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Il “coraggio” quale requisito soggettivo di partecipazione alle pubbliche gare d’appalto. PDF Stampa E-mail
lunedì 25 ottobre 2010

di FEDERICO PAGETTA.

Con la sentenza 4 ottobre 2010, n. 5269 (leggila qui) il T.A.R. Veneto affronta la questione concernente l’applicazione della clausola di esclusione dalle gare d’appalto prevista dall’art. 38, comma 1, lett. m ter), del D.Lgs. n. 163 del 2006 (lettera introdotta dall’art. 2, comma 19, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 c.d. “Pacchetto Sicurezza”) e la sua coerenza con l’ordinamento comunitario.

Com’è noto, la disposizione in parola preclude la partecipazione alle gare d’appalto a coloro – ossia ai soggetti di cui alla lettera b) del medesimo articolo 38 - che siano stati vittime dei reati di concussione o di estorsione, aggravati dalla finalità di favorire associazioni di tipo mafioso, e non risultino aver denunciato i fatti all’autorità giudiziaria. Detta norma, tuttavia, trova un temperamento e, dunque, non si applica nel caso in cui ricorrano le cause di esclusione della responsabilità previste dall’art. 4 della L. 24 novembre 21981, n. 689, ove cioè la mancata denuncia del fatto delittuoso sia connessa a) all'adempimento di un dovere, b) all'esercizio di una facoltà legittima, c) ad uno stato di necessità o, infine, d) a legittima difesa.

La circostanza della colpevole mancata denuncia – prosegue la lett. m ter) cit. – “deve emergere dagli indizi a base della richiesta di rinvio a giudizio formulata nei confronti dell’imputato nei tre anni antecedenti alla pubblicazione del bando e deve essere comunicata, unitamente alle generalità del soggetto che ha omesso la predetta denuncia, dal procuratore della Repubblica procedente all’Autorità di cui all’articolo 6, la quale cura la pubblicazione della comunicazione sul sito dell’Osservatorio”.

Seppur sia nobile il fine perseguito dal legislatore con l’introduzione della disposizione in commento, in quanto volta a contrastare la criminalità organizzata di stampo mafioso e più ancora l’omertà che la circonda, non pochi dubbi essa pone all’interprete in termini di legittimità costituzionale e di aderenza alla disciplina normativa europea in tema di appalti pubblici.

Mi riferisco, anzitutto, al carattere retroattivo della disposizione, ma anche alle circostanze che conducono alla sanzione: la norma, infatti, rimette alla discrezionalità dell’Autorità inquirente, in assenza di contraddittorio, valutare la “colpevolezza” o no del comportamento omissivo di un soggetto che – è bene rammentare – non ha commesso un reato, semmai lo avrebbe subito. Il condizionale è quanto mai d’obbligo in questo caso poiché siamo di fronte ad un fatto – il supposto reato – non ancora accertato dalla magistratura giudicante neppure in primo grado. La comminatoria della sanzione amministrativa de qua parrebbe, quindi, porsi in contrasto con i principi di partecipazione del privato e di giusto procedimento riconducibili all’art. 97 della Costituzione. A tacer d’altro, la norma in questione potrebbe essere “utilizzata” per falsare piuttosto che per favorire la concorrenza: un indagato potrebbe anche dichiarare che un imprenditore concorrente ha subito un’estorsione senza averla denunciata all’autorità giudiziaria per estromettere quest’ultimo dalla partecipazione alle gare d’appalto. Alla luce delle osservazioni e delle perplessità enunciate la norma sembrerebbe sintetizzabile nei termini seguenti: non può partecipare agli appalti pubblici l’imprenditore onesto, pulito, vittima (forse) di un reato che sia però “giudicato” (in assenza di contraddittorio) poco coraggioso dall’autorità inquirente.

Pur sollecitato da parte ricorrente a disapplicare la clausola normativa in commento per contrarietà all’ordinamento comunitario, nello specifico al principio di tassatività delle clausole di esclusione, il Giudice amministrativo veneto ha tuttavia ritenuto la norma conforme ai principi di derivazione europea atteso che “la rilevanza dell'omissione della denuncia di reati è di certo funzionale al contrasto del fenomeno criminale mafioso, ma mira a garantire la libera concorrenza e trasparenza nel settore dei pubblici appalti, considerando inaffidabile il contraente che non abbia denunciato le illecite richieste subite dalla criminalità organizzata”. È la stessa giurisprudenza comunitaria – prosegue il T.A.R. Veneto – a sostenere che “l’art. 29 della direttiva 92/50/CEE (norma questa che prima della direttiva 2004/18 UE coordinava le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi) "… deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che uno Stato membro, in aggiunta alle cause di esclusione contemplate da tale disposizione, preveda ulteriori cause di esclusione finalizzate a garantire il rispetto dei principi di parità di trattamento e di trasparenza, a condizione che tali misure non eccedano quanto necessario per conseguire la suddetta finalità …" (Corte giustizia CE, sez. IV, 19 maggio 2009, causa 538/2007).

Il dubbio di chi scrive è però che sia proprio il principio di parità di trattamento a soffrire in questo caso. Mi spiego con un esempio: per l’imprenditore di Reggio Emilia è più o meno facile aver coraggio rispetto a un collega di Reggio Calabria?

 

Ultimo aggiornamento ( lunedì 21 marzo 2011 )
 
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