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La responsabilità amministrativa dei componenti degli organi di gestione delle società pubbliche. PDF Stampa E-mail
lunedì 25 ottobre 2010

di GIANLUCA ROMAGNOLI.

 

SOMMARIO: 1. La limitazione della responsabilità amministrativa dei componenti degli organi di gestione delle società a partecipazione pubblica nella sentenza n. 26806/2009 delle Sezioni unite. - 2. Le coordinate della giurisdizione speciale nei confronti degli amministratori di società a partecipazione pubblica. - 3. Le società di diritto singolare, la funzionalizzazione dell’impresa, il rapporto di servizio, il danno e la colpa. - 4. Dalla frenata all’accelerazione. La sublimazione dei presupposti della giurisdizione contabile e l’ampliamento dell’azione diretta nei confronti degli amministratori. - 5. La tutela patrimoniale degli enti ed i doveri e responsabilità dei soggetti facenti parte dell’apparato organizzativo del socio pubblico.

1. La limitazione della responsabilità amministrativa dei componenti degli organi di gestione delle società a partecipazione pubblica nella sentenza n. 26806/2009 delle Sezioni unite. - I cultori del diritto amministrativo e del commerciale ricorderanno la fine del 2009 per l’ormai nota pronuncia delle Sezioni unite della Corte di cassazione relativa ai limiti della responsabilità “erariale” degli amministratori e dipendenti di società a partecipazione pubblica[1]. La sentenza n. 26806/2009, così come alcune ordinanze successive[2], sono state apprezzate, da una parte dalla dottrina, per aver posto un limite alla progressiva estensione della giurisdizione contabile, in precedenza affermata in termini “assolutizzanti” dal giudice speciale nei confronti dei gestori degli enti lucrativi. L’arresto, infatti, fissa una tendenziale linea di demarcazione tra quel danno imputabile agli amministratori oggetto delle ordinarie azioni sociali di responsabilità (art. 2393 ss., c.c.) e quello di cui gli stessi possono rispondere in sede speciale escludendo che questo possa essere considerato prevalente ed assorbente rispetto a quelle del diritto comune[3]. Dunque l’iniziativa del P.M. contabile non può considerarsi satisfativa di ogni pretesa alla riparazione delle conseguenze che l’agire scorretto ha causato alla società ed ai suoi soci. L’azione erariale –ove ne ricorrano i presupposti- si pone, in altri termini, non come alternativa, ma quale strumento di “accrescimento” delle ragioni patrimoniali della pubblica amministrazione che si è indotta ad acquistare o sottoscrivere capitale di rischio[4].

Il danno inferto al patrimonio della società è un “fatto” che interessa immediatamente solo quest’ultima e la relativa cognizione spetta al giudice ordinario; al giudice speciale, residua invece l’accertamento di quella “lesione” che, in tesi, la condotta dei gestori può aver direttamente causato al patrimonio dell’ente pubblico socio. Dunque, l’appartenenza alla compagine sociale di una P.A.[5] non ha una ricaduta immediata sulla responsabilità “interna” degli amministratori e, si può aggiungere, a quella partecipazione -contrariamente ad una diffusa opinione[6]- non corrisponde un “modello” associativo autonomo, retto da uno statuto speciale, in forza del quale le sue iniziative e determinazioni devono essere sempre conformate all’interesse generale e rispettare i principi dell’azione amministrativa.

Il c.d. nuovo corso della Corte regolatrice, peraltro, se enfaticamente si presenta come una “brusca frenata” all’espansione della responsabilità speciale[7], non preclude ogni ipotesi di ripartenza, poiché, a ben vedere, indica al giudice contabile una comoda e larga “pista di accelerazione”. Come è stato rilevato dai primi commentatori, nell’intento di trovare una linea di continuità con la passata giurisprudenza sui limiti esterni della giurisdizione speciale (e non costringerla in ambiti particolarmente angusti), se da un lato ne interdice alcuni spazi dall’altro ne indica di nuovi e forse più ampi, lasciando così ancora inappagato il più volte ribadito auspicio ad una rimeditazione[8].

 

2. Le coordinate della giurisdizione speciale nei confronti degli amministratori di società a partecipazione pubblica. - L’occasione per la “regolazione dei confini” viene offerta dall’impugnazione di una sentenza del giudice contabile d’appello che confermava la propria giurisdizione sugli amministratori infedeli di una società partecipata indirettamente da un ente pubblico, corrotti da tal’uni “fornitori”[9]. A conclusione di quella complessa vicenda, nell’analizzare -non solo- i principi di diritto posti dalla pronunzia cassatoria ma anche da altre, combinate tra loro in rapporto di regola ed eccezione, i primi annotatori hanno fissato le coordinate dell’azione del giudice speciale.

Premesso che all’autorità giudiziaria ordinaria spetta la giurisdizione sulle controversie tra amministratori (o dipendenti) di società di diritto comune a partecipazione pubblica, alla magistratura contabile, si ritiene, competono le questioni che interessano: (i) ogni responsabilità dei gestori di società “quotate” partecipate dall’ente pubblico in misura superiore al 50 % del capitale sociale (art. 16-bis, legge 3 agosto 2009, n. 102); (ii) la responsabilità dei gestori per i danni inferti direttamente al patrimonio dell’ente pubblico socio di cui, a titolo esemplificativo, viene indicato quello all’immagine; (iii) la responsabilità dei rappresentanti dell’ente socio per il caso di omissione dell’esercizio dei rimedi societari nella misura in cui l’inerzia gravemente colpevole abbia causato una perdita di valore della partecipazione[10]; (iv) ogni responsabilità di società a partecipazione pubblica, il cui statuto sia soggetto a regole singolari che, come nel caso della R.A.I.[11], “(…) ne evidenzino la natura sostanziale di ente assimilabile a una amministrazione pubblica nonostante l’abito formale che riveste di società per azioni [12].

La Corte regolatrice distingue le diverse ipotesi di responsabilità in cui possono incorrere gli amministratori, cui affianca quella amministrativa del rappresentante del socio pubblico e di una più ampia cerchia di soggetti facenti parte -a vario titolo- dell’apparato della P.A., così confermando un risalente orientamento della Corte dei conti[13].

L’esclusione dell’azione erariale per negligenze societarie non è però motivata in modo assolutamente definito e rigoroso. Le Sezioni unite, infatti, non pongono una preclusione netta, orientandosi apparentemente per un più semplice ridimensionamento. La giurisdizione speciale, invero, rientra in gioco se, facendo applicazione del c.d. criterio finalistico –accordando la prevalenza ai motivi dell’amministrazione- sia possibile superare il dato fenomenico dell’impiego del modello associativo privatistico e quello- negativo- del silenzio del legislatore, che tace sul punto e dedica al fenomeno della partecipazione di enti pubblici a società disposizioni scarne ed a ambito operativo limitato. La Corte regolatrice, dunque, non subordina la cognizione speciale -ed il relativo regime sostanziale- alla presenza di una norma che preveda una deviazione dal diritto comune, lasciando la possibilità d’estenderla quando risulti plausibile una riqualificazione in termini pubblicistici dell’ente partecipato[14], con conseguente elusione dei limiti posti dall’art. 103 Cost. al riparto di giurisdizioni[15].

Nella sostanza le Sezioni, offrono una soluzione anfibia. Valorizzano, ai fini della distinzione delle responsabilità, la tendenziale assenza di disposizioni derogatorie del diritto comune ma, nel contempo, ammettono la possibilità di deviarvi a seconda delle caratteristiche del caso concreto. Il difetto di una norma espressa sulla natura della responsabilità e su quella dell’organizzazione societaria fa presumere l’applicazione del diritto comune e la cognizione del giudice ordinario; anche in assenza di un’apposita previsione -o come si dice, dell’interpositio legislatoris- si lascia però sempre aperta la possibilità del superamento di quei limiti cui in prima battuta si attribuisce la capacità di corroborare l’estraneità dei rapporti sociali alla c.d. materia contabile[16].

Ragionevolmente, già il modo con cui la Corte individua i principi generali necessari per risolvere il quesito sulla giurisdizione, non lascia spazio a grandi illusioni; anche una loro pur sommaria ricognizione, come si vedrà, evidenzia come l’affermata prevalenza del diritto comune sia controbilanciata da una corrispondente apertura al giudice speciale. Pertanto, per meglio comprendere la portata della pronuncia, i passaggi possono essere idealmente raggruppati in due insiemi, dei quali, un primo, relativo agli argomenti di chiusura, ed un secondo, contenente quelli di apertura alla Corte dei conti.

Il codice civile, si dice, dedica al fenomeno della partecipazione pubblica solo alcune scarne disposizioni da cui non è dato inferire uno statuto speciale di quelle società ma che, al contrario, paiono confermare l’identità di regime per amministratori di designazione privata o pubblica. Significativamente, infatti, l’art. 2449, 2°comma, c.c., con principio valevole anche per quelli delle società a responsabilità limitata, precisa che i componenti degli organi amministrativi e di controllo di nomina pubblica hanno i diritti e gli obblighi dei membri nominati dall’assemblea. Il dato normativo, supportato dalla relazione al codice, induce quindi a concludere nel senso dell’esistenza d’una responsabilità nei confronti della società (art. 2932 ss., c.c.)[17].

