carenza di interesse al ricorso, fondata sulla circostanza che il 22 dicembre 2008 si è tenuta una riunione della conferenza di servizi al termine della quale sono state assunte decisioni ulteriori sull’outlet “de quo”, il collegio osserva quanto segue.
In punto di fatto, dagli atti e dai documenti prodotti in giudizio è emerso che nel corso della conferenza di servizi del 22 dicembre 2008 è stato deliberato, a maggioranza, e con il voto contrario della Regione, di rilasciare un’autorizzazione legittimante l’ampliamento del parco commerciale fino a 10.143 mq. di superficie di vendita nel settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie, con una distribuzione del parco tra 5 medie strutture di vendita e 82 esercizi di vicinato. Nel complesso, quindi, la conferenza di servizi ha autorizzato lo sviluppo del contestato insediamento commerciale fino al raggiungimento di una superficie di vendita di 18.000 mq., distribuita tra 140 esercizi commerciali, dei quali 33 organizzati in 5 centri commerciali e i restanti 107 suddivisi in 93 esercizi di vicinato e 14 medie strutture di vendita.
In diritto, l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse alla decisione, fondata su quest’ultimo, recente passaggio procedimentale, è infondata poiché come osserva, in maniera condivisibile, la difesa dei ricorrenti, il provvedimento con il quale è stato autorizzato l’ampliamento ulteriore del parco commerciale non prevede affatto una modifica correttiva delle attività procedimentali svolte in precedenza, ma permette invece l’ampliamento della struttura, e solo questo, assumendo a presupposto della decisione la legittimità delle precedenti deliberazioni prese nelle conferenze di servizi.
Poiché, in altre parole, la legittimità dell’ultimo ampliamento si regge sul presupposto, logico e giuridico, della legittimità dell’atto autorizzativo originario e delle modifiche e integrazioni intervenute successivamente e puntualmente impugnate in giudizio, ben può ritenersi che il provvedimento sopraggiunto da ultimo, anziché esplicare efficacia sanante sul pregresso, sia destinato a rimanere esso stesso automaticamente travolto per effetto dell’eventuale annullamento giudiziale dei provvedimenti che ne rappresentano il presupposto.
1.4.-Ai fini del rigetto dell’eccezione di inammissibilità del giudizio per difetto di capacità lesiva delle deliberazioni emanate in sede di conferenza di servizi è appena il caso di richiamare, anche ai sensi dell’art. 9 della l. n. 205 del 2000, il “precedente conforme”, sul punto, costituito dalla sentenza della sezione n. 449 del 2009 (v. punti 1.5., 1.6. e 2. ), con la quale è stata riconosciuta, ai ricorrenti, proprio in quanto commercianti, l’esistenza di un interesse concreto e attuale a impugnare gli atti, anche prodromici, rispetto alla attivazione effettiva del parco commerciale, ed è stata sottolineata l’impugnabilità, in via diretta e autonoma, della determinazione assunta nella conferenza di servizi ai sensi dell’art. 20 della l. reg. n. 15 del 2004.
Le decisioni assunte nelle conferenze di servizi indette ai sensi dell’art. 20 della l. reg. n. 15 del 2004 devono ritenersi immediatamente lesive dell’interesse dei ricorrenti e sono quindi impugnabili in giudizio in via diretta e autonoma.
L’infondatezza dell’eccezione suesposta porta con sé il rigetto dell’eccezione di difetto di interesse anche a impugnare il permesso di costruire, eccezione sollevata muovendo dall’assunto secondo cui “l’interesse al gravame avverso (il permesso di costruire) appare inscindibilmente collegato e dipendente da quello commerciale”.
1.5.-Circa l’eccezione, formulata dalla difesa comunale, di inammissibilità di tutti i ricorsi per motivi aggiunti, “per difetto di mandato “ad litem” e per l’avvenuta notifica irrituale dei motivi aggiunti medesimi al domicilio eletto nel controricorso principale, anziché presso la sede dell’Amministrazione, va premesso quanto segue:
-nella memoria del 19 settembre 2008 (ma v. anche la memoria 9 aprile 2009), la difesa comunale sostiene che “il mandato a difendere, così come quello a rappresentare in giudizio, deve ritenersi riferito ai soli provvedimenti conosciuti al momento del conferimento del mandato medesimo, occorrendo la rinnovazione dello stesso ogniqualvolta si impugnino nuovi e diversi provvedimenti, ancorché connessi, e ancorché si utilizzi l’istituto processuale dei motivi aggiunti di nuovo conio, e ciò perché il mandato “ad litem”, comportando l’assunzione di un impegno di natura contrattuale, richiede forma scritta e oggetto definito con conferimento di poteri determinati e precisati nella scrittura medesima” . Da ciò discenderebbe l’inammissibilità dei ricorsi per motivi aggiunti proposti senza il conferimento di una procura nuova rispetto a quella posta a margine del ricorso introduttivo del 24 novembre 2006;
-la difesa comunale soggiunge che “non può presumersi a favore del legale costituito in giudizio un potere rappresentativo che vada al di là della controversia instaurata, nel senso di presumere l’estensione a un oggetto e a un “thema decidendum”, non solo diverso, ma nemmeno conoscibile al momento del conferimento del mandato”; con la conseguenza che illegittimamente la notifica dei ricorsi per motivi aggiunti sarebbe stata effettuata al Comune di Noventa di Piave, presso il legale costituitosi in giudizio nella procedura instaurata in precedenza, presupponendo un potere rappresentativo dello stesso che questi non poteva avere.
