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LE FINALITÀ E L’AMBITO DI APPLICAZIONE DEL PIANO CASA NELLA REGIONE VENETO* PDF Stampa E-mail
martedì 16 febbraio 2010

di MARINO BREGANZE

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*Relazione al Convegno di Studio sul tema: “Profili di straordinarietà della nuova legge regionale n. 14/09 a sostegno del settore edilizio” (Comune di Castelfranco Veneto -Associazione Veneta Avvocati Amministrativisti-  20 novembre 2009)

 

      

1.Gli antefatti della scelta veneta.

Agli inizi del 2009, verso la fine dell’inverno, per rilanciare l’economia in un settore importante e trainante come quello edilizio, il Governo preannunciava come di imminente adozione dapprima un disegno di legge quadro e poi, vista l’urgenza dell’intervento, un decreto legge. Dal testo del progetto, reso noto pubblicamente, emergeva come –per raggiungere l’intento- si ipotizzasse  di concedere estese possibilità di ampliare gli immobili esistenti al 31 dicembre  2008 ( in modo particolarmente significativo in taluni casi in cui si utilizzassero la bioedilizia e l’energia rinnovabile), previa semplice DIA.

Seguendo le linee della bozza di decreto legge (in relazione al cui contenuto subito si parlò di “piano casa”: ancorchè, per vero, privo delle caratteristiche programmatorie ed a-temporali dei piani, in deroga ai quali si prevedeva, anzi, potesse operare), ed anticipandolo, il 10 marzo 2009 la Giunta regionale del Veneto, con DRG n.5/DDL, adottò così  –prima in Italia-  un disegno di legge mirante appunto a perseguire tali finalità, come evidenziato dalla sua stessa rubrica: “Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per promuovere le tecniche di bioedilizia e l’utilizzo di fonti di energia alternative e rinnovabili”. E la Relazione precisava che lo stesso era diretto “a consentire un adeguato rilancio dell’attività edilizia, nel rispetto dell’ambiente  e del tessuto urbanistico esistente, e una sostituzione rapida del patrimonio edilizio fatiscente, obsoleto e non rispondente alla nuova situazione tecnologica ed energetica, con contestuale massima” –il superlativo, peraltro, non è più stato riportato nella Relazione finale, quale si legge nel BUR n.56 del 10 luglio 2009- “protezione dei beni storici, culturali e paesaggistici”.

 

Il preannunciato decreto legge, peraltro, in conseguenza delle dure prese di posizione contrarie –soprattutto da parte delle Regioni e delle Province autonome, che lamentavano lesione delle proprie competenze in materia di governo del territorio-, passò nel dimenticatoio ed il Governo preferì promuovere (ex art. 8, comma 6, della legge n.131 del

2003) un’Intesa in Conferenza Unificata tra Stato, Regioni ed autonomie locali in ordine a “misure per il rilancio dell’economia attraverso l’attività edilizia”.

L’Intesa, sancita con Provvedimento  1° aprile 2009, attenuava la portata delle previsioni della “bozza” di decreto legge, e –“rilevata l’esigenza di predisporre misure legislative coordinate tra Stato e Regioni nell’ambito delle rispettive competenze”- fissava degli “obiettivi” cui avrebbero dovuto essere “ispirate preferibilmente” le leggi che le Regioni si impegnavano ad approvare entro novanta giorni.

Quasi tutte le Regioni hanno oramai provveduto al riguardo : ma la possibilità offerta dall’Intesa di potersi ispirare “preferibilmente” a quanto dalla stessa indicato ha evidentemente fatto sì che, nonostante la dichiarata “esigenza di predisporre misure legislative coordinate”, dalle loro assai differenziate leggi sia emersa –come con titolo ad effetto evidenziato in un articolo pubblicato da “Il Sole 24 ore” del 9 agosto 2009- una “giungla di regole” costituente un vero e proprio “puzzle regionale”.