I fini generali coltivati dall’amministrazione tramite l’ingresso in società, quindi, sembrano rilevare solo rispetto alla scelta dell’acquisto o sottoscrizione della partecipazione, stante il generale obbligo di motivazione valevole anche per le determinazioni che portano all’adozione di atti di diritto privato[18]. Una volta giustificata la scelta -e si sia reso percepibile e controllabile il perché dell’opzione- il modulo impiegato rimane insensibile alle finalità che la hanno indotta[19].

Pertanto, ai fini del riparto, a fronte di un danno causato dagli amministratori alla società non v’è spazio per la giurisdizione contabile poiché non è configurabile un danno erariale inteso come pregiudizio arrecato direttamente al patrimonio dello Stato od altro ente pubblico socio. La “(…) distinzione tra personalità giuridica della società di capitali e quella dei singoli soci e la piena autonomia patrimoniale dell’una rispetto agli altri non consentono di riferire al socio pubblico il danno che l’illegittimo comportamento degli organi sociali abbaia eventualmente arrecato al patrimonio dell’ente”. Ulteriormente, per quanto il danno sofferto dal patrimonio della società possa “ripercuotersi anche sui soci- incidendo negativamente sul valore e redditività o della quote di partecipazione”, questi potranno solamente avvantaggiarsi -in modo indiretto- dell’azione esperita dalla emittente nei confronti di chi causò la “perdita”. Di qui, l’obbiettiva inidoneità “(…) del danno inferto dagli organi amministrativi al patrimonio sociale, che nel sistema del codice civile può dar vita all’azione sociale di responsabilità ed eventualmente a quella dei creditori sociali (…) a configurare anche un’ipotesi di azione ricadente nella giurisdizione della Corte dei conti”.

Nella sostanza, il danno indiretto rimane tale anche se nella compagine sociale è presente un ente pubblico e la sua partecipazione sia giustificata da ragioni ulteriori o diverse rispetto a quell’aspirazione alla remunerazione che normalmente induce il privato alla immobilizzazione di ricchezza. Danno patrimoniale, va evidenziato, comunque irrecuperabile esperendo l’azione individuale (art. 2395 c.c.) posta per compensare la lesione inferta direttamente al socio da atti compiuti dagli amministratori nell’esercizio delle loro funzioni[20]. Per reagire, cioè, ad un danno diverso da quello sociale ma che trae occasione del suo compimento dall’investitura gestioria[21].

Qui finisce il primo “blocco” e, dunque, la regola o la “frenata” e subito segue l’eccezione e la “accelerazione”. Le Sezioni unite venendo al secondo “blocco”, infatti, non si sentono di fermare la responsabilità amministrativa sulla soglia della società e prospettano la via della riqualificazione dell’ente lucrativo o della sua attività.

Un’esigenza di ordine naturale impedisce di trascurare i problemi che possono sorgere quando “(…) il modello giuridico – entra in tensione con il fenomeno economico sottostante, come nel caso in cui lo Stato o altro ente pubblico assume una partecipazione in una società per il perseguire in tal modo finalità di rilevanza pubblica”. Per quanto la separazione tra amministrazione e società non consente di riferire agli amministratori il rapporto di servizio che lega la prima alla seconda, comunque, residua uno spazio per la giurisdizione speciale, come confermerebbe la lettera dell’art. 16-bis, l. 31/2008. Quest’ultimo documento normativo, per il giudice “(…) assume un evidente significato retrospettivo nella misura in cui lascia chiaramente intendere che, in ordine alla responsabilità di amministratori e dipendenti di società con partecipazione pubblica, vi sia una naturale area di competenza giurisdizionale rispetto a quella ordinaria”. In assenza di indicazioni specifiche ed espresse è proprio la distinzione tra danni diretti alla società da quelli diretti ai soci che induce a comprendere i secondi nell’area della giurisdizione speciale. La neutralizzazione di questo ultimo tipo di lesioni sarà quindi operata secondo le regole della responsabilità amministrativa. L’azione del procuratore contabile, pertanto, ben potrà far valere gli addebiti per quei danni causati direttamente all’ente socio dalla condotta illegittima dei componenti degli organi di amministrazione e controllo della partecipata.

Un’esigenza di giustizia sostanziale imporrebbe il riconoscimento di uno spazio per una responsabilità diversa da quella civilistica, poiché al giudice regolatore pare “(…) certo che la presenza dell’ente pubblico all’interno della compagine sociale ed il fatto che la sua partecipazione sia strumentale al perseguimento di finalità pubbliche ed abbia implicato l’impiego di pubbliche risorse non può sfuggire agli organi della società e non può non comportare per loro, una peculiare cura nell’evitare comportamenti tali da compromettere la ragione stessa di detta partecipazione sociale dell’ente pubblico o che possano comunque direttamente cagionare un pregiudizio al patrimonio di quest’ultimo”.

Infine, a conclusione della panoramica degli strumenti di reazione alla mala gestio, la Corte regolatrice puntualizza come l’esclusione “parziale” della giurisdizione erariale non lede quelle esigenze di tutela della conservazione delle risorse investite dall’amministrazione nella società, poiché la repressione dei comportamenti scorretti, che arrecano un danno diretto alla società, ben potrà essere coltivata anche individualmente dal socio pubblico (art. 2393-bis e art. 2476, 3° comma, c.c.). Infatti, è consentito al singolo il superamento dell’eventuale inerzia (magari collusiva) degli organi sociali al fine di ottenere la riparazione del danno patito dall’organizzazione, conseguendo così un vantaggio positivo, sia pur indiretto. Reazione che, in considerazione di questa sua potenziale capacità conservativa, risulta obbligata per il rappresentante dell’ente che, in tesi, potrebbe essere chiamato, a sua volta, a rispondere in sede amministrativa per una propria colpevole omissione.

In conclusione, le Sezioni unite se da un lato limitano la giurisdizione contabile alle amministrazioni individuate in esito ad una verifica della vera natura dell’organismo societario, dall’altro la ammettono in caso di danno diretto inteso nei termini fissati dallo stesso giudice speciale, indipendentemente dal compimento dell’opera di riqualificazione della società. Dunque, la partecipazione sociale dell’ente pubblico espone l’amministratore al rischio di una responsabilità per un danno patrimoniale per la lesione di una serie di situazioni giuridiche ben più ampie e diverse da quelle considerate dal diritto civile; rischio, si noti, che si sostanzia nel pericolo di dover sopportare la condanna ad un risarcimento altrimenti non ottenibile con il giudizio ordinario[22].

 

3. Le società di diritto singolare, la funzionalizzazione dell’impresa, il rapporto di servizio, il danno e la colpa. - La giurisdizione contabile nei confronti degli amministratori di enti costituiti in forma societaria si esplica nel modo più pieno nel caso di organizzazioni di diritto singolare, il cui statuto evidenzi la loro “sostanza” pubblica anche a dispetto del richiamo al modello della s.p.a. o della s.r.l. Solo escludendo la natura privata dell’ente si può riconoscere in via diretta la giurisdizione speciale, come prima chiarito dalla sentenza n. 26806/2009 e poco dopo confermato in modo espresso a conclusione di un regolamento preventivo di giurisdizione promosso da alcuni amministratori di R.A.I. s.p.a.[23], nei cui confronti aveva agito la procura contabile. Dunque, il regime sostanziale e processuale della responsabilità amministrativa presuppongono una verifica dello statuto dell’ente ed una misurazione del suo tasso di deviazione dal diritto comune; solo al termine di questo riscontro, previa sua riqualificazione, sarà possibile ammettere forme di reazione ulteriori rispetto a quelle civilistiche[24].

Il silenzio del legislatore su questo particolare aspetto è, quindi, superabile tramite una lettura sistematica dei diversi indici di pubblicità, sulla cui individuazione, peraltro, non sussiste concordia[25]. Comunque, l’incertezza relativa agli elementi sintomatici, non impedisce la riqualificazione che si pone come il risultato di un apprezzamento sintetico di elementi eterogenei tratti ora dai caratteri dell’organizzazione o dell’attività, come è accaduto nell’ordinanza relativa agli amministratori della R.A.I. Si è giunti ad affermare che la società radiotelevisiva è pubblica perché: concessionaria legale di un servizio di interesse generale della comunità nazionale; è sottoposta a penetranti poteri ispettivi di una commissione parlamentare; risulta beneficiaria di un canone d’abbonamento, avente natura di imposta gravante su detentori di apparecchi di recezione radiotelevisiva; riceve una contribuzione dello Stato e, quindi, soggiace al controllo della Corte dei conti; da ultimo è organismo di diritto pubblico, come tale tenuta all’osservanza delle procedure di evidenza pubblica nell’affidamento degli appalti.

