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La liberalizzazione delle attività economiche nel diritto europeo e nazionale. PDF Stampa E-mail
lunedì 27 maggio 2013

di Marcello M. Fracanzani

 

La liberalizzazione delle attività economiche nel diritto europeo e nazionale:

la riforma del diritto regionale veneto del 2013 e i margini de iure condendo in Friuli Venezia Giulia

Conversazione tenuta nell’ambito della formazione promossa dalla

Associazione Veneta Avvocati Amministrativisti

Padova, sala polivalente via Diego Valeri, 18 maggio 2013

 

 

 

Sommario: .I. La LRV n. 50/2012, i suoi capisaldi ed il conflitto Stato / Regione con le condizioni poste per la sua composizione - .II. La tutela della concorrenza ed i suoi limiti: specificità, tipicità, tessuto urbano - .III. Continuità e differenze con le previgenti LRV n. 15/2004 e 37/1999: cosa cambia nelle definizioni e delle procedure - .IV. Esame delle singole tipologie di esercizio - .V. Conclusione.

 

 

 

.I. La LRV 28 dicembre 2012 n. 50 è stata pubblicata nel BURV n. 110 del 31 dicembre 2012 ed entrata in vigore il primo giorno del 2013. Consta di 33 articoli, accompagnati da un pregevole quanto denso apparato di riferimenti, segnatamente la relazione al Consiglio regionale a cura della Direzione regionale del Commercio che ne illustra i precedenti normativi, il quadro di riferimento in cui si inserisce, seguita da un’illustrazione tematica, pressoché articolo per articolo che ne funge quasi da circolare esplicativa. Non tutto viene chiarito, però nella circolare. Anzi, quando entra in vigore una nuova disciplina, si pongono almeno tre domande: è affidabile, è cioè destinata a durare, a resistere alla Consulta? Cosa cambia veramente? I diritti (e quindi gli investimenti) pregressi sono al riparo o vengono intaccati?

La relazione del prof. Barel ha già sviscerato quale sia la genealogia della legge in commento, di quali principi superiori voglia – o debba- essere attuazione, come questi si esplichino nel concreto, per esempio tramite lo spinosissimo tema delle aperture domenicali. Di riflesso ha quindi anche risposto al valore che conservano gli investimenti fatti dagli operatori sui centri commerciali esistenti. Restano però altri interrogativi, cui né la legge né la relazione accompagnatoria danno immediata risposta. A questi, senza pretesa di esaustività, dobbiamo rivolgerci, nell’interesse degli operatori e per la tranquillità degli uffici.

.II. Nel riparto dei lavori che sta alla base di quest’incontro, conviene costruire un sistema di assi cartesiani per analizzare le novità –insidiose, innocue o salutari- che si annidano nelle pieghe dell’articolato in commento.

La preoccupazione del legislatore regionale è stata quella di trovare un proprio spazio di potestà normativa, al riparo dai fulmini della Consulta. Di più: a cavallo del 2011 e 2012, all’indomani dei primi interventi di affermata liberalizzazione governativa, si accese il confronto fra regione e Stato, ove la prima reclamava la propria autonomia ed il secondo invocava la propria qulifica di (unico) garante degli impegni internazionali e comunitari. Il confronto è approdato avanti alla Corte costituzionale e la legge qui in commento era stata promessa per disinnescare quel conflitto, individuando lo spazio di ciascuno, meglio, la riserva di legge di Stato e regione.

Si è detto della pervasività della disciplina della tutela concorrenza, grimaldello ormai da lunga pezza usato dal legislatore statale per penetrare ogni materia degli elenchi di cui all’art. 117 della Carta. Meno scontata la riflessione che tutela della concorrenza è usualmente sinonimo di liberalizzazione. In realtà dovrebbe essere sinonimo di parità delle parti: la parità delle posizioni di partenza realizza la competizione, la concorrenza. E la parità è sinonimo di uguaglianza, meglio di comparabilità: “l’uguaglianza comparabile”[1] è condizione di confronto, poiché solo ciò che è comparabile è confrontabile, può essere oggetto di scelta, quindi di concorrenza.

Per contro, la specificità, la temporaneità, la sperimentazione, mal si conciliano con il meccanismo di domanda ed offerta, in tal modo costituendo valida eccezione alla prevalenza della concorrenza.