 

2. Il piano-casa veneto; la struttura della normativa.

Ed alcune tessere di questo sono date anche dalla legge regionale 8 luglio 2009, n.14, in vigore dall’11 luglio successivo, con cui il Veneto -quasi rispettando il termine fissato dall’Intesa, anche se per vero svariati mesi dopo la così tempestiva presentazione al Consiglio del disegno di legge: il che gli ha fatto perdere il primato temporale a favore di altre Regioni, prima tra tutte la Toscana-, modificando ed integrando le proprie originarie previsioni ed ampliando significativamente quelle dell’Intesa, ha approvato il “piano casa”regionale.

Ma ad esso ha affiancato, nell’ambito della medesima legge n. 14, anche altre disposizioni ultronee: come la stessa nuova rubrica (“Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16, in materia di barriere architettoniche”) in parte indica.

Se, dunque, il nucleo principale di disposizioni, quelle che danno l’ossatura alla legge, è organicamente strutturato nel disciplinare misure per il sostegno edilizio e per favorire l’energia rinnovabile e l’edilizia  sostenibile (nel disegno di legge si nominava invece la bioedilizia, ma l’art. 2 della L.R. n. 4/2007 precisa che l’edilizia sostenibile è “comunemente indicata anche come bioedilizia, edilizia naturale, edilizia ecologica, edilizia bio-etico-compatibile, edilizia bio-ecologica”: ed il Consiglio Regionale ha evidentemente maggiormente gradito la diversa denominazione rispetto a  quella analoga utilizzata dalla Giunta nel disegno di legge), così non è per poche altre norme strutturali che, a differenza delle prime, sono entrate a far parte senza limiti temporali dell’ordinamento giuridico regionale.

La circolare della Giunta regionale n. 4 del 29 settembre 2009 (pubblicata nel B.U.R. n. 82 del 6 ottobre 2009, alle pagine 5 e seguenti, ed emanata “al fine di superare eventuali dubbi interpretativi e rendere uniforme l’applicazione delle norme”, visto che la legge, come ivi si riconosce, ha “un testo complesso”) evidenzia che si tratta di un “gruppo di disposizioni a regime”, non sottoposte a limite temporaneo ed applicabili, quindi, a tempo indeterminato: a differenza delle norme costituenti il c.d. piano casa che, invece, per la loro straordinarietà, hanno una durata limitata a due anni (anche se i loro “effetti si produrranno per l’intero arco di validità dei titoli abilitativi degli interventi”).

Solo per completezza – dato che l’argomento esula da quello oggetto di specifica disamina in questa sede – va ricordato, così, come quattro siano gli articoli contenenti disposizioni a regime: il 5 (specificato, giusta indicazione del comma 3° dello stesso, dalla D.G.R. 4 agosto 2009, n. 2508, ed in base alle previsioni del quale non concorrono a formare cubatura pensiline e tettoie realizzate su abitazioni esistenti ed ovunque ubicate, se finalizzate all’installazione di impianti solari e fotovoltaici), il 10 (che provvisoriamente – “nelle more dell’approvazione della nuova disciplina regionale sull’edilizia” – riprende la definizione di ristrutturazione edilizia data dal D.P.R. 380/2001: alla lettera a) sostanzialmente limitandosi a ripetere quanto detto dal testo unico dell’edilizia, ma alla lett. b), invece, diversificandosene sostanziosamente  e forse non legittimamente, dato che si prevede la possibilità di ampliamento delle ristrutturazioni), l’11 (che favorisce, con l’esonero delle somme dovute a titolo di costruzione, la realizzazione di interventi funzionali alla  fruibilità degli edifici  adibiti ad abitazione di soggetti invalidi) ed il 12 (che estende l’ambito di applicazione della L.R. 16 del 2007, in materia di eliminazione delle barriere architettoniche, e che – solo dei quattro – è ripreso nella rubrica della legge).

Tutti gli altri articoli della legge regionale n. 14/2009 contengono disposizioni non a regime, ma in via straordinaria ed eccezionale dirette a perseguire gli scopi indicati dall’articolo 1: e cioè quello di dare un “sostegno” al “settore edilizio attraverso interventi finalizzati al miglioramento della qualità abitativa per preservare, mantenere, ricostituire e rivitalizzare il  patrimonio edilizio” “esistente  alla data di entrata in vigore della legge– o, per gli interventi di cui all’art. 2, “esistendo”: dato che l’art. 9, comma 6, parifica al primo “i fabbricati il cui progetto o richiesta del titolo abilitativo edilizio siano stati presentati al Comune entro il 31 marzo 2009”; nonché quello di “favorire l’utilizzo dell’edilizia sostenibile e” -  anche se di ciò non v’è indicazione nella rubrica della legge: (ma rubrica legis non est lex)- “delle fonti di energia rinnovabili”.