L’eccezione su esposta è infondata e va respinta. E infatti:
-“la riforma del processo amministrativo introdotta 21 luglio 2000 n. 205, rafforza l'idea di un istituto (motivi aggiunti impugnatori) che è costruito come mezzo per integrare le censure prospettate dal ricorrente, non solo nei confronti del primo atto impugnato, ma anche degli ulteriori atti di esercizio del potere amministrativo che incidano sulla situazione soggettiva portata all'attenzione del giudice. Tanto è vero che l'art. 21, comma 8, della l. 6 dicembre 1971 n. 1034, nel testo modificato dall'art. 1, comma 1, della l. 21 luglio 2000 n. 205, circoscrive la possibilità di estendere l'ambito dell'impugnazione non solo all'esistenza di un giudizio tra le stesse parti ma anche all'esistenza di provvedimenti " connessi all'oggetto del ricorso stesso"; limitazione quest'ultima che non avrebbe senso se lo scopo perseguito dal legislatore fosse solo quello di apprestare " uno strumento di concentrazione processuale". Pertanto, la conclusione cui il collegio è pervenuto con la decisione n. 3717 del 2002, rappresentano il logico corollario della concezione dell'istituto dei motivi aggiunti di tipo impugnatorio come mezzo finalizzato ad arricchire il thema decidendum, così come prospettato con l'atto introduttivo del giudizio e definito dall'interesse legittimo dedotto in giudizio. In questo ambito, non trattandosi di un ricorso formalmente autonomo, il ricorrente non è tenuto a conferire un incarico ad hoc al proprio legale per estendere l'impugnazione ai provvedimenti oggettivamente connessi ed introdurre ulteriori motivi rispetto a quelli dedotti con il ricorso originario” (così Cons. St., sez. V, sent. n. 213 del 2007; nello stesso senso Cons. St., IV, n. 298 del 2008, IV, n. 5354 del 2007, V, n. 3717 del 2002 e V, n. 2080 del 2006). Insomma, per proporre un ricorso per motivi aggiunti contro un provvedimento distinto rispetto a quello impugnato con il ricorso principale, ma ad esso equivalente quanto a lesione degli interessi del ricorrente, non vi è necessità di una rinnovata procura al difensore;
-quanto al luogo di notificazione dei ricorsi per motivi aggiunti basta osservare che, “una volta radicato il contraddittorio nei confronti dell'Amministrazione e una volta che questa si sia costituita in giudizio a mezzo di difensore, correttamente i motivi aggiunti sono notificati presso il difensore stesso nel domicilio eletto; i motivi aggiunti, infatti, si configurano come mezzo di ampliamento del giudizio in corso e, quindi, come atto del giudizio stesso; sicché è da ritenersi comunque legittima e rituale la loro notificazione effettuata presso il predetto domicilio eletto dalla parte intimata anziché in quello risultante dalla relata di notifica dell'atto introduttivo del giudizio (cfr. Sezione V, 6 luglio 2002, n. 3717); la formale conoscenza dell'atto da parte del difensore costituito consente, infatti - per il tramite della già avvenuta instaurazione del rapporto defensionale - di far conoscere, con tempestività, alla stessa Amministrazione l'atto contenente i motivi aggiunti e, quindi, di approntare idonei mezzi difensivi e, comunque, di impartire al difensore idonee direttive.
In tal modo viene soddisfatto, del resto, anche un naturale principio di economia processuale volto, in effetti, nella logica anche della legge n. 205 del 21 luglio 2000, a far si che - una volta instaurato il rapporto processuale teso ad investire atti amministrativi o rapporti insorti tra privato e amministrazione - ogni ulteriore determinazione assunta dalla stessa amministrazione, legata da un rapporto di consequenzialità logico-giuridica con gli atti o rapporti precedenti, possa essere gravata nell'ambito dello stesso rapporto processuale in precedenza instaurato; con la possibilità, quindi, di notificare i motivi aggiunti anche direttamente presso il difensore domiciliatario dell'Amministrazione, attesa l'intervenuta instaurazione di un rapporto professionale tra tali due soggetti, funzionale alla risoluzione di un contenzioso che va rivisto, dopo l'intervento del legislatore del 2000, con il carattere di unitarietà pur se teso a investire nuove determinazioni amministrative” (Cons. St., sez. V, sent. n. 831 del 2007; conf. CdS, IV, n. 5354 del 2007). La notifica dei ricorsi per motivi aggiunti eseguita al domicilio eletto, dal Comune resistente, presso il suo difensore, deve dunque ritenersi legittima e regolare.
1.6.-Ugualmente infondata e da respingere è l’eccezione di inammissibilità dei ricorsi proposti, per carenza di interesse, sollevata dalle parti resistenti. In particolare Immobiliare 2 (ora BMG Noventa) fonda l’eccezione in parola sulla mancata impugnazione –unitamente al verbale della conferenza di servizi del 28 settembre 2006- della variante urbanistica, approvata con deliberazione della Giunta regionale n. 2909 del 2002, che ha qualificato l’area sulla quale insiste il parco commerciale oggetto di causa come ZTO D2, così destinandola ad attività commerciali.
Dagli atti di causa si ricava infatti che i ricorrenti non hanno interesse a contestare la conformità a legge della contestata variante che, come prevede l’art. 18, comma 3, della l. reg. n. 15 del 2004, costituisce soltanto “il presupposto urbanistico per il rilascio dell'autorizzazione commerciale alla nuova apertura, all'ampliamento o al trasferimento di grandi strutture di vendita o dei parchi commerciali”.
In realtà la conformità, sotto il profilo urbanistico, dell’insediamento commerciale, che i ricorrenti non hanno contestato, non rappresenta che uno dei presupposti per poter autorizzare, in sede di conferenza di servizi, l’apertura di un parco commerciale. Altro presupposto essenziale, di cui i ricorrenti lamentano la carenza, è la rispondenza dell’insediamento commerciale alla programmazione commerciale e alla disciplina regionale del commercio. In altre parole, l’interesse dei ricorrenti è di censurare le p. a. che hanno assentito il progetto del parco commerciale di Noventa di Piave in asserita violazione della disciplina in materia di programmazione commerciale stabilita dalla l. reg. n. 15 del 2004. Negli atti di causa correttamente si osserva che, in una prospettiva di accoglimento del ricorso e dei motivi aggiunti, l’esistenza della suddetta variante urbanistica non lederebbe, di per sé, l’interesse dei ricorrenti, dato che a essere lesiva non è la destinazione commerciale dell’area, ma la realizzazione, sulla stessa, di un parco commerciale -outlet.
1.7.-Circa l’adombrata nullità del ricorso introduttivo, in relazione alla impossibilità di procedere alla ricostruzione della “causa petendi” (v. memoria Immobiliare Sassi 3 aprile 2007, pag. 19), è appena il caso di osservare che la “causa petendi”, intesa come ragione o titolo posto a fondamento della domanda presentata al giudice adito, va individuata nella enunciazione dei motivi di ricorso; motivi di gravame che, nella fattispecie, la lettura dell’atto introduttivo consente agevolmente di identificare.
1.8. – Comune e controinteressata eccepiscono poi la inammissibilità degli interventi “ad adiuvandum” spiegati dalle società Dal Ben Tre e Andreuzza Sport.
Si sostiene che entrambe le società avrebbero un interesse diretto all’annullamento degli atti impugnati e che, quindi, le società stesse avrebbero dovuto proporre ricorsi autonomi avverso l’apertura dell’outlet.
In particolare Andreuzza Sport, che gestisce un esercizio di vendita di articoli sportivi nel comune di Noventa di Piave, ritiene che l’attivazione di un outlet a Noventa arrecherebbe un grave danno a causa dello sviamento della clientela che l’esercizio subirebbe dalla apertura al pubblico di una struttura commerciale di siffatto genere (v. l’atto di intervento del 24 luglio 2007). L’interveniente soggiunge che l’intervento “ad adiuvandum” sarebbe pienamente ammissibile in quanto sorretto da un interesse di fatto a ostacolare l’attivazione di una struttura che turberebbe lo sviluppo della locale attività commerciale.