In altri termini ed in modo più diretto, la Regione Veneto si è dotata di un “concetto scudo” con funzioni uguali e contrarie al principio della tutela della concorrenza, un concetto scudo che giustifichi (ed aumenti) la potestà legislativa regionale, un principio che faccia appello a tutto ciò che è “superiore interesse pubblico”, di garanzia alla persona, all’ambiente, alla salute ed alla sicurezza, cioè a tutti quei beni a tutela necessaria con preservazione da effetti irreversibili: lo troveremo definito (non senza incongruenze) alla lettera o) dell’unico comma dell’art. 3, intitolato “definizioni”. Ma non è l’unico strumento. Il governo del territorio, declinato come strumento per la parità delle parti, quindi per la tutela della concorrenza, è ambito in cui la regione rivendica un ruolo da attore principale: le regole generali fissate all’art. 4 dovranno essere disciplinate puntualmente da un regolamento da adottarsi con delibera di giunta entro i primi di maggio 2013,[2] cui seguirà un termine fino a fine ottobre 2013 perché i comuni adeguino i propri strumenti urbanistici secondo i criteri adottati dalla giunta regionale. Nella migliore delle ipotesi la legge diverrà operativa, cioè propositiva per le imprese, per novembre di quest’anno, ma occorre ricordare che i termini non sono perentori e che il primo regolamento attuativo della L.R.V. n. 15/2004 relativo ai parchi commerciali arrivò in forte ritardo, consentendo di adottare le prime delibere di consiglio comunale ricognitive dei parchi autorizzati esistenti solo nel settembre 2005, a tredici mesi dall’entrata in vigore della legge. Per il momento, la legge è ostacolo alla libera iniziativa, non consentendo nemmeno la localizzazione di nuove aree per esercizi sopra i 1.500 mq, salvo alcune particolarità di cui si dirà.

La pianificazione urbanistica e i “motivi imperativi di interesse generale” sono posti come architrave del potere di intervento regionale (anche) in questa materia.

 

.III. Può essere utile un confronto ragionato sulle principali novità rispetto alla disciplina della previgente LRV 15/2004, ma anche con la LRV n. 37/1999, la prima legge regionale sul commercio dopo la riforma del D.lgs. n. 114/1998, poiché alcuni di quei meccanismi sono richiamati in servizio. Il confronto ci servirà per vagliare quali orientamenti della giurisprudenza possono ritenersi confermati e dove, invece, ci saranno nuovi assetti da costruire.

Muoviamo dalle definizioni, contenute nell’art. 3:

 

a)     La definizione di superficie di vendita –su cui si determinano le tipologie di esercizi- resta quella tracciata nella LRV n. 37 e confermata dalla n. 15: vetrine ed esposizioni concorrono a quella metratura, così come l’area di sedime degli scaffali, resta esclusa l’area delle avancasse che aveva creato dissidi fra amministrazioni: coerentemente alla ratio della norma, ciò che si trova dopo le casse e prima dell’uscita non è spazio dove si eserciti il commercio, quindi non può essere computato; salvo però che vi sia merce esposta –pur non accessibile né asportabile dalla clientela- poiché in tal caso l’area viene attratta alla disciplina dell’esposizione che concorre alla somma della superficie di vendita: la qualifica di “area di esposizione” assorbe quella di “area avancasse”. Un problema si pone per le c.d. “isole di lavorazione”, cioè quei luoghi non accessibili al pubblico, circondanti da scaffali, ove in piena visibilità del pubblico i dipendenti preparano ed apporzionano le confezioni del cibo fresco (frutta, formaggi, salumi, carni, pesce): pur dovendo rispettare le rigorose norme sull’igiene e la sicurezza nei luoghi di lavoro, sono considerati spazi espositivi, per la valenza altamente promozionale dell’attività “ostesa” ed attrattiva dei clienti.

b)    Superficie lorda di pavimento: è pacificamente quella ricompresa all’interno dei muri perimetrali, senza contare la loro area di sedime, ma contando le tramezze interne. Va coordinata con la definizione edilizia di superficie coperta, da cui differisce di poco, seppure alla differenza occorre fare attenzione, per esempio, nel calcolo dei parcheggi a standard ed in generale per le dotazioni urbanistiche.