 

3. Segue; il suo oggetto e le finalità.

E gli interventi – ex art. 1, co. 2 e 3 – possono concernere anche gli edifici che sorgono su aree demaniali (previo assenso dell’ente titolare) e quelli “soggetti a specifiche forme di tutela a condizione che gli edifici possano essere autorizzati ai sensi della normativa statale, regionale o dagli strumenti urbanistici e territoriali”: in quanto, come precisa la circolare (pag. 6), “le finalità di migliorare la qualità del patrimonio edilizio esistente e di favorire la bioedilizia ed il risparmio energetico sussistono, in linea di principio, anche per gli edifici tutelati, sempre  che gli interventi ammessi non vadano a pregiudicare l’interesse pubblico sotteso all’imposizione della tutela”.

A priori, invece, senza neppure concreta verifica di compatibilità, è la legge stessa, all’art. 9, 1° comma, a considerare direttamente pregiudizievole -e quindi a non consentire- una serie di interventi nominatim indicati (come quelli concernenti gli edifici: ricadenti all’interno dei centri storici; assoggettati a vincolo storico-monumentale; oggetto di specifiche norme di tutela da parte degli strumenti urbanistici e territoriali che non consentono quanto previsto dal piano casa; ricadenti in area di inedificabilità assoluta –art. 33 legge 47/1985-; anche parzialmente abusivi soggetti all’obbligo di demolizione; con destinazione commerciale, se volti ad eludere o derogare la normativa di settore; in aree di alta pericolosità idraulica).

Dato che gli interventi che la legge consente costituiscono “misure per il sostegno del settore edilizio” (così l’art. 1), la Circolare (pag. 5) evidenzia che “la L.R. 14/2009 non è una legge urbanistica né edilizia –pur avendo contenuti che incidono significativamente sulla disciplina di queste materie- ma è, prima di tutto, una legge economico-finanziaria che mira a promuovere gli investimenti privati per il recupero e la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente nel territorio regionale, in modo generalizzato e capillare, attraverso microinterventi idonei ad alimentare soprattutto il mercato delle piccole e medie imprese del settore edilizio”. Ma è di tutta evidenza,  se si considerano le previsioni della L.R. 14 (come del resto si legge nella sua Relazione, laddove si afferma che essa “si inserisce nell’ambito della disciplina del governo del territorio”), che, se la sua finalità è quella del sostegno del settore edilizio, la stessa è raggiunta (o si spera lo sia) attraverso disposizioni normative di sicura portata e natura urbanistico-edilizia: come sottolinea, del resto, la successiva L.R. 9 ottobre 2009, n. 26, che, tra l’altro, integra, sostituisce o autenticamente interpreta proprio alcuni articoli della L.R. 14/2009, e la cui rubrica –non a caso- è “Modifica di leggi regionali in materia urbanistica ed edilizia”.

Al fine di consentire un “adeguato rilancio dell’attività edilizia” (così la Relazione) e di migliorare la stessa, dunque, sono dettati gli articoli 2, 3, e 4 della citata legge n.14.

Dalle disposizioni di questi emerge, innanzitutto, una possibilità generalizzata di ampliamento -ma “esclusivamente su aree che abbiano una destinazione compatibile con la destinazione d’uso dell’edificio da ampliare”: art. 9, co. 2- del 20 per cento di tutti gli edifici esistenti ( del volume, se “destinati ad uso residenziale” –si tratta degli unici immobili presi in considerazione dall’Intesa- e della superficie coperta, “se adibiti ad uso diverso”).