A giudizio del collegio, l’intervento “ad adiuvandum” di Andreuzza Sport è inammissibile poiché la società, attraverso lo strumento dell’intervento adesivo, intende far valere non un interesse di mero fatto ma un interesse personale e diretto all’annullamento dei provvedimenti impugnati; interesse che può farsi valere solo mediante la proposizione del ricorso in via principale (conf., “ex multis”, Tar Lazio, sezione III, sent. n. 5140 del 2007, secondo cui “nel processo amministrativo l'intervento ad adiuvandum può essere proposto solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale e non anche da un soggetto portatore di un interesse che lo abilita a proporre ricorso in via principale (Cons.Stato, IV Sez., 1 marzo 2006 n. 1002; T.A.R. Pescara 22 settembre 2006 n. 567; T.A.R. Liguria, I Sez., 13 luglio 2006 n. 828); è, pertanto, inammissibile l'intervento da parte di coloro che vantano un interesse personale e diretto all'annullamento del provvedimento impugnato dalla parte ricorrente giacché, diversamente opinando, sarebbero elusi i termini perentori di decadenza (Cons. Stato, IV Sez. IV, 17 luglio 2000 n. 3928; V Sez., 26 gennaio 1999 n. 54; 17 ottobre 1995, n. 1434; VI Sez., 27 maggio 1988 n. 725)”.
Nel caso in esame, dagli atti prodotti in giudizio risulta che Andreuzza Sport si trova in una posizione non diversa da quella dei ricorrenti Gabriel e Ghiotto, anche per quanto riguarda il criterio territoriale della cosiddetta “vicinitas” (anzi, il negozio di articoli sportivi si trova proprio a Noventa).
Da ciò consegue che, anche in considerazione del fatto che le merci vendute dalla interveniente corrispondono a quelle che, di norma –e, a quanto consta, nel caso concreto- , sono “messe o rimesse in circolo” , ai sensi dell’art. 12 della l. reg. n. 15/04, negli outlets, Andreuzza Sport avrebbe dovuto impugnare i provvedimenti direttamente lesivi del proprio interesse con ricorso principale proposto entro il termine decadenziale.
Sulla medesima questione, la posizione della interveniente Dal Ben Tre è più incerta.
La difesa della interveniente sottolinea, correttamente, che la grande struttura di vendita di cui è titolare, nel comune di Monastier (TV), ricade in un’area sovracomunale diversa da quella ove è prevista, ed è stata poi realizzata, la messa in funzione dell’outlet; l’esercizio “di circa 6000 mq.” si trova in un diverso bacino d’utenza, come qualificato dall’art. 5 e dall’Allegato A della l. reg. n. 15/04.
Se così è, appare in effetti quantomeno dubbio che, alla luce del criterio territoriale della “vicinitas” e del parametro relativo alla vendita di prodotti del medesimo “settore merceologico” (in senso atecnico: il collegio sa che dopo il c. d. “decreto Bersani” del 1998 i settori merceologici in senso proprio sono solo due, l’alimentare e il non alimentare), la Dal Ben Tre possa qualificarsi come “concorrente diretta” dell’outlet di Noventa, dal che discenderebbe la inammissibilità dell’intervento “ad adiuvandum” a causa dell’obbligo di impugnazione diretta dei provvedimenti in epigrafe indicati con ricorso da proporre in via principale (anche se l’equazione secondo la quale non vi sarebbe interesse diretto a ricorrere in ogni caso in cui la struttura di vendita che “reagisce” alla apertura di un outlet si trovi all’esterno dell’area sovracomunale configurabile come bacino d’utenza ex Allegato A alla l. reg. n. 15/04 anche, ad esempio, se si trova vicino al confine dell’area stessa, appare tutt’altro che incontrovertibile; sul punto cfr. Cons. St. n. 1032 del 2009).
In modo plausibile, però, la difesa della Dal Ben Tre evidenzia che le dimensioni della struttura, la novità della tipologia di vendita effettuata nell’outlet oltre, ovviamente, al fatto che Dal Ben Tre propone la vendita di marchi che coincidono con quelli usualmente smerciati negli outlets già esistenti e, a quanto risulta, anche in quello di Noventa, sono elementi che, verosimilmente, influiranno sui volumi delle vendite della stessa Dal Ben Tre, “tanto da farle temere un calo consistente degli stessi”.

Concludendo su questo punto il collegio, pur non nascondendosi l’esistenza di profili di incertezza della questione, ritiene di poter affermare che Dal Ben Tre è titolare di un interesse, per dir così, di “intensità” tale da legittimare la proposizione di un atto di intervento “ad adiuvandum” nel presente giudizio; di un interesse analogo a quello dei ricorrenti ma privo della consistenza richiesta per imporre l’impugnazione dei provvedimenti lesivi mediante la proposizione di un ricorso principale.
2.1-Nel merito, con la censura sub 1) del ricorso introduttivo si rileva che, in sede di domanda di autorizzazione all’apertura di un parco commerciale –outlet, è stata chiesta l’autorizzazione all’esercizio di attività di tipologia mista, ovvero alimentare e non alimentare (cfr. art. 7, comma 8, della l. reg. n. 15/04), e che la conferenza di servizi, nell’accogliere la istanza della Immobiliare Sassi, ha autorizzato l’apertura di un parco commerciale –outlet destinato a ospitare esercizi del settore misto, ovvero del settore alimentare e non alimentare, ex art. 7, comma 8, cit., per una superficie netta di vendita complessiva di mq. 3967. Senonché, ad avviso dei ricorrenti la domanda esaminata dalla conferenza di servizi e avente a oggetto, lo si ripete, l’apertura di un parco commerciale –outlet, andava respinta in quanto l’art. 12, comma 1, della l. reg. n. 15/04, non consente che negli outlets sia esercitato il commercio di prodotti alimentari.
La censura è infondata e va respinta.
L’art. 7, comma 8, della l. reg. n. 15/04 prevede che “per settore misto si intende il settore comprensivo dei prodotti alimentari e non alimentari; la ripartizione interna della superficie di vendita tra le due merceologie è nella disponibilità del titolare dell'autorizzazione commerciale…”.
Come si è già detto, l’art. 12, comma 1, l. reg. cit. sancisce che gli outlets sono forme di vendita di prodotti non alimentari.
Ciò premesso, il collegio ritiene che la difesa comunale colpisca il segno là dove osserva che l’aver attinto alla disponibilità di contingente del settore misto, pur nell’intento di non attivare una struttura di vendita di prodotti alimentari, non comporta la violazione del citato art. 12, comma 1 giacché, come dispone il sopra trascritto art. 7, comma 8, la ripartizione interna della superficie di vendita tra i prodotti del settore alimentare e di quello non alimentare “è nella disponibilità del titolare dell’autorizzazione commerciale”.
In altre parole, il contingente misto può essere destinato, a discrezione del titolare dell’autorizzazione commerciale, a entrambi i settori merceologici, a quello alimentare e a quello non alimentare, ovvero all’uno piuttosto che all’altro, senza alcuna riserva obbligatoria di superficie a favore dell’uno o dell’altro.
