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L’interrogatorio libero della parte è mezzo di prova ammesso nel processo amministrativo PDF Stampa E-mail
venerdì 17 giugno 2011

di GIOVANNI ATTILIO DE MARTIN. Ho rinvenuto, studiando la giurisprudenza in materia di mezzi di prova nell’ambito del Giudizio amministrativo, l’Ordinanza del T.A.R. per la Lombardia, Sede di Milano, Sezione III^, 6 aprile 2011, n. 904 la quale ammette, al termine di un lungo ed articolato ragionamento, l’interrogatorio libero della parte ricorrente.

Sul piano puramente formale l’Articolo 63, comma V^, del C.p.a. dispone, in effetti, che il Giudice può disporre anche l’assunzione degli altri mezzi di prova previsti dal Codice di procedura civile “esclusi l’interrogatorio formale ed il giuramento”.

Il Giudice Amministrativo Territoriale della Lombardia ha ritenuto, in primis, opportuno svolgere talune brevi considerazioni sulla natura e sulla ammissibilità del mezzo di prova “interrogatorio libero”, essendo che esso è estraneo alla tradizione del sistema della giustizia amministrativa.

Sul punto, si è rilevato che le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio libero rivestono un ruolo probatorio “suppletivo” ed “indiziario”, non potendo le risposte date nel corso del suo svolgimento avere valore di confessione, né essere reputate quali elementi di piena prova (esclusi dalla diversa attività istruttoria svolta dal G.A.); trattasi di elementi ulteriori e sussidiari affinchè il Giudice possa corroborare o disattendere le prove già acquisite nel processo.

Si è pienamente d’accordo con il T.A.R. per la Lombardia che l’interrogatorio libero, pur con i predetti limiti, costituisca, in effetti, un importante ausilio per la chiarificazione e precisazione delle allegazioni di fatto contenute nelle scritti defensionali, in special modo nelle controversie in cui solo il “contatto” con le parti possa fornire indispensabili elementi “sensitivi” ovvero soggettivi di convincimento ai fini del riscontro e della valutazione delle prove (costituite e documentali) già acquisite nell’ambito del Giudizio (si pensi, ad esempio, alle controversie di lavoro non privatizzate).

Nel contempo, l’interrogatorio libero della parte interessata può consentire l’espunzione dal thema probandum dei fatti e delle circostanze non oggetto di specifica contestazione e per i quali il ricorrente può essere assolto dall’onere della prova che gli compete per legge.

Per vero, il previgente sistema processuale amministrativo, riflettendo la realtà di un Giudizio la cui istruzione verteva prettamente se non esclusivamente su prove precostituite (ossia documenti), non contemplava, per quanto concerne il giudizio amministrativo di legittimità, le prove orali dell’interrogatorio libero e/o formale, del giuramento decisorio e delle testimonianze orali (Articolo 44 del T.U. Consiglio di Stato di cui al R.D. 26 giugno 1924, n. 1054; Art. 25 del Regolamento 17 agosto 1907, n. 642; ed in materia edilizia l’Articolo 16 della L. 28 gennaio 1977, n. 10).

Sul piano dogmatico e teorico – generale si trattava di un sistema processuale all’interno del quale il principio dispositivo non era pieno ed incondizionato bensì conviveva con il c.d. metodo acquisitivo officioso del Giudice. Il tutto veniva giustificato con la specifica motivazione che il Giudizio de quo originava necessariamente dal procedimento amministrativo e che il Giudice non poteva avere un accesso diretto al fatto, accesso svincolato dalla sequenza di atti che compongono l’iter procedimentale pena la “sostituzione” del G.A. all’Amministrazione medesima.

Quindi, un Giudizio all’interno del quale vi era tendenzialmente soltanto un unico mezzo di prova: il documento, fosse esso allegato dalla parte ricorrente, dalla P.A. resistente ovvero acquisito officiosamente da parte del Giudice Amministrativo.

Un siffatto originario modello processuale si è successivamente evoluto verso posizioni di maggiore equilibrio e parità delle parti per quanto attiene all’accesso alla prova: in merito a ciò, fondamentale importanza va necessariamente riconosciuta alla L. 7 agosto 1990, n. 241 la quale, sia pure agendo sul piano sostanziale, ha introdotto nell’ordinamento amministrativo i principi di partecipazione (Articolo 7), trasparenza fino a spingersi alla “negoziazione” (lecita e legittima, s’intende), fra privato e P.A., degli interessi coinvolti nel procedimento amministrativo (Articolo 11). Pertanto, dalla formazione unilaterale dell’atto e provvedimento amministrativo alla sua formazione partecipata. Sul piano processuale, si è assistito ad un più penetrante sindacato sulla ragionevolezza rispetto al mero riscontro di illogicità formale della decisione assunta dal Pubblico Potere; inoltre, è subentrata la convinzione, sempre più forte, che quella degli apprezzamenti c.d. tecnici non sia un’area di esclusiva pertinenza della P.A. “giacchè ciò che certamente resta precluso al Giudice Amministrativo è soltanto il giudizio di valore e di scelta che “specializza” la funzione amministrativa”, nel mentre l’interpretazione e l’accertamento dei presupposti della fattispecie di cui il potere è effetto spetta al Giudice; pertanto, il Giudice può accedere direttamente al fatto o, per meglio dire, conoscere i presupposti di fatto del provvedimento impugnato.

Si è assistito, quindi, ad un progressivo spostamento dell’oggetto del Giudizio Amministrativo dall’atto o provvedimento al rapporto regolato dai medesimi, al fine di scrutinare la fondatezza della pretesa sostanziale azionata; sempre che, come ha recentemente statuito l’Adunanza Plenaria con decisione 23 marzo 2011, n. 3, a ciò non si frapponga l’ostacolo dato dalla non sostituibilità di attività amministrative discrezionali.