Tale misura è elevabile ulteriormente (del 10 per cento) nel caso di utilizzo di tecnologie che prevedano l’uso di fonti di energia rinnovabile non inferiore a 3 kwh., “ancorchè già installati” (art. 2), e, sempre nella misura del 20 per cento, sono ampliabili anche le attrezzature all’aperto di stabilimenti balneari, campeggi, impianti sportivi e ricreativi turistici, “anche se ricadenti in area demaniale” (così l’art. 4: l’unico, unitamente al 12, sulle barriere architettoniche, sul quale in Consiglio regionale si è avuta la quasi unanimità e non la sola maggioranza dei voti espressi).

Ma v’è di più. Al fine di “favorire il rinnovamento del patrimonio edilizio esistente”, è consentita “la demolizione e ricostruzione degli edifici realizzati anteriormente al 1989 e legittimati da titoli abilitativi” –niente sanatorie, dunque- “che necessitano di essere adeguati agli attuali standard qualitativi, architettonici, energetici, tecnologici e di sicurezza”: e ciò con possibilità di incentivante aumento del 40 per cento (del volume o della superficie coperta, rispettivamente per gli edifici residenziali e per gli altri) –elevabili al 50 per cento, nel caso ed alle particolari condizioni di cui all’art. 3, comma 3-, se gli immobili sono localizzati in zona territoriale propria ed ove vengano utilizzate tecniche costruttive di edilizia sostenibile (art. 3). Ed a tal fine, con DGR 4 agosto 2009, n.2499, la Giunta regionale ha provveduto ad “integrazione alle linee guida in materia di edilizia sostenibile”.

A tutte queste possibilità va poi aggiunta quella –da intendersi sempre di carattere straordinario, data la sua collocazione nell’art. 9 -per cui “è comunque ammesso” (e quindi anche in deroga agli strumenti di pianificazione) “ l’aumento” –e nessun limite è indicato- “della superficie utile di pavimento all’interno del volume autorizzato, nel rispetto dei parametri igienico-sanitari previsti dalla normativa vigente”.

E per facilitare la realizzazione in concreto degli interventi –subordinati all’esistenza delle opere di urbanizzazione primaria ovvero al loro adeguamento (art. 9, co. 4), alla non modificabilità  della destinazione d’uso degli edifici (art. 9, co. 2), alla compatibilità con le leggi che disciplinano il condominio (art. 2, co. 4) ed al rispetto delle disposizioni statali in materia di distanze (art. 9, co. 8) (ma è da ritenere che in generale si debba tener conto delle leggi statali e in particolare, dei limiti civilistici)-, sotto il profilo edilizio gli stessi sono sottoposti (a meno che non si preferisca richiedere permesso di costruire) a semplice DIA.

Quanto alle connessioni col profilo urbanistico, il “carattere straordinario” delle disposizioni della L.R. 14 costituenti il c.d. piano casa fa sì che le stesse, ex art. 6, 1° comma, prevalgono sulle norme tecniche dei piani e regolamenti urbanistici contrastanti con esse” (ma anche –come atecnicamente precisa la Circolare, a pag. 5- “sulle altre leggi regionali in contrasto”): a tal riguardo parlandosi espressamente di “deroga” (con riferimento ancor più generale alle “previsioni dei regolamenti comunali e degli strumenti urbanistici e territoriali, comunali, provinciali e regionali”) negli articoli 2, 1° comma, e 3, 2° comma.

In relazione agli interventi straordinari di cui sopra, evidente è il favor per quelli concernenti le prime case di abitazione ( con estrema elasticità ed in modo aleatoriamente futuribile definite dall’art. 8 della L.R. 9 ottobre 2009, n. 26, come “le unità  immobiliari in proprietà, usufrutto o altro diritto reale in cui l’avente titolo, o i suoi familiari, risiedano oppure si obblighino a stabilire la loro residenza e a mantenerla per ventiquattro mesi” dalla entrata in vigore della L.R. 14: e cioè dall’11 luglio 2009).

In questa particolare ipotesi, invero, il contributo di costruzione è ridotto del 60 per cento (art. 7, 1° comma), gli interventi non sono subordinati all’esistenza delle opere di urbanizzazione primaria ovvero al loro adeguamento in ragione del maggior carico urbanistico connesso all’aumento di volume o di superficie degli edifici esistenti (art. 9, co. 4) e per gli edifici residenziali in zona agricola l’ampliamento del 20 per cento è calcolato non già sulla volumetria esistente ma su quella “massima assentibile” ai sensi della vigente normativa (art. 9, co. 6).