Quando la programmazione regionale in materia di esercizi di vendita ha destinato una certa quantità di superficie al settore merceologico misto, con pieno affidamento, alla iniziativa economica privata, della scelta sul se attivare, o no, un punto vendita di prodotti alimentari (la libertà nella ripartizione interna delle superfici tra i settori, precisa la difesa comunale, implica anche la facoltà di optare per l’azzeramento della superficie di vendita per l’uno o l’altro settore), ciò ha voluto significare che non si è ritenuto, e tuttora non si ritiene, sussistente un interesse pubblico meritevole di tutela a cha sia garantita in maniera necessaria l’attivazione di punti vendita di un determinato settore merceologico anziché di un altro nei settori misti: la relativa scelta è stata rimessa alle peculiari esigenze del mercato, vale a dire alla libera valutazione del titolare dell’autorizzazione commerciale.
Del resto, se il legislatore regionale avesse voluto obbligare il titolare dell’autorizzazione commerciale per il settore misto a riservare una superficie di vendita minima, o non trascurabile, al settore alimentare, o a quello non alimentare, avrebbe usato espressioni apposite, anziché stabilire che “la ripartizione interna della superficie di vendita tra le due merceologie è nella disponibilità del titolare dell’autorizzazione commerciale”, così legittimando la libertà di scelta del titolare dell’autorizzazione in base a ragioni di convenienza.
Quasi inutile aggiungere che, mente nulla osta a che il contingente che la programmazione regionale riserva al settore misto sia assorbito per intero da una iniziativa economica che non preveda l’attivazione di alcun punto vendita del settore alimentare, la richiedente non potrebbe essere autorizzata a vendere, sotto forma di outlet, prodotti alimentari.
2.2.-Con la censura sub 2), concernente violazione dell’art. 12, comma 2, della l. reg. n. 15/04, i ricorrenti sottolineano che:
-il citato art. 12, comma 2, prevede (o, per essere più esatti, nella formulazione vigente il 28 settembre 2006 prevedeva) che “quando la somma delle superfici di vendita superi i limiti dimensionali massimi di cui all'articolo 7, comma 1, lettere a) e b)”, gli outlet devono avere una distanza fra loro, in linea d'aria, non inferiore a cento chilometri;
-nella seduta del 28 settembre 2006 la conferenza di servizi, dopo avere autorizzato l’apertura di un parco commerciale –outlet a Roncade, vale a dire a una distanza di circa 15 km. dall’outlet di Noventa, per una superficie di vendita di circa 11.300 mq., non avrebbe potuto approvare la domanda della Immobiliare Sassi, in quanto avente a oggetto un outlet, parimenti eccedente i limiti dimensionali massimi indicati dal citato art. 12, comma 2, da attivare a pochi km. di distanza dall’outlet autorizzato a Roncade;
-l’art. 3 del d. l. n. 223 del 2006, conv. , con modificazioni, dalla l. n. 248 del 2006, ha previsto l’abrogazione delle prescrizioni riguardanti le distanze minime tra attività commerciali della stessa tipologia, e il terzo comma dello stesso articolo sancisce l’abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari statali in contrasto con la prescrizione anzidetta. Tuttavia, sostengono i ricorrenti, “l’indicata abrogazione non colpisce certo le disposizioni contenute nelle leggi regionali: tant’è che il quarto comma del menzionato art. 3 prevede che le regioni devono, entro il 1° gennaio 2007, adeguare alla citata disciplina statale le leggi e i regolamenti regionali eventualmente con essa contrastanti”. Né –proseguono i ricorrenti- la conferenza di servizi avrebbe potuto disapplicare la norma di legge regionale sulla distanza non inferiore a 100 km., giacché la disapplicazione delle norme interne che fissano distanze minime tra esercizi commerciali è possibile solo ove esse siano interpretate e applicate in funzione della limitazione della concorrenza, non certo quando, come avviene nel caso in esame, esse siano funzionali a garantire interessi pubblici quali quelli della sicurezza del traffico e della ordinata circolazione, ovvero della non congestione del traffico veicolare su una rete viaria non idonea a supportarlo.
Ciò detto, il collegio è prima di tutto dell’avviso che la censura sopra riassunta debba ritenersi superata alla luce della sopravvenuta entrata in vigore della l. reg. 16 agosto 2007, n. 21, che ha soppresso il limite dei 100 km. di distanza tra gli outlets.
A questo proposito il collegio giudica condivisibile il rilievo difensivo della società controinteressata là dove si osserva che come, in nome dei principi di economia dei mezzi giuridici e di conservazione degli atti, l’art. 21 –octies della l. n. 241/90, a determinate condizioni, esclude che provvedimenti, astrattamente annullabili, possano essere caducati, così, a maggior ragione, non possono essere posti nel nulla tutti quei provvedimenti che, pur se assunti in violazione di legge, sono oggi conformi alle mutate prescrizioni normative. “Diversamente opinando, si perverrebbe a una metodica che richiederebbe un doppio passaggio (annullamento dell’atto per carenza di un presupposto e successiva rivalutazione della medesima vicenda con esito favorevole per la medesima parte) del tutto superfluo e contrario alla logica dell’economia processuale”.
Con riferimento a una vicenda per alcuni versi simile a quella odierna il Consiglio di Stato –sezione V, con sentenza n. 5214 del 2004 ha chiarito che “conviene valutare … alla stregua di questa evenienza gli effetti di una pronuncia che, fondandosi sul mero dato formale, ritenesse che, al momento in cui era assentita la concessione edilizia “de qua” sussisteva comunque un elemento di illegittimità (la carenza di sagoma limite) reintrodotta solo in seguito… il giudizio di legittimità dovrebbe, in ogni caso, concludersi con un annullamento sul rilievo della originaria carenza di tutti i presupposti per l’adozione dell’impugnato provvedimento… se lo “jus aedificandi” … si forma anche in seguito, ma pur sempre nell’ambito di una procedura “lato sensu” di riesame, non v’è ragione per negare al titolo così formato la sua piena validità indipendentemente dalla sua originaria deficienza. Diversamente opinando, si perverrebbe a una metodica che richiederebbe un doppio passaggio (annullamento dell’atto per carenza di un presupposto e successiva rivalutazione della medesima vicenda con esito favorevole per la medesima parte) del tutto superfluo e contrario alla logica dell’economia processuale. Sotto questo profilo, deve darsi atto che il provvedimento non soffre più di illegittimità …”.
Anche se la richiamata sentenza del Consiglio di Stato riguardava una controversia devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, si trattava pur sempre di un giudizio di natura impugnatoria avente a oggetto un provvedimento autoritativo: di qui l’adattabilità del precedente giurisprudenziale alla fattisopecie odierna.
In ogni caso, anche a prescindere dalla considerazione su esposta che, peraltro, risulta decisiva, il collegio condivide la conclusione della difesa comunale là dove si rimarca che la prescrizione della legge regionale sulla distanza minima tra gli outlet non inferiore ai 100 km. è passibile di disapplicazione dal giudice nazionale, e ciò in ossequio a un orientamento della giurisprudenza della Corte costituzionale (v. sent. n. 389 del 1989 e numerose altre) e della CGCE che ben può dirsi consolidato, il che esime il collegio dall’aggiungere citazioni specifiche.