La riqualificazione pubblica, quindi, è il risultato si una ponderazione di elementi compositi che, se da un lato deporrebbero senza dubbio “(…) nel senso dell’inclusione della R.A.I. nel novero degli enti pubblici”, dall’altro portano ad escludere la rilevanza, ai fini di interesse, di disposizioni espressamente dedicate all’azione di responsabilità. Non valgono ad affermare la preminenza del diritto comune, invero, rispettivamente il secondo e l’ottavo comma dell’art. 49, d. lgs., 31 luglio 2005, n. 177, contenenti il primo una clausola generale ed il secondo una disciplina specifica[26]. Per la Corte regolatrice è irrilevante il fatto che la prima disposizione individui quale normativa di completamento quella del libro V del codice civile disponendo che <<per quanto non sia diversamente previsto dal presente testo unico la R.A.I. –Radiotelevisione italiana spa è assoggettata alla disciplina generale delle società per azioni, anche per quanto concerne l’organizzazione e l’amministrazione>>. Irrilevante appare, poi, quella successiva che nel regolare la condotta del rappresentante dell’azionista di maggioranza, prescrive che questi <<(…) nell’assemblee della società concessionaria convocate per l’assunzione di deliberazioni di revoca o che comportino la revoca o la promozione di azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, esprime il voto in conformità alla deliberazione della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e per la vigilanza dei servizi radiotelevisivi comunicata al Ministero medesimo>>.

L’affermata necessità di deroghe espresse alla disciplina azionaria ed il riferimento chiaro alla previsione di un’azione sociale di responsabilità per la reintegrazione di un danno diretto, non vengono reputati argini sufficienti per contenere la giurisdizione contabile proprio per l’operare di quei molteplici e variamente componibili indici di pubblicità che, valutati nel loro insieme, hanno la meglio su qualunque altro elemento.

Il caso paradigmatico della società televisiva da ragione della fondatezza del dubbio sul metodo e sulla persuasività di un ragionamento fondato su un complesso d’elementi verosimilmente non sintomatici della natura pubblica[27]. Opinabilità che, se non ci si inganna, emerge sol ci si conceda un minimo di riflessione sulla portata dei dati ritenuti dotati di capacità indiziante[28].

Può innanzi tutto dubitarsi che la concessione del servizio, di cui è titolare l’ente pubblico sia un dato rilevante. La riserva d’attività -che è presupposto della concessione- infatti, non condiziona la natura del soggetto che con quell’atto ottiene il diritto ed assume l’obbligo di esercitarla. Il concessionario può essere indifferentemente pubblico o privato poiché è tale –semplicemente- chi è destinatario di una specifica investitura amministrativa che si sostanzia in un provvedimento c.d. accrescitivo, che costituisce l’unica fonte abilitativa all’esercizio di quell’impresa. A titolo esemplificativo si pensi ai c.d. servizi pubblici locali regolati dall’art 113, d. lgs., 18 agosto 2000, n. 267[29] e tra questi si pensi alla attività distribuzione del gas naturale.

Ancora neutra, ai fini della dimostrazione della natura pubblica, è la previsione di forme di controllo sull’attività societaria ed, in specie, sul rispetto delle regole legali, convenzionali nonché della complessiva corrispondenza e della congruenza dei risultati pratici rispetto ai fini generali. È, invero, coessenziale ad ogni attribuzione di un’attività riservata la predisposizione di meccanismi deputati alla verifica della correttezza dell’operato del concessionario e ciò indipendentemente dalla loro conformazione o struttura. Infatti, tale compito è rimesso dalle varie disposizioni ad organismi tanto interni quanto esterni all’organizzazione dell’ente concedente. Presidi di controllo che, come quelli sulla R.A.I., possono essere individuati dalla legge in modo puntuale oppure essere previsti genericamente dalla fonte normativa per poi essere definiti concretamente dallo stesso concedente nella convenzione acclusa alla concessione.

Ancora, il sovvenzionamento con risorse derivanti dall’imposizione tributaria può considerarsi indicatore obiettivo dell’esistenza di un interesse pubblico per una attività, ma non certo della natura del soggetto che la eroga. Si pensi, ad esempio, ai servizi pubblici di igiene urbana, i cui costi sono ripianati -indipendentemente dal fatto che chi li espleta sia pubblico o privato- da una tassa il cui importo viene determinato dall’amministrazione locale, ma destinata per lo più all’incaricato.

Nulla, ancora, si può trarre dalla soggezione alle regole dell’evidenza pubblica che sono imposte, nel caso dei servizi in esclusiva, dalla esigenza, sostanzialmente di derivazione europea, di consentire la più ampia concorrenza tra i fornitori di chi è investito di attività riservata[30].

Infine, nulla di determinante si può trarre da quello che è considerato l’elemento principe e cioè la coincidenza tra finalità dell’ente socio e quelle della società[31]. L’impiego di una determinata struttura per il conseguimento di un complesso di finalità di interesse generale secondo regole del diritto comune non è superabile sostenendo la continuità tra le ragioni dell’amministrazione socia e quelle della società così come fissate nell’oggetto sociale, pena l’irreversibile stravolgimento delle regole di funzionamento[32]. Ai fini di interesse, invero, l’asservimento inferibile, per i nostri giudici, “dall’inserimento del soggetto privato nell’organizzazione funzionale dell’ente pubblico”, non è tale da confermare la soluzione contestata poiché, comunque, ha riguardo agli obiettivi materiali dell’attività e non alla natura del soggetto. D’altronde l’espletamento di funzioni pubbliche, non è riservata unicamente a soggetti pubblici per cui non è corretto inferire da quelle la pubblicità dell’ente[33].

Al di là della critica che deve essere mossa alla giurisprudenza, non può trascurarsi

come quel modo di ragionare venga pesantemente ad orientare -in maniera mortificante- l’attività dell’organizzazione lucrativa, condizionando l’operato degli amministratori, obbligandoli al rispetto di principi pubblicistici che non avrebbero ragione d’essere nell’esercizio dell’impresa privata. Poiché l’attività di un ente privato funzionalizzato si sostanzia in attività amministrativa non autoritativa si ritiene che quella deve rispettare i criteri fondamentali che ordinano l’azione della P.A. con una conseguente inevitabile compressione dell’operatività dei gestori esposti alla responsabilità speciale in caso di loro trasgressione[34]. Così, ad esempio, l’amministratore di una società per azioni derivata dalla trasformazione di un ente pubblico economico, pena la responsabilità amministrativa, non è libero di effettuare le scelte organizzative che gli appaiano più congrue in una prospettiva di medio termine, anche se le reputa più appropriate, poiché, in principio, dovrà operare orientato dal criterio dell’economicità, inteso nella sua versione imperativa come impositivo di opzioni organizzative coltivabili con risorse interne, salva dimostrazione di stati di necessità[35]. Quindi, l’organo di gestione di società in mano pubblica si vede preclusa la possibilità di una riorganizzazione dell’apparato aziendale se questo implichi un temporaneo impiego di risorse esterne più efficienti di quelle interne temporaneamente inutilizzate o il compimento di atti da cui non ne deriva un’utilità immediata ed evidente.

Incidentalmente è da sottolineare come gli effetti della riqualificazione trascendono i profili del diritto sostanziale riflettendosi anche sul versante processuale[36].

La posizione del convenuto risulta aggravata rispetto a quella del processo civile, per quanto si sostenga l’identità della distribuzione dell’onere probatorio e dunque l’assimilazione all’attore del procuratore contabile[37]. Nel giudizio speciale l’amministratore della società a partecipazione pubblica deve dimostrare la razionalità ed economicità della propria condotta che la Procura contesta ed afferma contraria a quei principi di corretta amministrazione, dando ragione della mancata produzione del danno lamentato. La scorrettezza della condotta e la sua dannosità paiono, in principio, presunte ed, in specie, l’incidenza negativa dell’azione, viene normalmente tratta dall’accertamento di una qualunque inosservanza di obblighi anche se non si individua il conseguente depauperamento patrimoniale. Quindi si risponde se non si hanno impiegato al meglio le risorse esistenti, se non si sfruttano immediatamente le opportunità acquisite previo un esborso[38], se si effettuano delle spese per prestazioni di cui non si ritrae un beneficio immediato[39] od, infine, e più in generale, se non si sono rigorosamente rispettate tutte le prescrizioni normative[40].

Dalla possibile incidenza sui fini del soggetto pubblico della condotta illegittima, si deriva l’esistenza di una lesione patrimoniale da ovviare con un risarcimento -definito in via equitativa- per aver compromesso un’attività che, se pur svolta in forme privatistiche, è comunque amministrativa. In altri termini, la compromissione dell’interesse della pubblica amministrazione fa presumere l’esistenza di un danno patrimoniale.