 

4. Le questioni relative all’autonomia comunale.

Sempre nell’ambito delle norme straordinarie della L.R. 14, va in particolare sottolineata la specificità di disciplina per quanto concerne le disposizioni relative alla prima casa, in ordine vuoi all’efficacia temporale che ai poteri comunali: tanto che la Circolare (pag. 5) evidenzia che la L.R. 14/2009 si articola in due parti: “l’una, necessaria e inderogabile relativa alla prima casa, di operatività immediata e generalizzata, l’altra, flessibile ed eventuale, rimessa alla scelta di ciascun Comune e variamente modellabile entro i parametri ed i criteri fissati dalla Regione”.

Invero, dall’art. 9, 5° comma, della L.R. 14 emerge la regola generale per cui “i Comuni entro il termine del 30 ottobre 2009 deliberano  -ma più realistico, ex post, sarebbe dire “avrebbero dovuto deliberare”: dato che non tutti sono a ciò tempestivamente addivenuti-, “sulla base di specifiche valutazioni di carattere urbanistico, edilizio, paesaggistico ed ambientale, se o con quali ulteriori limiti e modalità applicare la normativa di cui agli articoli 2, 3 e 4”.

In buona sostanza, ogni Comune può liberamente decidere se e come far uso o meno, in tutto o in parte, nell’intero suo territorio o in porzioni dello stesso, delle possibilità offerte dal piano casa.

In caso di mancata deliberazione entro la data indicata dalla legge, il progetto, nel testo licenziato dalla Commissione consiliare in sede referente, stabiliva, all’art. 7, che “decorso inutilmente tale termine è da intendersi che non vi siano ambiti o immobili da escludere”: concretando, quindi, una sorta di silenzio-assenso. Così, però, non è più, dato che l’art. 9 della L.R. 14 non dà ora significato alcuno al silenzio del Comune, prevedendo solo che, entro i quindici giorni successivi alla scadenza del termine, la Giunta regionale nomini “un commissario ad acta” (rectius: ad actum) “con il compito di convocare, entro e non oltre dieci giorni, il consiglio comunale ai fini dell’eventuale adozione del provvedimento”. Ma nulla dice per l’ipotesi che ciò non avvenga: il che induce a ritenere –considerando vuoi l’espressa previsione che era contenuta nel progetto vuoi gli effetti sullo stesso piano comunale in assenza di pronuncia del Consiglio- che la perdurante inerzia possa concretare una forma di silenzio-diniego.

Se invece il Comune (direttamente od a seguito dell’intervento del Commissario) delibera di accettare –con i limiti e le modalità che motivatamente ( dato che la decisione avviene “sulla base di specifiche valutazioni di carattere urbanistico, edilizio, paesaggistico ed ambientale”) riterrà di stabilire- che nel proprio territorio trovino applicazioni le previsioni del piano casa, i relativi interventi non potranno iniziare “prima del rilascio” (come la legge impropriamente afferma: trattandosi, salvo diversa scelta dell’interessato, di DIA) “del titolo edilizio”, da richiedersi entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della L.R. 14, “ove previsto” (art. 9, co.7).

Così non è però, a conferma del favor di cui si diceva, per gli “interventi di cui agli articoli 2 e 3 che riguardano la prima casa di abitazione”: possibili (“si applicano”, secondo il 3° comma dell’art. 9) –ovviamente, previi DIA o permesso di costruire, pur dalla norma non menzionati- “sin dall’entrata in vigore” della legge, e cioè dall’11 luglio 2009.

Le disposizioni di carattere straordinario della legge trovano, quindi, con riferimento alla prima casa, immediata efficacia. E ciò –precisa la Circolare, a pag. 11- “indipendentemente dalla necessità di pronunciamento da parte del Comune”: che può decidere di non applicare o di limitare le possibilità offerte dalla legge regionale nel proprio territorio, “eccettuata la disciplina riguardante la prima casa di abitazione”.