E infatti:
-le norme comunitarie che disciplinano la concorrenza trovano applicazione diretta all’interno degli Stati membri con l’obbligo, per il giudice nazionale, di disapplicare le norme interne che contrastano con le prime;
-se l’abrogazione esplicita disposta dall’art. 3, comma 3, del d. l. n. 223 del 2006, conv. in l. n. 248 del 2006, è stata circoscritta alle disposizioni legislative, e regolamentari, statali di disciplina del settore della distribuzione commerciale incompatibili con le disposizioni dell’ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza, ciò è avvenuto perché il legislatore statale non poteva emanare una analoga disposizione abrogatrice nei confronti di norme di legge regionali in materia di commercio, vale a dire in una materia che, dalla modifica del Titolo V della Costituzioen in poi, appartiene alla competenza delle regioni (cfr. art. 117, comma 4, Cost.). Detto altrimenti, la legge statale non poteva disporre l’abrogazione espressa di norme di legge regionale in una materia in cui la prima difetta ormai di competenze;
-d’altra parte, è anche vero che il decreto c. d. Bersani del 2006 e la legge di conversione contengono disposizioni che, pur se destinate a inserirsi nell’ambito del commercio, dettano regole in una materia, quella della tutela della concorrenza, che è espressione di competenza esclusiva dello Stato (cfr. art. 117, comma 2, lett. e) Cost.), ferma l’osservanza della disciplina comunitaria direttamente applicabile all’interno degli Stati membri. Non è certo priva di significato la circostanza che il citato art. 3 del d. l. n. 223 del 2006 si intitoli “regole di tutela della concorrenza nel settore della distribuzione commerciale”;
-da ciò consegue che l’obbligo sancito, dal citato art. 3, comma 4, a carico di regioni ed enti locali, di adeguare le proprie disposizioni legislative e regolamentari –tra l’altro- sulle distanze tra gli esercizi, entro il 1° gennaio 2007, “non può significare il permanere, fino a tale data, dei limiti derivanti dal rispetto delle distanze stabilite in sede locale, tratandosi di norme direttamente confliggenti con disposizioni dell’ordinamento comunitario di immediata applicazione e, come tali, prevalenti su ordinamenti di rango inferiore, nella gerarchia delle fonti, eventualmente difformi” (così, con riguardo a una vicenda sotto alcuni aspetti analoga a quella odierna, Tar Piemonte, sez. I, sent. n. 1322 del 2007);
-in definitiva l’art. 3, comma 4, del decreto Bersani, nell’obbligare le Regioni ad adeguare la propria normativa al divieto di restringere la concorrenza stabilendo l’osservanza di distanze minime obbligatorie tra esercizi commerciali, risponde alla sola esigenza di “depurare il diritto interno da eventuali incompatibilità o disarmonie con le precedenti norme comunitarie” (C. cost. , n. 389/89): il limite di distanza dei 100 km. ex l. reg. n. 15/04 non può più ritenersi sussistente, e se ritenuto sussistente andava e va disapplicato, poiché esso contrasta con le regole comunitarie in materia di tutela della concorrenza.
2.3.-Con il primo ricorso per motivi aggiunti i ricorrenti, oltre a ribadire e sviluppare la censura, sopra illustrata – e rigettata- al p. 2.1., concernente la violazione degli articoli 7, comma 8, e 12, comma 2, della l. reg. n. 15/04, deducono “violazione dell’art. 16, comma 2, della l. reg. n. 15 del 2004 ed eccesso di potere per falsità di presupposto e difetto di istruttoria”.
In sintesi, si sostiene l’applicabilità, al parco commerciale –outlet “de quo”, avente una superficie complessiva di vendita di 3.966 mq., del’art. 16, comma 2, lett. a) della l. reg. n. 15/04, norma che stabilisce che per le grandi strutture di vendita dei settori alimentare e misto deve essere prevista un’ area destinata a parcheggio effettivo per i clienti non inferiore a 1,80 mq. / mq. della superficie di vendita, laddove, per “parcheggio effettivo” (v. art. 16, comma 3, l. reg. cit.), si intende “la superficie individuata per la sosta dei veicoli con esclusione della viabilità di accesso e distribuzione”.
Nel verbale di conferenza di servizi l’estensione dell’area a parcheggio è indicata in mq. 7.141. Si tratta, secondo i ricorrenti, di una indicazione di parcheggio effettivo non veritiera poiché il parcheggio effettivo previsto nel progetto edilizio approvato dal comune è di soli 6.375 mq.
Infatti, nella Tavola 6 del progetto assentito dal Comune risultano inclusi, nell’area di parcheggio effettivo, anche gli spazi occupati dalla viabilità di distribuzione tra i posti auto, il che contrasta con la definizione di “parcheggio effettivo” data dal sopra trascritto art. 16, comma 3. Ad avviso dei ricorrenti lo spazio effettivo di parcheggio, da individuare sommando le superfici dei singoli posti –auto, ammonta a soli 6.375 mq. , corrispondenti a 510 posti –auto aventi ciascuno una superficie di 12,5 mq. .
Da ciò, rilevano i ricorrenti, discende l’illegittimità sia del permesso di costruire n. 92 del 2006, sia del verbale di conferenza di servizi del 28 settembre 2006, provvedimenti fondati su un falso presupposto il quale costituisce, a sua volta, diretta conseguenza di una istruttoria incompleta.
Le controparti eccepiscono in primo luogo la tardività della censura e in secondo luogo la inamissibilità della doglianza per le ragioni che seguono:
-prima di tutto, la inammissibilità della impugnazione del permesso di costruire viene rilevata per la impossibilità di ipotizzare, in capo ai ricorrenti, un interesse a contestare la legittimità di una costruzione avente destinazione commerciale la quale, di per sé, nessuna lesione può arrecare all’interesse dei ricorrenti, interesse che tocca l’ambito commerciale e la relativa disciplina, e non la materia urbanistico –edilizia. Resistente e controinteressata osservano che i ricorrenti si trovano in una posizione assolutamente indifferenziata, non essendo legittimati a verificare, in sede giudiziale, l’ordinato e corretto uso dei pubblici poteri urbanistico –edilizi.
Il gravame proposto avverso il permesso di costruire, e l’interesse con esso prospettato, appaiono collegati e dipendenti con l’interesse commerciale;
-sotto un diverso profilo, viene eccepita la mancanza di uno stabile collegamento territoriale con la struttura di vendita della cui realizzazione si tratta.
Entrambe le eccezioni sono infondate e vanno respinte.
L’eccezione di tardività è priva di fondamento perché i ricorrenti hanno preso conoscenza del permesso di costruire, e degli altri atti e documenti, dopo che il Comune, con nota del 13 dicembre 2006, aveva dato risposta favorevole alla istanza di accesso agli atti presentata dai ricorrenti medesimi. La notificazione del ricorso per motivi aggiunti, avvenuta lunedì 12 febbraio 2007, dev’essere dunque ritenuta tempestiva.