Come si vede l’amministratore di società a partecipazione pubblica in sede contabile risponde per un qualche cosa di diverso e ragionevolmente per una rosa di ipotesi più ampia rispetto a quelle che potrebbero essere fatte valere sul versante civilistico esercitando l’azione per danno diretto (ex art. 2395 c.c.). Anche a prescindere dalla peculiarità della responsabilità amministrativa[41], basti considerare, che quando si fa questione della prima non si pongono quelle preoccupazioni di diritto comune che, per evitare un doppio addebito per lo stesso fatto, richiede la rigorosa diversità della lesione per cui si agisce in via individuale rispetto a quella azionabile dalla società (art. 2393 c.c.) od, in via sostitutiva, dai suoi soci (art. 2393-bis c.c.)[42].

4. Dalla frenata all’accelerazione. La sublimazione dei presupposti della giurisdizione erariale e l’ampliamento dell’azione diretta nei confronti degli amministratori. - La tendenza all’allargamento dell’ambito della responsabilità amministrativa non viene, peraltro, attuata solo seguendo la via della c.d. riqualificazione; la prospettiva del danno diretto, al di là degli auspici della dottrina e delle difficoltà di ogni pronostico[43], consente di colpire anche gli amministratori di società non assimilabili ad enti pubblici.

Quella sentenza di fine 2009 delle Sezioni unite, criticata per taluni suoi aspetti ambigui[44] e per aver operato un depotenziamento della sfera di azione della Corte dei conti [45], indica al giudice speciale un’agile via per lo svolgimento di un sindacato sulle condotte dei gestori degli enti lucrativi privati, e dunque, non riqualificabili. Ferma la natura privata della società è cioè possibile individuare uno spazio per l’iniziativa della procura erariale, accogliendo una concezione estensiva dei presupposti dell’azione della parte pubblica a tal punto ampia da risolversi nel postulare la loro esistenza. Il rapporto di servizio comunque si instaura con la P.A. ancorché non coincida con quello corrente tra l’ente lucrativo ed il suo socio pubblico. Ulteriormente, dall’esistenza del rapporto di servizio si deriva la seconda condizione della giurisdizione speciale, consistente nella riferibilità diretta del danno al patrimonio dell’ente socio.

Nella sostanza si vengono a sublimare o confondere quegli elementi essenziali ai fini del riconoscimento della giurisdizione contabile con un ragionamento sfumato di tipo circolare. L’amministrazione può anche ricorrere ad atti di diritto privato senza che la sua iniziativa – diretta alla soddisfazione di interessi generali- perda la intrinseca natura e, dunque, quella può sempre generare una responsabilità amministrativa. La stessa finalizzazione è tale da presupporre l’esistenza di un rapporto di servizio; rapporto di servizio che consente di considerare diretto, e quindi, oggetto di cognizione contabile, ogni conseguenza negativa della trasgressione dei principi che reggono l’azione della P.A.

Come è evidente il fatto stesso della partecipazione, se posto in relazione con i fini, per la giurisprudenza, consente di ritener dimostrata l’esistenza dei presupposti della giurisdizione speciale che risulta così scontata anche nei confronti dei gestori privati di società privata.

Le Sezioni unite ritengono implicito nel dato testuale dell’art. 16-bis, l. 102/2009, reputato di carattere c.d. “retrospettivo”, che la Corte dei conti possa conoscere comportamenti degli amministratori caratterizzati da una lesività diretta del patrimonio del socio. Quindi, se pur si esclude che l’esigenza di una tutela sostanziale delle risorse pubbliche permetta di affermare l’identità del rapporto di servizio di società e suo amministratore rispetto all’ente socio, poi, si ritiene che l’esistenza stessa di un autonomo rapporto di servizio dei secondi nei confronti del terzo sia insito nella sostanza delle cose e derivi dal fatto stesso della partecipazione pubblica.

La Corte regolatrice compie in tal modo un’operazione di totale svalutazione di quegli elementi discrettori della responsabilità amministrativa che, al contrario, dovevano essere rigorosamente riaffermati anche per giustificare la contrapposizione tra le società di diritto comune a partecipazione pubblica e quelle di diritto speciale -di natura pubblica- come tali amministrazioni a tutti gli effetti. Amministrazioni, a codice organizzativo tendenzialmente uniforme -per essere il diritto comune applicabile in quanto dispositivo o residuale[46]- i cui amministratori e dipendenti sono soggetti alla giurisdizione contabile poiché il rapporto di servizio –di natura contrattuale- coincide con la relazione che li lega alle prime ed il danno è diretto proprio perché immediatamente sopportato dalla P.A.

Risulta pertanto difficile aderire alla più ottimistiche ricostruzioni sol si consideri che la via intrapresa dalle Sezioni unite fa venir meno la distinzione tra l’una e l’altra “categoria”. La catarsi o sublimazione delle condizioni della giurisdizione contabile è, invero, coltivata con ferma determinazione quando le Cassazione postula l’esistenza di “situazioni di tensione” –o forse meglio di attrito- “tra modello giuridico e fenomeno sottostante” insito nella presenza stessa nella compagine sociale di un ente pubblico. Partecipazione pubblica, va evidenziato, che è considerata fattore prevalente e tale da superare la tendenziale impersonalità dell’investimento in società di capitali e quindi non trascurabile[47]. Ed è proprio dalla rilevazione di quella che si trae il dovere degli amministratori di tener conto delle aspirazioni della P.A. anche se queste non trovano riconoscimento in uno statuto “legale speciale” ma emergono dalla giustificazione della scelta organizzativa -a monte- costituita dall’acquisto o sottoscrizione di quote od azioni.

L’elisse argomentativa, sintetizzabile nell’aver individuato il fondamento della giurisdizione contabile nel fatto della presenza del pubblico nella compagine sociale posta in relazione con gli obiettivi o motivi del primo, consente alle Sezioni unite di non mortificare il raggio d’azione del giudice speciale salvando l’estetica. Permette, cioè, di raggiungere un risultato senza sovrapporre o confondere –almeno nominalisticamente- l’interesse sociale con l’interesse pubblico, riservando all’uno ed all’altro la tutela offerta dai rispettivi strumenti tipici[48].

Si tratta però, deve ribadirsi, di una soluzione assolutamente discutibile ed iniqua. Discutibile perché il danno alla società letto attraverso la “lente” dell’interesse del socio viene considerato danno diretto al patrimonio di quest’ultimo. Iniqua poiché si risolve nell’addossare agli amministratori delle società con soci pubblici l’osservanza di un carico aggiuntivo di parametri di diligenza e prudenza che non sono loro propri[49]. Quelli, invero, risultano esposti alla responsabilità amministrativa per il fatto stesso di rivestire il ruolo gestorio e come tali, in via extracontrattuale, obbligati alla considerazione degli interessi del socio, e tenuti ad ispirare la loro azione concreta ai principi ed alle regole che informano l’azione del secondo.

A ben vedere, se l’unico elemento qualificante è dato dal fatto descritto si può ipotizzare, richiamando una figura nota alla dottrina civilistica, che si sia introdotta a carico dei componenti degli organi di gestione ed a favore della P.A. un responsabilità da “contatto sociale”. Figura cui la nostra giurisprudenza ricorre quando vuole garantire nel modo più ampio la possibilità del risarcimento del titolare di interessi costituzionalmente garantiti[50], che nel nostro caso sono individuati in quello dell’efficienza e buon andamento dell’art. 97 Cost.

In piena sintonia con le indicazioni della sentenza 26806/2010 si muove una recente pronuncia del giudice speciale, che tra dalla prima conferma della propria giurisdizione. La sezione toscana della Corte dei conti[51] giunge al singolare risultato di condannare l’amministratore delegato di Firenze Fiere s.p.a. a risarcire gli enti pubblici soci di quel danno patito dalla società per aver il primo –con grave colpa- compiuto acquisti di beni strumentali non immediatamente impiegati e per aver conferito incarichi professionali non rivelatisi utili per lo svolgimento dell’impresa sociale. Il collegio, richiesto di porre a carico del convenuto le conseguenze di quelle scelte censurate, non esita a rigettare l’eccezione sulla giurisdizione richiamandosi alle peculiarità del caso concreto e valorizzando un indice normativo “indiretto”.