Quindi, la cognizione del G.A. non può più limitarsi ai soli elementi di fatto che risultino sussistenti ovvero esclusi sulla base delle risultanze procedimentali (documentali).

Ciò necessariamente premesso, va rilevato che il Codice del processo amministrativo non ha introdotto, sulla falsariga del Codice di procedura civile, un’autonoma fase istruttoria, contraddistinta da forme, termini e poteri delle parti, bensì ha mantenuto fermo l’agile e flessibile principio di concentrazione dei poteri istruttori e decisori in capo al Collegio (la disciplina istruttoria vale, peraltro, per la giurisdizione di legittimità, esclusiva e di merito, e questa è una novità di particolare rilievo).

Peraltro, per quanto permanga un assai ampio potere di intervento del G.A. sul materiale di fatto introdotto dalle parti nel processo, non sembra che la formula del metodo acquisitivo nella formazione del materiale probatorio continui a connotare, negli stessi termini, il processo amministrativo. Il Codice, infatti, definisce con molta maggior precisione, rispetto al passato, l’oggetto ed il ruolo dei poteri officiosi del Giudice e, pertanto e per converso, i poteri di allegazione delle parti.

I fatti principali, ossia quelli posti a fondamento “delle domande e delle eccezioni”, debbono essere allegati esclusivamente e necessariamente dalle parti (Articolo 64, comma I^, C.p.a.); il Giudice Amministrativo può chiedere “alle parti anche d’ufficio chiarimenti e documenti” (Articolo 63, comma I^, C.p.a.) ovviamente, si ritiene e se ne desume, all’interno del thema probandum così come introdotto e circoscritto dalle parti; ne consegue che l’Organo Giurisdizionale possa, anche d’ufficio, ordinare anche a terzi l’esibizione in giudizio di documenti e di quanto altro ritenga necessario al fine del decidere (Articolo 63, comma II^, C.p.a.) oppure “disporre, anche d’ufficio, l’acquisizione di informazioni e documenti utili ai fini del decidere che siano nella disponibilità della pubblica amministrazione” (Articolo 64, comma III^, C.p.a.). Tuttavia, non si tratta del classico principio dispositivo con metodo acquisitivo che, da sempre, ha permeato il Giudizio Amministrativo di legittimità.

Il Codice ha, infatti, introdotto un duplice limite: a) il principio dispositivo è mitigato dal metodo acquisitivo solamente in relazione all’effettiva indisponibilità, in capo alla parte, dei mezzi di prova; b) il metodo acquisitivo opera allorquando sussista effettiva incertezza dei fatti in contestazione, tanto da indurre il G.A. a disporre d’ufficio gli atti istruttori in relazione alla “bontà” del materiale già acquisito, alla necessità di equilibrare la posizione della parte privata rispetto a quella pubblica ed all’esigenza di ricercare la verità materiale stante la talora estrema rilevanza delle questioni trattate. I poteri istruttori officiosi del Giudice Amministrativo non possono, quindi, essere esercitati con specifico riferimento al sapere privato del Giudice, a fatti e circostanze non allegati dalle parti, non acquisiti al processo in modo rituale e formale, nonché contro la volontà di dette parti di non volersi servire del mezzo di prova prospettato.

Inoltre, in presenza di una prova piena già acquisita agli atti del Giudizio non potrebbe il Giudice d’ufficio ammettere una prova diretta a sminuirne la pregnanza.

Allo stato della vigente legislazione processuale amministrativa, il Giudice può avvalersi, con norma di chiusura, di altri mezzi di prova previsti dal Codice Civile ad eccezione dell’interrogatorio formale e del giuramento. La precitata norma di chiusura è molto importante in quanto decreta l’effettivo abbandono dell’istruttoria c.d. classica del processo amministrativo, concepita quale una sorta di prosecuzione del procedimento amministrativo in sede giurisdizionale, fondata essenzialmente su prove pre-costituite.

Peraltro, l’esclusione dell’interrogatorio formale e del giuramento si giustifica pienamente con la effettiva indisponibilità per le parti delle situazioni giuridiche soggettive fatte valere in giudizio e, considerato il loro valore di prova legale, per la non conciliabilità con la libertà di apprezzamento del Giudice.

In siffatto contesto l’interrogatorio libero delle parti – che è un mezzo di prova vero e proprio, essendo i mezzi di prova definiti (ad eccezione dell’ispezione) dal Codice Civile e non dal C.p.c., limitandosi quest’ultimo alla disciplina della procedura di assunzione della prova (sul punto il C.p.a. è impreciso) - deve intendersi pienamente ammesso e non precluso dal Codice del processo amministrativo. Un tale mezzo di prova non “cozza” con il carattere formale dell’attività amministrativa procedimentale, come si desume anche dalla possibilità del Giudice di ammettere la testimonianza, sia pure in forma esclusivamente scritta, nonché di desumere argomenti di prova anche dal comportamento delle parti nel corso del processo (Articolo 64, comma IV^, C.p.a. e, in via generale, Art. 116, comma II^, C.p.c.).

Tutto ciò costituisce evidente derivazione del principio della parità delle parti e, implicitamente, delle situazioni giuridiche soggettive all’interno del Giudizio Amministrativo (cfr. Articolo 2 C.p.a.), dovendo il Giudice e le parti cooperare al fine della sua ragionevole durata nel tempo.

Si sottolinea che il presente modesto contributo, oltreché riportare fedelmente i principi fondamentali contenuti nella sentenza in argomento, riflette, altresì e come sempre, le opinioni, meditate ma del tutto personali, di colui che lo ha redatto.

Padova, lì 13.06.2011
Ultimo aggiornamento ( venerdì 17 giugno 2011 )
 
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