Quanto alla articolata eccezione di inammissibilità, invece, va premesso, in via generale, che l’interesse a ricorrere sussiste quando è configurabile una utilità concreta che il ricorrente si ripromette di ottenere dall’accoglimento del ricorso, tenuto conto della situazione concreta nella quale il ricorrente medesimo si trova. L’interesse a ricorrere può quindi essere anche solo di natura strumentale.
Con riferimento al caso di specie, occorre considerare la stretta connessione esistente tra assenso all’apertura dell’outlet e permesso di costruire, con specifico riguardo alla dotazione minima dei parcheggi.
Appare evidente infatti che la contestazione del titolo edilizio viene fatta non tanto nei confronti del permesso di costruire in quanto tale, quanto invece perché l’accertata insufficiente dotazione di parcheggi renderebbe illegittimo il verbale della conferenza di servizi e gli atti successivi (si intende: “in partibus quibus”, fermo restando che, in modo correlativo, il reperimento di un’area a parcheggio per una determinata superficie rende legittimo il nuovo insediamento commerciale per una superficie corrispondente).
In altre parole, dalla caducazione del titolo edilizio non potrebbe non discendere la caducazione, in via consequenziale, anche se “in partibus quibus”, dei provvedimenti di carattere commerciale che, in base al principio della correlazione, trovano il loro presupposto nei primi.
Ciò posto, sulla asserita mancanza dello stabile collegamento territoriale con la struttura di vendita la cui apertura viene contestata, correttamente la difesa dei ricorrenti richiama l’ordinanza cautelare n. 869 del 2007 con la quale la II sezione di questo Tar, pronunciandosi su una vicenda sotto diversi aspetti simile a quella odierna, ha ritenuto di “non poter escludere la legittimazione ad agire in capo ai singoli commercianti ricorrenti, in quanto titolari di altri esercizi che potrebbero subire uno sviamento della propria clientela ed una riduzione dei profitti proprio dall’avvio del nuovo centro commerciale, i quali possono pertanto attivarsi, in termini strumentali per la difesa dei propri interessi, anche avverso i titoli edilizi che consentono la realizzazione delle strutture di vendita” (conf. Cons. St., sez.IV, sent. n. 4821 del 2007, Diritto, p. 3., seconda parte, sulla sufficienza del criterio dello stabile collegamento territoriale con la grande struttura di vendita della cui realizzazione si tratta, a tutela delle attività esistenti).
Dunque, nella specie legittimazione e interesse, strumentali, sussistono, e la censura va esaminata e decisa nel merito.
Nel merito, la difesa della controinteressata ritiene che la conferenza di servizi, autorizzando due medie strutture di vendita e una grande struttura, da destinare in via esclusiva alla vendita di prodotti appartenenti al settore non alimentare generico, avrebbe determinato l’applicabilità dell’art. 16, comma 2, lett. b) e d), della l. reg. n. 15/04, norme che prevedono, rispettivamente:
-lett. b) “per le grandi strutture di vendita dei settori non alimentare generico e a grande fabbisogno di superficie deve essere prevista area a parcheggio effettivo per i clienti non inferiore a 1 mq/mq della superficie di vendita ovvero non inferiore a 0,80 mq/mq della superficie lorda di pavimento”;
-lett. d) “per le medie strutture di vendita dei settori non alimentare generico e a grande fabbisogno di superficie deve essere prevista area destinata a parcheggio effettivo per i clienti non inferiore a 1 mq/mq della superficie di vendita ovvero non inferiore a 0,80 mq/mq della superficie lorda di pavimento”.
La controinteressata conclude affermando che, sulla base di un rapporto di 1/1, il fabbisogno di parcheggio effettivo per i clienti è stato ampiamente soddisfatto.
La difesa della Immobiliare Sassi aggiunge che, comunque, anche a voler considerare applicabile il parametro di 1,80 / 1, di cui al comma 2/a), l’espressione “area destinata a parcheggio effettivo” corrisponderebbe “ai soli spazi destinati agli stalli e ai relativi spazi funzionali alla manovra” (conf. circ. reg. n. 4 del 5 settembre 2005, p. 3.1.2.), con esclusione di altre aree quali, ad esempio, la superficie relativa ai percorsi pedonali, al verde, alle aiuole spartitraffico, alle postazioni per i carrelli e ai depositi di varia natura: interpretando in questo modo l’espressione “parcheggio effettivo”, la dotazione di parcheggio risultarebbe soddisfatta.
Gli argomenti addotti dalla controinteressata non persuadono il collegio.
Sotto un primo profilo, le controparti pretenderebbero di applicare gli standard urbanistici previsti per gli esercizi del settore non alimentare, mentre è pacifico che, nella seduta del 28 settembre 2006, la conferenza di servizi ebbe ad autorizzare l’apertura di un parco commerciale –da considerarsi, ai fini degli standard, come un’unica grande struttura di vendita ai sensi dell’art. 11, comma 1, della l. reg. n. 15/04- attingendo agli obiettivi di sviluppo previsti per il settore misto, in modo coerente con la domanda a suo tempo presentata dalla Immobiliare Sassi.
Da ciò discende l’applicabilità, al caso in esame, degli standard di cui all’art. 16, comma 2, lett. a) –“area destinata a parcheggio effettivo per i clienti non inferiore a 1,80 mq. / mq. della superficie di vendita”.
In secondo luogo, quanto al rinvio alla nozione di “parcheggio effettivo” fornita dalla circ. reg. n. 4/05, il collegio osserva:
-primo, che una circolare non è fonte normativa e neppure fonte di interpretazione autentica, e che va disapplicata qualora sia “contra legem”;
-secondo, che nella specie si tratta, appunto, di rilevare una disarmonia tra circolare regionale e terzo comma dell’art. 16, dato che secondo l’art. 16, comma 3, della l. reg. n. 15/04, “per parcheggio effettivo di cui al comma 2 si intende la superficie individuata per la sosta dei veicoli con esclusione della viabilità di accesso e distribuzione”, e gli spazi funzionali alla manovra sembrano coincidere con la viabilità di distribuzione che, come si è visto, la legge non fa rientrare nell’area di parcheggio effettivo.
Ciò posto, dalla Tavola 6, prodotta sub doc. 7 fasc. ric., risulterebbe comprovata una dotazione di parcheggi di 7140 mq. .
Senonché si tratta di una superficie indicata, in modo non veritiero, conformemente ai criteri –erronei- dettati dalla circolare regionale. La dotazione di parcheggi effettivi indicata nella Tavola di progetto risulta, in realtà, sovrastimata poiché nel progetto è stata computata anche la superficie destinata alla viabilità di distribuzione tra i vari “pettini” di posti –auto il che, come detto, non è consentito dall’art. 16, comma 3, della l. reg. n. 15/04.