La specificità della situazione di Firenze Fiera s.p.a., caratterizzata da una partecipazione pubblica quasi totalitaria, dalla coerenza dei fini statutari con quelli degli enti soci e dalla disponibilità di beni demaniali giustificano la qualificazione dell’attività sociale come di interesse pubblico con i conseguenti limiti al suo svolgimento. Non rileva, quindi, che l’azione sociale si esplichi tramite atti puramente privati né l’assenza di elementi indicativi di uno statuto speciale. Per la Corte fiorentina, in linea con la precedente giurisprudenza della Cassazione, l’attività svolta da una società di capitali anche grazie alla disponibilità di beni demaniali derivati da una concessione amministrativa “(…) è qualificabile come esercizio di una funzione amministrativa e determina l’inserimento della società stessa nell’apparato organizzativo della P.A., dando luogo ad un vero e proprio rapporto di servizio pienamente idoneo a giustificare l’esercizio della giurisdizione contabile (…)” nei confronti degli amministratori. Infatti quella relazione, presupposto dell’addebito di responsabilità “erariale”, può aver natura extracontrattuale nei confronti di quel soggetto di cui l’interlocutore diretto della P.A. si avvale per lo svolgimento di quanto necessario all’attuazione delle finalità pubbliche[52]. Per il giudice di merito si raggiungerebbe la “quadratura del cerchio” poiché la funzionalizzazione dell’attività conseguente alla concessione di beni e l’emersione di interessi generali retrostanti avrebbe una rilevanza obiettiva; dimostrerebbe, in specie, l’esistenza di una relazione funzionale con gli enti territoriali ed ogni distorsione di questa, imputabile in forza del rapporto di servizio extracontrattuale agli amministratori, si rifletterebbe immediatamente e negativamente a carico dei soci e del loro patrimonio.

La conferma indiretta del valore condizionante della presenza pubblica è poi tratta dall’art. 3, 27°comma, della legge finanziaria per il 2008 che limita la partecipazione degli enti pubblici a società dirette “al perseguimento delle proprie finalità istituzionali” o all’erogazione di “servizi di interesse generale”. Per il giudice toscano il dato testuale confermerebbe come l’adesione del socio pubblico sia condizionata dal tipo di attività della società e come, viceversa, questa non sia insensibile alla natura pubblica dei suoi soci così “(…) convalidando la natura pubblica delle funzioni svolte dalla stessa” con soggezione della medesima ai principi dell’azione amministrativa.

Il magistrato erariale, dunque, “aggiusta il tiro”. E di qui un’obiettiva scorrettezza ed iniquità della soluzione giurisprudenziale. Forse, infatti, può accettarsi che l’organo gestorio di una amministrazione “travestita” da società possa rispondere della cattiva gestione innanzi al giudice speciale e risarcire quei danni causati direttamente al patrimonio dell’ente costituito apparentemente come s.p.a. od s.r.l. In una prospettiva semplicistica potrebbe ritenersi indifferente il modo con cui si ripara alle perdite colpevoli poiché a fronte di una compagine interamente pubblica il ristoro viene disposto a favore del soggetto che è amministrazione sostanziale. Ciò che, invece, è assolutamente inaccettabile è che l’amministratore di società “vera”, come quelle oggetto di interesse, sia chiamato innanzi al giudice speciale per rifondere direttamente il socio di un danno che potrebbe solo obiettivamente incidere sul patrimonio sociale. È, credo, indubbio che la lesione provocata dall’amministratore infedele, perché corrotto, ricada direttamente ed esclusivamente sull’organizzazione lucrativa, analogamente a quando può verificarsi quando un dipendente di società interamente privata sveli dietro compenso ai concorrenti dei segreti aziendali privandola così di un vantaggio commerciale od, ancora, il gestore ponga in essere degli atti non immediatamente “profittevoli”.

In conclusione, anche l’amministratore di società “vera” partecipata da enti pubblici può rispondere come il collega della società “finta” in ipotesi per cui non è dato esperire l’azione individuale (art. 2395 c.c.)[53].

5. La tutela patrimoniale degli enti ed i doveri e responsabilità dei soggetti facenti parte dell’apparato organizzativo del socio pubblico.- Un cenno finale merita l’ultimo argomento – di carattere compensativo- relativo all’obbligo di autotutela posto a carico dei rappresentanti del socio pubblico. La declamata esclusione dei danni societari diretti dall’ambito della responsabilità amministrativa viene, infatti, retoricamente bilanciata evidenziando come quella non importa la creazione di un’area di impunità. I soci, infatti, non sono costretti ad assistere passivamente alle scelte degli amministratori poiché dispongono di una gamma di strumenti di reazione che -sia pur variabile in funzione del diverso modello societario- consente di far fronte ed arginare le scorrettezze dei primi.

Non c’è vuoto nel sistema posto a protezione del valore di quella componente del patrimonio pubblico immobilizzato in quote od azioni poiché il rappresentante della P.A. -o chi è investito del potere decisionale- potrà attivare quegli strumenti civilistici predisposti per eliminare le conseguenze della cattiva gestione, evitarne l’aggravamento od addirittura prevenirla[54]. Omissione, si sottolinea, che se gravemente colpevole esporrà l’obbligato alla responsabilità amministrativa [55].

A guardare bene, però, la Corte regolatrice nulla aggiunge a quella tendenza alla responsabilizzazione di tutti coloro che possono in qualche modo incidere sulla conservazione di risorse pubbliche. Da tempo il giudice contabile censura le condotte attive ed omissive di chi è nella condizione –giuridica o di fatto- di concorrere alla causazione del risultato negativo od ha la possibilità di attenuarlo anche parzialmente. L’esame della “variopinta” casistica evidenzia come gli amministratori pubblici ed i soggetti appartenenti all’apparato burocratico dei soci vengono chiamati a rispondere per colpa grave quando sia ipotizzabile l’attuazione di un comportamento potenzialmente idoneo ad evitare o contenere la perdita lamentata dal socio, così come se la loro iniziativa positiva si ponga in contrasto con un precetto giuridico, che impone un comportamento diverso da quello seguito.

Il sindaco risponde verso il proprio Comune del danno a questi causato dal mancato esercizio di quelle prerogative societarie quali la messa in liquidazione dell’ente lucrativo o l’avvio dell’azione di responsabilità contro gli amministratori poiché iniziative reputate in grado di contenere le perdite di gestioni antieconomiche[56]; parimenti, l’assessore regionale risponde per aver impartito direttive attuate dalla società strumentale dell’ente territoriale quando queste si rivelano causa di perdite patrimoniali[57]; a monte, ancora, i componenti di un consiglio comunale rispondono per aver approvato la costituzione di società inutili, in cui l’impegno stesso del capitale sociale si rivelava già una perdita[58]. C’è responsabilità amministrativa per colpa grave, in sintesi[59], se appaia- in esito ad un giudizio ex ante – che l’inerzia serbata sia incompatibile con chiari indici di allarme che attualizzavano un obbligo di attivazione o se la scelta operata non risulta conforme ad una specifica norma od alla sua pacifica elaborazione giurisprudenziale[60].

È singolare, peraltro, come l’argomento compensativo abbia una base normativa di solidità inversamente proporzionale a quella della responsabilità degli amministratori, fondata sostanzialmente sulla pretesa alla più rigorosa repressione della dissipazione di risorse pubbliche[61]. L’istituto della resa giudiziale del Conto, applicabile anche a chi è investito dell’impiego di azioni, partecipazioni e dell’esercizio dei loro diritti[62], costituisce un chiaro indice di responsabilizzazione[63].

Chi ha la disponibilità di questi beni deve dare ragione delle proprie scelte, anche con riguardo alle prerogative attribuite dai titoli partecipativi, onde consentire una verifica della correttezza dell’operato, proprio in funzione conservativa delle risorse affidate. L’obbligo di trasparenza delle scelte ha, dunque, il suo referente nel dovere di conservazione ed oculata gestione delle immobilizzazioni finanziarie che viene garantito da un controllo successivo da cui può, appunto, derivare la responsabilità amministrativa ove emerga il mancato impiego di uno degli strumenti messi a disposizione dal diritto societario – tra cui ad esempio la denuncia al tribunale prevista dall’art. 2409 cod. civ.[64]- per far fronte alle scorrettezze degli amministratori.

L’assenza d’aspetti innovativi dell’argomento retorico (compensativo) impiegato dalla Cassazione consente, peraltro, di ridimensionarne la portata e ragionevolmente induce ad escludere che quello possa spingere i rappresentanti dei soci pubblici verso forme di “attivismo difensivo”. Per quanto sia stato prospettato[65] è difficile immaginare una corsa al contenzioso od una sua crescita indotta dal timore di un addebito poiché anche le iniziative conservative o recuperatorie devono essere adeguatamente ponderate e motivate. L’opportunità di una qualunque opzione operativa dovrà essere valutata in ragione delle sue possibilità di successo, considerando il rapporto tra costi e benefici ed in specie il risultato che ci si può attendere[66]. L’avvio delle più incisive forme di reazione individuale (art. 2393-bis e art. 2409 c.c.) comporta sempre l’assunzione di costi da parte dell’amministrazione e quelle, a loro volta, si possono rivelare fonti di costi ulteriori per la medesima. Pertanto lo stesso spettro della responsabilità amministrativa diviene l’antidoto contro la proliferazione di iniziative non seriamente fondate.

 



(*) Scritto destinato alla Rivista del diritto societario (Giappichelli).