Ne consegue la possibilità immediata di effettuazione degli interventi riguardanti le prime case di abitazione (semprechè rispettosi, come previsto dal co. 3, di quanto stabilito dai co. 1 e 2 dell’art. 9), senza le limitazioni temporali poste dall’art. 9, 7° comma, che si applicano a tutti gli interventi, “ad esclusione di quelli sulla prima casa di abitazione”.

 

5. Conclusioni.

In conclusione, non è agevole, allo stato, fare attendibili previsioni sul fatto che il piano casa veneto consegua o meno compiutamente il successo ipotizzato e in cui confidava  il legislatore: come emerge dalla stessa Relazione alla legge 14, grazie alla quale –ivi è scritto- si riteneva “di poter contribuire, almeno in parte, al rilancio dell’economia veneta”. Secondo delle prime stime elaborate per conto di ANCE Veneto da CRESME RICERCHE nel maggio 2009, pur relative alla sola possibilità di ampliamento della cubatura degli alloggi, vi sarebbe stata la possibilità di “attivare nella Regione investimenti corrispondenti a oltre 6 miliardi di euro, relativi alla costruzione di oltre 15 milioni di nuovi mc.”.

Ma, oggi, pare prudente portare tali stime al ribasso.

Non solo, invero, sono non pochi i Comuni che ancora non hanno deliberato se e in che limiti recepire il piano casa; ma quelli che già hanno provveduto - in qualche caso (purtroppo raro) commendevolmente in modo eguale ed unitario per Comuni contermini, il che avrebbe potuto essere buona regola per i Comuni che hanno adottato il PATI (piano di assetto del territorio intercomunale)- l’hanno fatto, nell’ambito della loro autonomia, in modo assai diversificato.

E se taluni hanno deciso di usufruire al massimo delle possibilità offerte dalla L.R. 14/2009, altri sono stati assai parchi in proposito;  non sono mancati addirittura Comuni che hanno deciso di non applicare il piano casa nemmeno alle prime case d’abitazione, ritenendo –in tal senso, ad esempio, Cortina d’Ampezzo- che se l’applicazione degli articoli 2 e 3 alle prime case non richiede una preventiva deliberazione comunale, ciò “certamente non significa che il Comune non possa stabilire, ove lo reputi opportuno, se ed in che limiti consentire l’ampliamento delle prime case esistenti sul proprio territorio”.

Assai contenuto, per di più –ed anche conseguenzialmente-, è il numero delle pratiche edilizie iniziate in attuazione del piano casa e dei suoi variegati recepimenti.

La situazione, peraltro, non è dissimile nelle altre Regioni, tanto che –come la stampa ha ampliamente riferito- è stato di recente ipotizzato, anche in ambienti governativi, per accelerare gli interventi, un incentivo fiscale ad hoc. Non solo: è stata rilanciata l’idea -che già costituiva uno degli oggetti dell’Intesa del 1° aprile 2009 ( ma che poi si arenò per problemi e spinte di varia natura, non solo giuridica), per cui entro 10 giorni il Governo avrebbe dovuto emanare  un decreto-legge con l’obiettivo di semplificazioni procedurali “ al fine di rendere più rapida ed efficace l’azione amministrativa di disciplina dell’attività edilizia”- di procedere con lo strumento della decretazione d’urgenza per agevolare gli interventi anche grazie allo snellimento delle procedure.

Non è dato di sapere se tale idea troverà, oggi, terreno più fertile per la sua eventuale concretizzazione.

Ma, anche a prescindere da ciò, sarebbe indubbiamente cosa lodevole che, frattanto, in Veneto, il legislatore regionale, stimolato dall’idea –e dopo già aver esteso con la L.R. 14, sia pur ai soli fini del piano casa, l’ambito di applicazione della DIA, parzialmente ridisciplinandolo e, a regime, ridefinita la ristrutturazione edilizia “nelle more dell’approvazione della nuova disciplina regionale sull’edilizia”-, sciogliesse gli indugi e approvasse una riforma edilizia ispirata ad una semplificazione nel rigore: ponendo così fine alla non sempre facile coabitazione coatta tra il Testo Unico dell’edilizia del 2001 e la porzione derelitta della legge regionale n.61 del 1985.

Ultimo aggiornamento ( martedì 16 febbraio 2010 )
 
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