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venerdì 03 giugno 2011

* Sintesi del seminario del 21 Maggio 2011 - di ROCCO GIACOBBE VACCARI – Foro di Padova

La professione di avvocato, da molti decenni, cerca di adeguare la propria disciplina normativa alle esigenze ed ai mutamenti della società e del mercato ma con risultati non sempre soddisfacenti. Questo è dovuto anche all’assenza di una riforma organica dell’istituto e all’utilizzo di interventi isolati, spesso attuati attraverso l’uso di regolamenti che difficilmente sono in grado di risolvere i problemi (anzi…).

In termini generali, l’avvocato è un libero professionista che ha scelto di esercitare un servizio di pubblica necessità e si rivolge al cittadino – consumatore. Da questo concetto emerge come il legale nel prestare la propria opera professionale debba tener presente la tutela del consumatore (es. D.Lgs. n. 2006/2005) che l’Ordinamento giuridico riconosce al suo assistito.

In tale ottica si pongono due recenti Regolamenti molto dibattuti: il “Regolamento per la formazione professionale continua” ed il “Regolamento per il riconoscimento del titolo di Avvocato specialista”.

Quest’ultimo, soprattutto, è in procinto di entrare in vigore – a giugno di quest’anno – ma è al contempo  oggetto di ampie critiche e di varie impugnazioni innanzi la magistratura amministrativa (si vedano i ricorsi pendenti innanzi al T.A.R. Lazio – Roma, n. 8807/2010, n. 10932/2010 e n. 10934/2010, a cui si aggiungono altre quatto impugnazioni da parte di avvocati veneti, tra i quali quello dell’Associazione Veneta Avvocati Amministrativisti).

Particolarmente importante

Tale regolamento appare particolarmente incisivo nei confronti degli amministrativisti perché – da un lato – le amministrazioni pubbliche con ogni probabilità prescriveranno il titolo specialistico nelle procedure di affidamento degli incarichi legali (cosicché il titolo di specialista non sarà affatto un “di più” in tali rapporti); e – d’altro lato - la disciplina posta da esso è unitaria e rigidamente centralistica (prescrivendo in particolare una diffusione nazionale dei soggetti preposti alla formazione degli avvocati specialisti), ciò che è incompatibile con la natura del diritto amministrativo (per larga parte avente carattere regionale) e con il ruolo stesso dell’Associazione veneta degli avvocati amministrativisti.

Tra i numerosi altri profili di criticità mossi dagli stessi avvocati annoveriamo: a) la ritenuta superfluità del titolo di specialista inteso come garanzia di competenza in quanto già il Codice deontologico Forense fornisce gli strumenti per aiutare e controllare il legale nello svolgimento dell’incarico affidatogli: art. 12 C.D.F.; b) la ritenuta inutilità del titolo di specialista in quanto non garantisce e stabilisce il tipo di preparazione perché non tiene conto delle varie materie presenti nelle singole aree del diritto (art. 3 R.A.S.), es. nel diritto amministrativo non si distingue tra: l’urbanistica e l’edilizia (D.P.R. n. 380/2001), gli appalti pubblici (D.Lgs n. 163/2006), l’ambiente (D.Lgs n. 152/2006), il pubblico impiego (D.P.R. n. 3/1957), i beni culturali ed il paesaggio (D.Lgs. n. 42/2004),…; o nel diritto penale non si distingue tra: il diritto penale dell’economia (reati tributari, industria, commercio) il diritto penale dell’ambiente (reati ambientali, reati paesaggistici); c) la mancanza di qualsiasi riferimento alla deontologia professionale nel corpus del regolamento (che invece si rinviene in altri testi quali quello disciplinante la mediazione civile ex D.Lgs n. 28/2010 e quello relativo al patrocinio a spese dello Stato ex D.P.R. n. 115/2002); d) le numerose categorie di avvocato che si vengono a proporre e delle quali non si chiarisce l’utilità: ordinario, specialista, con materia prevalente indicata.

Altre critiche vengono mosse per le ripercussioni che il titolo di avvocato specialista potrebbe avere sulla pubblicità informativa (art. 17 e 17 bis C.D.F.) e sul procedimento disciplinare.

Si fa il caso dell’avvocato che abbia acquisito il titolo di avvocato specialista e lo pubblicizzi. Il cliente insoddisfatto della prestazione ricevuta fa un esposto al Consiglio dell’Ordine competente adducendo l’incompetenza del professionista nel gestire l’incarico. L’avvocato a sua difesa oppone il titolo conseguito che si ritiene un elemento oggettivo di garanzia di preparazione e in tal modo vincola e limita l’accertamento della professionalità del legale. La decisione del Consiglio dell’Ordine potrà essere impugnata al C.N.F. che però sarà lo stesso Organo avente competenza esclusiva ad attribuire il titolo di Avvocato specialista (art. 9 R.A.S.).

Analoga problematica, sul ruolo “imparziale” o meno del C.N.F., si ha nel caso in cui un Ordine locale attivi, ex art. 2 R.A.S., la procedura per la revoca del titolo di specialista a cui si affiancherà un procedimento disciplinare per violazione del canone deontologico di competenza o aggiornamento professionale e il C.N.F. si troverà ad essere Organo di unica istanza nel procedimento di revoca e Organo d’appello del procedimento disciplinare.

Da quanto detto emerge che il metodo di attribuzione delle specializzazioni agli Avvocati manifesta già ancora prima di entrare in vigore numerosi aspetti di criticità e di conseguenza è necessario riesaminare il modo di acquisizione del titolo di specialista, magari attendendo e lasciando il compito di ciò ad un’auspicata Legge organica di riforma dell’intera professione forense.

 

 
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