[1] La pronuncia è stata commentata dalle più diffuse riviste giuridiche e può leggersi, in: Foro it., 2010, I, 1477 ss., con nota di D’Auria, “Non esiste (con eccezioni) la responsabilità erariale per i danni cagionati alle società pubbliche dai loro amministratori”; Giur. it., 2010, 853 ss. con note di Cagnasso, “Una “brusca frenata” da parte delle Sezioni unite della Cassazione alla vis espansiva della responsabilità amministrativa – contabile” e di Patrito, “Responsabilità di amministratori di società a partecipazione pubblica: profili di giurisdizione e di diritto sostanziale”, 1709 ss.; Foro amm. Cons. Stato, 2010, 71 ss. con note di Sinisi, “Responsabilità amministrativa di amministratori e dipendenti di s.p.a. a partecipazione pubblica e riparto di giurisdizione: l’intervento risolutivo delle Sezioni Unite della Corte di cassazione” e di Tenore, “La giurisdizione della Corte dei conti sulle s.p.a. a partecipazione pubblica”; Giornale dir. amm., 2010, 935 con nota di Cartei – Crea, “La Cassazione, le società partecipate e la responsabilità amministrativa”; www.lexitalia.it, 2010, (n. 1), con note di Colonna, “Danni al patrimonio delle società. Difetto di giurisdizione della Corte dei conti – giurisdizione del Giudice ordinario” e Capalbo, “I limiti esterni alla giurisdizione della Corte dei Conti e società partecipate: una brusca battuta d’arresto”.

[2] Cass., Sez. Un., 15 gennaio 2010, n. 519, Società, 2010, 803 ss., con nota di Ghiglione - Bailo, “Responsabilità degli amministratori delle società a partecipazione pubblica: l’orientamento delle SS.UU”.

[3] Per i riferimenti giurisprudenziali e dottrinali relativi alla tesi della esclusività dell’azione erariale o per la sua prevalenza rispetto a quella di responsabilità del diritto delle società mi si consenta il rinvio a Romagnoli, “Gestione e controllo di Enti. Profili di responsabilità erariale per l’impiego di risorse pubbliche in società”, Danno e resp., 2009, 568 ss.; Id, “La responsabilità degli amministratori di società pubbliche fra diritto amministrativo e diritto commerciale”, Società, 2008, 441 ss.

[4] Impostazione condivisa tanto dalla dottrina commercialistica che amministrativista. Per tutti, si vedano: Ibba, “Azioni ordinarie di responsabilità e azione di responsabilità amministrativa nelle società in mano pubblica. Il rilievo della disciplina privatistica”, in Riv. dir. civ., 2006, II, 145 ss.; Rossi, “La responsabilità degli amministratori delle società pubbliche”, in Giur. comm., 2009, I, 521 ss.; L. Torchia, “La responsabilità amministrativa per le società in partecipazione pubblica”, (2009) www.assonime.it ed in Giornale dir. amm., 2009, 791 ss. Nello stesso senso si veda anche Santosuosso, “ Società a partecipazione pubblica e responsabilità degli amministratori (contributo in materia di privatizzazioni e competenza giurisdizionale)”, RDS, 2009, 53 ss, che, però, sembra diversificare la soluzione anche in funzione delle diverse ipotesi d’impiego della società

[5] Sulle problematiche sollevate dalla partecipazione degli enti pubblici a società di capitali e sulle ricadute sul riparto di giurisdizione si veda l’ampio studio di Antonioli, Società a partecipazione pubblica e giurisdizione contabile (Milano, 2008), passim.

[6] Per tutti, si veda Cintioli, “La disciplina pubblicistica e corporate governante delle società partecipate dagli enti pubblici”, in www.giustamm.it, 2010, (n. 6), 3, che ipotizza che il dato caratterizzante il recente sviluppo della partecipazione a società da parte delle amministrazioni sia individuabile nella evidente contaminazione pubblicistica del regime giuridico degli enti formalmente privati. Analogamente, Gasparini, “La responsabilità degli amministratori nonché dei dipendenti delle società a partecipazione pubblica. Il difficile rapporto con la responsabilità amministrativa per danno all’erario”, www.giustamm.it, 2009, (n. 12), 2, per la quale il modello della società per azioni partecipata in misura più o meno maggioritaria o totalitario dallo Stato o enti pubblici, anche se formalmente sottoposto al regime codicistico societario, si è nel tempo trasformato “in un ibrido giuridico”.

[7] Cagnasso (supra, n. 1), spec. 861.

[8] In tal senso, oltre alla dottrina citata nelle note precedenti, si vedano anche Chiti, “Carenze della disciplina delle società pubbliche e linee direttrici per un riordino”, (2009), in www.assonime.it, ed in Giornale dir. amm., 2009, p. 1115 ss. e Della Cananea, “Responsabilità degli amministratori di società pubbliche e regole della concorrenza”, RDS, 2007, (n.4), 49 ss. e spec. 55-56.

[9] Per la ricostruzione della vicenda processuale, per tutti, si veda, Sinisi (supra, n. 1), 79 ss.

[10] Tentore (supra, n. 1), 102-103.

[11] Ibba, “Forma societaria e diritto pubblico”, Riv. dir. civ,. 2010, I, 386.

[12] Così Cass., Sez. Un., 22 dicembre 2009, n. 27092, Foro it., 2010, I, 1472, spec. 1475, relativa alla soggezione alla responsabilità amministrativa degli amministratori della R.A.I. s.p.a. e Cass., Sez. Un., 3 marzo 2010, n. 5032, www.giustizia.it, che afferma la stessa soluzione per i dipendenti di ENAV s.p.a.

[13] Cfr Romagnoli, “Gestione e controllo” (supra, n. 3), 596 ss.

[14] L’impostazione riferita è oggetto di una serrata critica da parte della dottrina. Per tutti si veda, L. Torchia (supra, n. 4), 10, ss., che sottolinea come la tesi sostanzialista, affermatasi nella giurisprudenza, porta a riconoscere “(…) la sostanza pubblicistica – per la presenza di un interesse, di un fine o di una destinazione di attività- e a trarne quale conseguenza l’ampliamento dell’ambito di applicazione di regole e di principi pubblicistici anche in assenza di una espressa previsione di legge, come effetto di un processo ricostruttivo invece che interpretativo”. Nello stesso senso Chiti (supra, n. 8), 8, critica la posizione del giudice contabile affermando la “(…) carenza di base giuridica” per la configurazione dell’illecito erariale degli amministratori di società a partecipazione pubblica.

[15] Romagnoli, “La responsabilità” (supra, n. 3), 444. Per una autorevole ed attenta analisi critica dell’evoluzione giurisprudenziale si veda Sorace, “La responsabilità amministrativa di fronte all’evoluzione della pubblica amministrazione: compatibilità, adattabilità o esaurimento del ruolo?”, Dir. amm., 2006, 249 ss.

[16] Si deve segnalare, come molti studi sul tema, elaborati da cultori del diritto appartenenti alla magistratura contabile, negano fermamente -quanto sbrigativamente- la necessità di una previsione espressa reputando sufficiente la dizione dell’art. 1, comma 4, legge 14 gennaio 1994, n. 20, in connessione con quell’allargamento della nozione di contabilità pubblica conseguente all’ampliamento della nozione di soggetto pubblico, oggi idonea a ricomprendere anche organizzazioni a struttura civilistica che agiscono tramite atti di diritto privato. In tal senso, tra i tanti, si segnalano, Chiappinello, La responsabilità amministrativa nel giudizio dinnanzi alla Corte dei conti, (Roma, 2007), 53 ss. e Tenore, “La responsabilità amministrativo – contabile: profili sostanziali”, in Tenore (a cura di), La nuova Corte dei conti: responsabilità, pensioni, pensioni, controlli (Milano, 2008), 30 ss. La tesi è stata, peraltro, ribadita dopo la pubblicazione della sentenza n. 26806/2009. Criticando le apparenti chiusure della Corte regolatrice se ne è sostenuta l’erroneità- Schiltzer, “Le più recenti innovazioni legislative e giurisprudenziali in materia di responsabilità amministrativa e di processo contabile”, in Foro amm. Cons. Stato, 2010, 230-231- nella parte in cui pare affermare che la responsabilità amministrativa non rientra tra quelle che, la costituzione attribuisce al giudice contabile. L’adesione alla lettura più ampia del secondo comma dell’art. 103 della carta fondamentale, si imporrebbe in forza di quel criterio “continuista”, secondo cui la Corte dei conti, in quanto giurisdizione speciale antecedente alla carta fondamentale sarebbe stata salvata dal costituente -nonostante l’affermazione di segno opposto- “(…) proprio perché continuasse ad esercitare la giurisdizione sulla materia che già aveva, quella della responsabilità essenzialmente materia che veniva quindi << costituzionalizzata>> sussumendola tra quelle della contabilità pubblica”. Comunque, anche a voler rinunciare alla ricostruzione ritenuta preferibile, si è ribadito (232) come, sia pur tardivamente ed implicitamente, il legislatore abbia operato l’attribuzione della cognizione della responsabilità societaria al giudice speciale. Come in passato anche da altri sostenuto –Perini, “S.p.a. pubbliche; controllo o impunità? Soluzioni del decreto mille proroghe e novità giurisprudenziali”, www.lexitalia.it, 2008, (n.3), 3- dall’art. 16 bis, l. 31/2008, si ricaverebbe a contrario che quella spetta in tutte le ipotesi diverse da quelle in cui l’ente pubblico non disponga di una partecipazione di maggioranza in società quotata nei mercati regolamentati. Per una critica, se non ci si inganna, ancora più radicale, si veda Cartei – Crea (supra, n. 1), 940, secondo cui sarebbe incomprensibile la posizione della Cassazione poiché anche il danno alla società si sostanzia in “(…) un danno economico per il pubblico erario, avente un’incidenza diretta sulle capacità finanziarie dell’ente pubblico, quale conseguenza della condotta tenuta da parte degli amministratori della società”.