La dotazione di aree a parcheggio effettivo, secondo quanto affermano i ricorrenti, risulta essere, allora, di soli mq. 6375 (anziché di 7140 mq), essendo pari a 510 posti –auto moltiplicato per 12,5 (mq. l’uno). L’area a “parcheggio effettivo” soddisfa dunque, in larga misura, ma non in modo completo, gli standard richiesti dal citato art. 16, comma 2, lett. a).
Da ciò discende l’illegittimità del permesso di costruire n. 92 del 26 settembre 2006 e del verbale della conferenza di servizi del 28 settembre 2006. Illegittimità, s’intende, solo parziale, e sempre che, in occasione degli ampliamenti della struttura assentiti nel 2007 e nel 2008, non sia stata reperita, secondo i criteri indicati dall’art. 16, comma 2, lett. a) , e comma 3, cit., una superficie globale a parcheggio sufficiente per giustificare la realizzazione della struttura nelle sue dimensioni definitive.
L’illegittimità soltanto parziale, anche se in una misura non del tutto trascurabile, dei provvedimenti impugnati con il ricorso per motivi aggiunti, induce il collegio a proseguire nell’esame degli altri ricorsi per motivi aggiunti proposti, con precipuo riferimento alle censure di illegittimità propria formulate dai ricorrenti stessi, e ciò anche allo scopo di verificare se possono essere individuate illegittimità più radicali, idonee a soddisfare in modo più pieno l’interesse dei ricorrenti.
Sulla delibera della conferenza di servizi del 29 maggio 2007, che avrebbe illegittimamente assentito l’ampliamento del parco commerciale –outlet, per 3412 mq. di superficie di vendita nel settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie, e per 528 mq. di superficie di vendita nel settore misto, si osserva quanto segue.
2.4.- Circa la rinnovata censura di violazione dell’art. 12 della l. reg. n. 15/04, riferita alla asserita illegittimità dell’autorizzazione relativa ai 528 mq. del settore misto, il collegio non ha che da fare richiamo alle osservazioni svolte sopra, al p. 2.1., per rigettare una identica censura.
Quanto all’asseritamente illegittimo ampliamento del parco commerciale –outlet per 3412 mq. di superficie di vendita nel settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie, va chiarito che, nella seduta del 27 giugno 2008, la conferenza di servizi ha acconsentito al cambio di destinazione della superficie di vendita, limitatamente a 3.003 mq. su 3412, dal settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie al settore non alimentare generico. La censura di “violazione dell’art. 7, comma 9, della l. reg. n. 15 del 2004 –eccesso di potere per manifesta illogicità –elusione di legge”, formulata nel terzo ricorso per motivi aggiunti, sub B), risulta quindi in gran parte superata per effetto della sopraggiunta variazione della struttura del parco commerciale.
Rimarrebbe, è vero, una astratta rilevanza della censura con riferimento ai residui 409 mq. (pari a 3412 meno 3003) di superficie di vendita riservati a esercizi del settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie.
Senonchè, il collegio ritiene manifesta la carenza di interesse dei ricorrenti, per così dire, “superstiti”, Gabriel e Ghiotto, a impugnare la delibera della conferenza di servizi chiedendone l’annullamento –oramai “in parte qua”-, dato che non si riesce a vedere quale vantaggio potrebbero ricavare i ricorrenti medesimi, titolari di esercizi di vendita di accessori per l’abbigliamento e di biancheria intima il Gabriel, e di prodotti cine –foto –ottici il Ghiotto, dall’eventuale annullamento di un atto di assenso all’ampliamento di una superficie da destinare, come prevede l’art. 7, comma 7, della l. reg. n. 15/04, alla vendita di “mobili, autoveicoli, motoveicoli, legnami, materiali edili, nautica”.
Detto altrimenti, quali che siano le superfici minime ammissibili delle strutture di vendita a grande fabbisogno di superficie, è da escludere che il rilascio delle autorizzazioni riferite ai 409 mq. di superficie di vendita destinata al settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie possa determinare un qualsivoglia sviamento della clientela a danno degli esercizi del Gabriel e del Ghiotto o comunque possa porsi in concorrenza con le attività commerciali svolte dagli stessi.
Colpisce il segno, insomma, la controinteressata, nel parlare, su questo argomento, di “carenza di interesse dei ricorrenti, giusta la mancanza di qualsivoglia concreta lesione alla loro sfera giuridica soggettiva”, e di “difetto di pregiudizio, anche solo potenziale, agli interessi dei ricorrenti”.
Il motivo in questione, perciò, dev’essere in parte dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse e in parte va dichiarato inammissibile per difetto di interesse.
2.5.-Sulle censure di illegittimità propria formulate con il quinto ricorso per motivi aggiunti (il quarto tratta in via esclusiva di illegittimità derivata), si rileva quanto segue.
2.5.1.-Con riguardo alla impugnazione del verbale della conferenza di servizi n. 12122 del 27 giugno 2008, con la censura sub a) viene dedotta la violazione dell’art. 20, comma 2, della l. reg. n. 15/04, che “subordina l’avvio dell’iter procedimentale alla contestuale presentazione della istanza di parte a Comune, Provincia e Regione, la mancanza della quale, sostengono i ricorrenti, rappresenta un tipico, e insuperabile, motivo ostativo alla indizione della conferenza di servizi”.
L’illegittimità del verbale n. 12122 discenderebbe dal fatto che la prima conferenza di servizi è stata indetta non già dando seguito a una domanda presentata dalla società controinteressata, ma su autonoma iniziativa comunale.
Il motivo è infondato e va respinto.
In punto di fatto va chiarito che con il verbale prot. n. 12122 è stata modificata la prescrizione di cui al p. 3 del verbale conf. serv. 28 settembre 2006, confermato nelle conferenze del 29 maggio e del 25 ottobre 2007.
La prescrizione imponeva di verificare, “prima del rilascio dell’autorizzazione:
-che i soggetti interessati siano qualificati come “aziende produttive”;
-che i prodotti messi in vendita riguardino esclusivamente l’invenduto, la produzione in eccesso e la fine serie.
La prescrizione sopra trascritta è stata modificata dopo che la rappresentante del comune aveva fatto presente, in conferenza di servizi, che la prescrizione stessa era di impossibile applicazione, disponendo, sul rilascio delle autorizzazioni commerciali e sul connesso controllo dei requisiti richiesti, che “prima del rilascio dell’autorizzazione e dopo l’apertura il comune verifichi il rispetto dei requisiti previsti dall’art. 12, comma 1, della l. reg. n. 15/04”.
In diritto, l’art. 20 della l. reg. n. 15/04 non solo non vieta agli enti pubblici di adottare, integrare e/o correggere disposizioni e/o prescrizioni da inserire nel verbale della conferenza di servizi; non esclude, cioè, iniziative di modifica “ex officio”, ma dispone, al comma 9, lett. f), che la delibera della conferenza di servizi può indicare “eventuali prescrizioni per la realizzazione della iniziativa”.