[17] Santonastaso, Le società di diritto speciale (Torino, 2009), 540 ss.; Donativi, Le nomine pubbliche alle cariche sociali nelle società per azioni (Torino, 2010), 415 ss.

[18] Cerulli Irelli, Lineamenti di diritto amministrativo2 (Torino, 2010), 252.

[19] In tal senso si segnala Cass., Sez. Un., 3 marzo 2010, n. 5019, www.lexitalia.it., ove , in motivazione, per differenziare la responsabilità per distrazione di contributi pubblici dal danno alla società, sottolinea che “(…) nell’allocazione della pubblica provvista in forma di partecipazione al capitale sociale, nella quale gli scopi perseguiti dalla pubblica amministrazione degradano a motivi dell’atto di partecipazione alla costituzione della società, o di acquisto delle sue azioni, ambedue estranee all’agire successivo della società. La pubblica provvista confluisce in tal caso nel capitale sociale, presidiato da regole che non si collocano sul paino di un rapporto intersoggettivo tra pubblica amministrazione che conferisce il danaro e la società, ma su quello dell’ordinamento interno dell’ente di diritto privato e dunque della responsabilità degli organi che la governano verso la società stessa”.

[20] Bonelli, Gli amministratori di società per azioni (Milano, 2004), 213 ss e spec. 224; Bracciodieta, La nuova società per azioni (Bari, 2006), 42 ss.

[21] Cass., 22 marzo 2010, n. 6870, www.giustizia.it. In modo ancor più nitido si segnala anche Cass., 23 giugno 2010, n. 15220, www.giustizia.it, secondo cui L'art. 2395 c.c. esige, ai fini dell'esercizio dell'azione di responsabilità del socio nei confronti degli amministratori, che il pregiudizio subito dal socio non sia il mero riflesso dei danni eventualmente arrecati al patrimonio sociale, ma gli derivi direttamente come conseguenza immediata del comportamento illecito degli amministratori: pertanto, né l'inattività dell'assemblea, né la perdita del capitale sociale e né l'inadempimento contrattuale posto in essere dall'amministratore integrano, di per sé, i presupposti della disposizione, in quanto la prima inerisce al mero funzionamento degli organi sociali e non comporta necessariamente un danno alla società o al socio, mentre il capitale è un bene della società e non dei soci, i quali dalle perdite subiscono soltanto un danno riflesso a causa della diminuzione di valore della propria partecipazione, ed, infine, il mancato rimborso della somma presa a mutuo dalla società può comportare la responsabilità dell'amministratore soltanto quando derivi da un illecito colposo o doloso dell'organo nell'inadempimento del mutuo”.

[22] Cfr Torchia (supra, n. 4), 12, che osserva come la difficoltà rilevate nei giudizi contabili di individuare sempre un concreto danno patrimoniale all’erario siano state superate “(…) tramite l’individuazione -da parte della giurisprudenza- di nuove fattispecie di danno, quali il danno all’immagine e al prestigio dell’amministrazione, i danni immateriali, il danno alla comunità della quale l’amministrazione è ente esponenziale, il danno per mancata realizzazione dei risultati programmati, che consentono di giungere all’imputazione della responsabilità e alla condanna anche in assenza di un danno patrimoniale accertato”.

[23] Cass., Sez. Un., 27092/2009 (supra, n. 1), secondo cui nel caso della R.A.I. deve essere esclusa la giurisdizione del giudice ordinario “(…) data la natura sostanziale di ente assimilabile a una amministrazione pubblica che le va riconosciuta, nonostante l’abito formale che riveste di società per azioni (peraltro partecipata totalitariamente da enti pubblici: lo Stato per il 99,55 per cento e Siae – Società italiana autori ed editori per il residuo 0,45 per cento); ne discende la qualificabilità come erariale del danno cagionatole dai suoi agenti, nonché da quelli degli enti pubblici azionisti, con conseguente loro assoggettabilità all’azione di responsabilità amministrativa davanti al giudice contabile come è dato desumere dai peculiari caratteri del regime della stessa R.A.I.”.

[24] Pur condividendo le perplessità di fondo manifestate dalla più autorevole dottrina – Ibba (supra, n. 11), 365- sul dibattito sviluppatosi nel corso degli anni relativamente alla natura pubblica di talune società, non credo possa convenirsi sul carattere stucchevole che ad esso è stato attribuito. Quello, invero, se in parte genera da una visione panpubblicistica del fenomeno associativo, che in tesi contempla una generale prevalenza dell’interesse pubblico- cfr Napolitano, Pubblico e privato nel diritto amministrativo (Milano, 2003), 24 ss.- in parte risponde ad un’evidente esigenza pratica. La dimostrazione della natura pubblica consente, infatti, di trasporre in principio all’organizzazione societaria gli istituti pubblicistici e, per quello che ci interessa, permette di individuare nel contratto di amministrazione il rapporto di servizio e quindi di riferire immediatamente alla pubblica amministrazione il danno da cattiva gestione.

[25] Sul problema per tutti si veda Cerulli Irelli (supra, n. 18), 109 ss. Il risultato della riqualificazione in termini pubblicistici viene raggiunto dalla giurisprudenza combinando in vario modo -e non necessariamente costante- una serie di indici sintomatici che portano alla dimostrazione per via critica della reale natura dell’organizzazione oggetto di indagine. Nella sostanza, il ragionamento seguito è di tipo presuntivo; dalla ricorrenza di una pluralità di indizi di pubblicità se, reputati, gravi, precisi e concordanti si trae la conclusione della sostanza amministrativa.

[26] Evidenzia il dato testuale al fine dell’individuazione del regime di responsabilità degli amministratori, Santonastaso (supra, n. 17), 578.

[27] Romagnoli, “La responsabilità” (supra, n. 3), 443.

[28] In senso critico, si esprime D. Sorace (supra, n. 15), 244, che osserva come gli argomenti utilizzati per dimostrare -nel silenzio dell’art. 1, legge, 20/1994- la soggezione alla responsabilità amministrativa prima dei dipendenti ed amministratori di enti pubblici economici – che sono i medesimi su cui si fonda l’estensione agli amministratori di società- sono assolutamente controvertibili.

[29] Cerulli Irelli (supra, n. 18), 447.

[30] La più attenta dottrina- Domenichelli, Introduzione, in Domenichelli (a cura di), La società”pubblica” tra diritto privato e diritto amministrativo (Padova, 2008), 13- non ha mancato di rilevare come le eventuali limitazioni poste all’azione, anche imprenditoriale, di un’organizzazione non modifichino l’istituto societario così come la protezione di taluni interessi pubblici non è in grado di giustificare una metamorfosi dell’ente privato ma solo una regolazione delle sue attività.

[31] L’elemento “finalistico funzionale” viene impiegato costantemente dalla giurisprudenza come “cornice”, attribuendogli un valore determinante ai fini dell’individuazione della natura dell’ente danneggiato e dunque per il riparto di giurisdizione. Tra le tante si veda, Corte conti, sez. Lombardia, 10 luglio 2009, n. 476, www.corteconti.it, che afferma la propria giurisdizione nei confronti degli amministratori della società Casinò Municipale di Campione d’Italia s.p.a., ritenendo dimostrata la sua natura di società pubblica di diritto speciale dall’abilitazione legislativa all’esercizio di un’attività peculiare, altrimenti vietata dalla legge penale, permessa per consentire una particolare forma di finanziamento degli enti locali soci.

[32] È affermazione, d'altronde, condivisa in dottrina- Roversi Monaco - Maltoni, “Fondazioni e interessi generali”, www.giustamm.it, 2010, (n. 9), 6-7- quella secondo cui la soggezione di un’attività ad un regime speciale è compatibile con la natura privata del destinatario delle regole e che si debba aver riguardo ad una disposizione di legge per stabilire se l’attività di un soggetto privato possa dirsi investito della cura di un interesse pubblico.

[33] Si pensi al caso del concessionario di opere pubbliche che può essere investito del compimento di tutta l’attività necessaria alla sua realizzazione, compresa la conduzione del procedimento espropriativo, che si conclude con l’atto di acquisizione coattivo dei beni necessari alla costruzione.

[34] Pertanto si giunge a condannare- Corte conti, sez. Lazio, 25 giugno 2010, n. 1399, www.corteconti.it. - i componenti del consiglio di amministrazione di una società, derivata dalla trasformazione di un ente pubblico economico, per non aver dato adeguata giustificazione -e dunque risultando eccessiva- la somma riconosciuta per la definizione del rapporto di collaborazione di un cessato amministratore delegato.

[35] Muovendo sostanzialmente da tali premesse Corte conti, sez. Lazio, 3 agosto 2010, n. 1589, www.corteconti.it, che condanna il direttore generale di ANAS s.p.a. a risarcire quel danno derivato all’ente dall’aver appaltato soggetti esterni dei servizi che potevano, secondo la ricostruzione della procura erariale, essere svolti dalle strutture interne della società. L’amministratore pur godendo di una certa autonomia nelle proprie scelte deve contemperarle con “(…) la fondamentale necessità che tale autonomia realizzi i fini pubblici quali quella della sana gestione economica dell’ente cui il medesimo è preposto”. Infatti, per il giudice contabile, in caso di affidamenti di attività all’esterno, “(…) la P.A., in conformità al dettato costituzionale, deve uniformare i propri comportamenti ai criteri di legalità, economicità ed imparzialità, dei quali è corollario, per ius receptum, il principio per cui essa, nell’assolvimento dei compiti istituzionali, deve avvalersi prioritariamente delle proprie strutture organizzative e del personale che vi è preposto”.

[36] Romagnoli, “Gestione e controllo” (supra, n. 3), 574-575.

[37] Chiarezza – Vangelista, “Il giudizio di responsabilità innanzi alla Corte dei conti”, in Tenore (a cura di), La nuova Corte dei conti, (supra, n. 16), 426 ss.

[38] Corte conti, sez. Toscana, 15 maggio 2010, n. 176, www.corteconti.it.

[39] Corte conti, sez. Friuli Venezia-Giulia, 18 giugno 2009, n. 203, www.corteconti.it.

[40] Corte conti, sez. Friuli Veneiza-Giulia, 14 aprile 2010, n. 710, www.corteconti.it.

[41] Peculiarità comunque rilevante se si considera che la concorrente natura e funzione sanzionatoria e risarcitoria avrebbe l’effetto per una certa giurisprudenza – Corte conti, sez. Friuli Venezia-Giulia, 13 ottobre 2007, n. 656, www.corteconti.it di rendere assolutamente insensibile il giudizio contabile rispetto ai risultati conseguiti con l’azione civile.

[42] Cass., 23 giugno 2010, n. 15220 (supra, n. 21).

[43] Ibba (supra, n. 11), 368.

[44] D’Auria (supra, n. 1), 1497. Per una lettura in chiave problematica della sentenza n. 26806/2009, si veda anche Tesauro, “La responsabilità degli amministratori di società a partecipazione pubblica, a seguito della recente giurisprudenza della Corte di cassazione”, www.giustamm.it, 2010, (n. 7), 2 ss.

[45] Tra i più critici si segnala Tenore, (supra, n. 1), 103- che reputa la sentenza n. 26806/2009 elemento che concorre alla delineazione di un quadro desolante ed espressivo di un disegno “(…) teso a depotenziare la sfera di azione della Corte dei conti in uno dei settori, quello della mala gestio nelle società a partecipazione pubblica, in cui i comportamenti poco virtuosi o illeciti sono frequenti ed in crescita per vari motivi, tra i quali la assenza di adeguati controlli esterni ed imparziali e la possibile (colposa o dolosa) inerzia della compagine sociale, spesso incapace di cogliere profili di illegalità dei vertici gestionali o non interessata a perseguirli”.

[46] Cfr Romagnoli, “Il socio pubblico, le società di capitali e l’impresa: prospettive ed interferenze”, Nuova giur. civ., 2008, II, 81.

[47] Vedi par. 2.

[48] Necessità sottolineata in dottrina, su cui per tutti, Torchia (supra, n. 4), 15.

[49] Sorace (supra, n. 15), spec. 255.

[50] Paradigmatico di questo modo, credo discutibile, di procedere nell’ambito del diritto civile è il caso della responsabilità medica. Da tempo il sanitario dipendente di una struttura ospedaliera viene chiamato a rispondere -a titolo contrattuale ed in proprio- per colpa professionale verso il paziente in quanto il “contatto sociale” è ritenuto elemento generatore di una varia gamma di obbligazioni dirette nei confronti di quest’ultimo; le seconde, dunque, si affiancano a quelle altre che l’amministrazione sanitaria si assume con il “contratto” di ricovero e da cui deriva anche la promessa delle prestazioni dei propri professionisti. In tal senso Cass., 22 gennaio 1999, n. 589, Danno e resp., 1999, 294; Cass., 24 maggio 2006, n. 12362, Foro it. Rep., 2006, voce Professioni intellettuali, n. 197. Nel diritto commerciale, parimenti espressiva di questa tendenza è la responsabilità derivante dall’affermazione dell’apparenza di un rapporto associativo. Per rendere più probabile la soddisfazione dei creditori dell’impresa, si ammette che l’affidamento ingenerato nei terzi in merito all’esistenza di un’organizzazione comune da parte di chi si comporta come socio, possa avere, ai fini fallimentari, gli stessi effetti dell’esistenza della società- cfr Cass., 22 febbraio 2008, n. 4529, Fallimento, 2008, 911- ancorché non risulti raggiunta la prova dell’accordo costitutivo.

[51] Corte conti, sez. Toscana, 15 maggio 2010, n. 176 (supra, n. 38).

[52] La partecipazione pubblica giustifica l’assoggettamento dei gestori al giudice speciale analogamente a quanto la Cassazione afferma nel caso di distrazione di fondi pubblici o di loro illegittima percezione. Il tale ipotesi -Cass. Sez. Un., 3 marzo 2010, n. 5019 (supra, n. 19).- non dubita che “(…) l’instaurazione di un rapporto di servizio è correlata non solo alla riferibilità alla società beneficiaria del contributo, degli effetti degli atti dei suoi organi, ma anche alla attività stessa di chi, disponendo della somma erogata in modo diverso da quello preventivato o ponendo in essere i presupposti per la sua illecita percezione, abbia provocato la frustrazione dello scopo direttamente perseguito dall’amministrazione”.

[53] Per una rassegna delle quali si veda Chiappinello (supra, n. 16), 109 ss. e Attanasio, Rassegna ragionata di giurisprudenza in materia di responsabilità amministrativo-contabile, in Tenore, (a cura di), La nuova Corte dei conti (supra, n. 16), 205 ss.

[54] Per una panoramica del problema, anche se accompagnata da conclusioni non condivisibili, fondate una visione panbubblicistica del fenomeno della partecipazione pubblica a società, si veda Minerva, “Danno derivante da cattiva gestione di società a partecipazione pubblica (ovvero per una società pubblica “sincera”)”, (n.6), 2 ss., 2008, www.giustamm.it.

[55] Aspetto sottolineato da Cagnasso (supra, n. 1), 860.

[56] Corte conti, sez. Lazio, 10 settembre 1999, n. 1015, Giornale dir. amm., 1999, p. 235.

[57] Cass., sez. un., 27 febbraio 2008, n. 5083, Foro it., 2008, I, 189.

[58] Corte conti, sez. Trentino Alto-Adige, 10 aprile 2008, n. 19, www.corteconti.it.

[59] Romagnoli, “Gestione e controllo” (supra, n. 3), 570.

[60] L’esame della casistica giurisprudenziale evidenzia come ogni esborso effettuato in una situazione di criticità, come ad esempio la sottoscrizione di un aumento di capitale a ripianamento perdite- Corte conti, sez. Lazio, 2 febbraio 2010, n. 476, www.corteconti.it- divenga potenziale oggetto di una verifica giudiziale di razionalità.

[61] Cfr Sala, “La società <<pubblica>> locale tra diritto privato e diritto amministrativo”, in Domenichelli (a cura di), La società “pubblica”, (supra, n. 30), 50.

[62] Cass., Sez. Un., 27 marzo 2007, n. 7390, Foro it., 2008, I, cc. 196-197.

[63] Buscema, “La resa del conto dei titolari dei poteri azionari per le società a capitale pubblico”, www.giustamm.it, 2008, (4), 4.

[64] Buscema (supra, n. 63), 6.

[65] Ipotizza il rischio di forme di “automatismo difensivo” da parte del socio pubblico, Glinianki, “La responsabilità dell’ente socio per l’omesso esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti degli organi societari”, www.lexitalia.it, 2010, (n. 6), 3.

[66] Patrito (supra, n. 1), 1716.

 

Ultimo aggiornamento ( venerdì 18 febbraio 2011 )
 
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