Se dunque sussiste il potere di imporre, al soggetto richiedente, l’osservanza di una determinata prescrizione, a maggior ragione potrà essere modificata, su iniziativa di uno degli enti coinvolti nella conferenza di servizi, una prescrizione già adottata, e ciò in ispecie se la prescrizione originaria risultava di difficile applicazione pratica.
Non si tratta, nel caso particolare, della indizione di una conferenza di servizi, ma soltanto della modifica di una precedente prescrizione: di qui l’erroneità del presupposto interpretativo dal quale parte ricorrente ha preso le mosse, e la infondatezza della censura.
Con il motivo sub b), concernente violazione del’art. 12, comma 1, della l. reg. n. 15/04, ed eccesso di potere per sviamento ed illogicità della motivazione, parte ricorrente censura la sostituzione della “originaria e puntuale prescrizione” “con la generica previsione che il comune, prima del rilascio dell’autorizzazione e dopo l’apertura degli esercizi commerciali, verifichi il rispetto dei requisiti previsti dall’art. 12, comma 1, della l. reg. n. 15 del 2004”, e ciò mediante la verifica del’esistenza di un non meglio precisato collegamento tra soggetto venditore e azienda produttrice –casa madre.
La tesi di fondo dei ricorrenti –tesi che sarà ripresentata nel sesto ricorso per motivi aggiunti, proposto contro e per l’annullamento delle autorizzazioni commerciali- è che se le aziende produttrici si avvalgono, per la vendita, di soggetti commerciali terzi, allora si è “al di fuori” dell’outlet, che resta una forma di vendita riservata in via esclusiva alle aziende produttrici.
Per rigettare quest’ultima censura basta fare richiamo a quanto si è rilevato sopra, al p. 1.1.1., ultima parte, circa il fatto che l’art. 12, comma 1, della l. reg. n. 15 del 2004, non esige che vi sia identità tra soggetto produttore e titolare dell’esercizio commerciale.
2.5.2.- Il verbale n. 12125, sempre del 27 giugno 2008, anch’esso impugnato con il quinto ricorso per motivi aggiunti, concerne l’autorizzazione alla modifica distributiva e di settore merceologico dell’outlet nei termini che seguono:
-superficie totale di vendita, mq. 7907, 4495 dei quali del settore misto, 3003 del settore non alimentare generico e 409 del settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie.
Ciò detto:
-il profilo di censura sub a) (v. fine pag. 9 –inizio pag. 10 del quinto ricorso per motivi aggiunti) muove da un presupposto di fatto erroneo poiché il mutamento di destinazione dal settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie al settore non alimentare generico ha interessato non 3412 mq., come sostengono i ricorrenti, ma solo 3003 mq. , e per quei 3003 mq. la disponibilità, per il settore non alimentare generico nell’area sovracomunale di San Donà di Piave –Portogruaro, c’era;
-il profilo sub b), che riguarda l’asserita violazione dell’art. 12 della l. reg. n. 15 del 2004, va respinto facendo richiamo a quanto osservato sopra, al p. 2.1. ;
-quanto a c), in merito cioè alla esigua superficie rimanente (409 mq.), destinata al settore merceologico non alimentare a grande fabbisogno di superficie, va ribadita la inammissibilità del profilo di censura, per carenza di interesse, per le ragioni esposte sopra, al p. 2.4. ;
-il profilo di doglianza sub d) attiene alla asserita, erronea qualificazione, come esercizi singoli, di esercizi inseriti “negli stessi fabbricati ospitanti i centri commerciali” di cui si compone il parco commerciale –outlet (formato da 5 centri commerciali e da 21 esercizi singoli, 14 dei quali esercizi di vicinato e 7 medie strutture di vendita). La qualificazione attribuita agli esercizi singoli viene ritenuta del tutto artificiosa e violativa dell’art. 9, comma 1, della l. reg. n. 15/04, in particolare perchè risulta indivisa la dotazione di parcheggi. Appare contraddittorio qualificare alcuni esercizi come autonomi e nel contempo prevedere una dotazione di parcheggi unitaria e indivisa per l’intero insediamento.
Anche quest’ultimo profilo di censura va respinto poiché l’art. 10 della l. reg. n. 15 del 2004, nel definire i centri commerciali, prevede che le infrastrutture di parcheggio possano essere anche distinte: di qui l’impossibilità di attribuire carattere decisivo, nella fase della applicazione della norma di legge al caso concreto, al fatto della separazione e/o unione dei parcheggi.
2.6.-Infine, anche il sesto ricorso per motivi aggiunti non può trovare accoglimento, e ciò esonera il collegio dall'esaminare e dal decidere l'eccezione di inammissibilità, per violazione dell'art. 21 della l. n. 1034 del 1971, formulata dalla difesa della società Nike Retail B. V. .
Sul primo motivo si rinvia a quanto detto sopra al p. 1.1.1. .
Il secondo motivo di illegittimità propria di alcune, singole autorizzazioni commerciali, viene dedotto perché i corrispondenti titolari di esercizi di commercio al dettaglio risultano autorizzati per il settore misto, vale a dire sia per il settore alimentare, sia per quello non alimentare, il che, ribadiscono i ricorrenti, non sarebbe consentito dall’art. 12, comma 1, della l. reg. n. 15/04.
La censura è prima di tutto inammissibile per difetto di interesse, poiché non si vede quale beneficio i ricorrenti, rivenditori di prodotti non alimentari, potrebbero trarre da un eventuale accoglimento della censura e dal conseguente annullamento di autorizzazioni commerciali limitato alla parte che comprende l’assenso alla vendita di prodotti alimentari.
Inoltre, nel merito la censura va respinta per le stesse ragioni esposte al p. 2.1. nel trattare del c. d. “settore misto”, punto al quale si fa rinvio.
2.7.- In conclusione, il giudizio in parte dev’essere dichiarato inammissibile e in parte –limitatamente al primo ricorso per motivi aggiunti- va accolto “in parte qua” , con conseguente annullamento parziale, per le ragioni e nei limiti di cui in motivazione (v. p. 2.3. della motivazione in Diritto) del verbale della conferenza di servizi del 28 settembre 2006 e del permesso di costruire n. 92 del 26 settembre 2006 e, sempre “in parte qua”, degli atti successivi, illegittimi in via derivata.
Per il resto, il ricorso va respinto.
Nonostante l’esito del ricorso sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione terza, definitivamente decidendo sul ricorso in premessa così provvede:
-in parte lo dichiara inammissibile;
-in parte lo accoglie, limitatamente al primo ricorso per motivi aggiunti, e, per l’effetto, annulla “in parte qua” il verbale della conferenza di servizi del 28 settembre 2006 e il permesso di costruire n. 92 del 26 settembre 2006 e, sempre “in parte qua”, gli atti successivi, illegittimi in via derivata;
-per il resto lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 23/04/2009 con l'intervento dei Magistrati:
Angelo De Zotti, Presidente
Marco Buricelli, Consigliere, Estensore
Marina Perrelli, Referendario

Il 21/08/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
 
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