c)     Esercizio commerciale: nessuna differenza con la disciplina pregressa, appare superata la querelle se debba considerarsi aperto o chiuso, risolvendosi per la prima alternativa e così superando il problema della tenda, del gazebo, tenso struttura ed altro. Preme ricordare però che deve sempre trattarsi di commercio esercitato su area privata, a prescindere dalla struttura (anche minima precaria: un telo per terra), poiché il commercio su area pubblica (occupazione temporanea di area pubblica) soggiace alla diversa legge che regola le fiere ed i mercati (art. 1, comma primo, LRV n. 50/2012).

d)    Esercizio di vicinato: qui c’è una novità consistente che supera anche le categorie imposte dal d.lgs. n. 114/1998: non si distinguono comuni superiori od inferiori ai 10.000 abitanti, non c’è più l’esercizio di vicinato di 150 per i secondi e di 250 per i primi: anche nei comuni “piccoli” l’esercizio di vicinato, quello che si può aprire con semplice comunicazione (salvo le disposizioni per la manipolazioni per cibi e bevande) è sempre fino a 250 mq di superficie di vendita.

e)     Media struttura. Anche qui scompare la distinzione fra comuni maggiori e minori, estendendo la disciplina dei primi ai secondi. La distinzione fra strutture sotto i 1.500 mq e quelle superiori riappare all’art. 4 ove per le maggiori si richiede previsione di localizzazione urbanistica; in verità cosa simile si riscontrava nella disciplina previgente per le strutture sopra i 1000 mq. Non è una novità, ma è meglio specificata la definizione di “centro commerciale di media struttura di vendita”, cioè una media struttura composta da almeno due esercizi. Lo si ricavava anche dalla LRV n. 15/2004, perché solo il “parco commerciale” era definito grande struttura con almeno tre esercizi, mentre il centro era caratterizzato da almeno due esercizi, ma senza specificare il limite dimensionale (sicché poteva anche essere nei limiti di un esercizio di vicinato in comune minore: 150 mq divisi di due negozietti di 50 e 100 mq).

f)       Come si è detto alla lettera precedente, il centro di media struttura di vendita, ora “medio centro commerciale”, non è una novità, salvo che nell’esplicitazione legislativa di una figura già presente nel sistema. Rimane identico il requisito della gestione unitaria degli spazi comuni, ritenendosi quindi confermata la giurisprudenza pregressa, che aveva tracciato i confini della gestione unitaria, individuabile nella costituzione di apposita società di manutenzione e gestione del verde, ovvero dal mandato ad uno degli esercenti per la gestione unitaria degli spazi e della strutture comuni; anche l’accensione di un conto corrente dedicato è stata ritenuta iniziativa congrua per dimostrare la volontà negoziale di un mandato con rappresentanza verso la gestione delle parti, degli impianti o degli spazi comuni.

g)     La grande struttura supera i 2.500 mq di superficie di vendita, ha collocazioni in specifici contesti urbanistici (centri storici o ZTO “D” a specifica destinazione per grande distribuzione) e se supera gli 8000 mq diviene soggetta a VIA. È articolata in tre forme: a) negozio singolo; b) centro commerciale, cioè singolo edificio con più negozi; c) parco commerciale, cioè più edifici in un contesto unitario, così definibile per la viabilità interna e per gli accessi alla pubblica via. Sia il centro che il parco debbono avere una destinazione commerciale solo “prevalente”, potendo coabitare l’attività ludico ricreativa, la ristorazione, ma anche il direzionale, tendenzialmente anche il residenziale se in centro storico. Rispetto alla definizione di parco commerciale previgente, preme notare come non interessi più il numero degli esercizi, potendo essere da due a più.

h)    Nessuna novità per l’outlet.

i)       Nuova la definizione di temporary store, trovando ospitalità in locali non specificamente destinati alla vendita di merci o di servizi o alla promozione del proprio marchio, con intervento diretto dei produttori, quindi una forma che si avvicina assai alla fiera. Problema resta la durata dell’attività per potersi dire “temporanea”, così come la sua ripetitività.

j)       Anche la definizione di trasferimento resta confermata, come passaggio da un edificio all’altro del medesimo territorio comunale ed è coerente con la competenza comunale nel rilascio dei titoli (espressi o taciti) per esercizi di vicinato o medie strutture.

k)    Novità per l’ampliamento, cioè il tradizionale aumento di superficie di vendita, che ingloba anche la precedente definizione di accorpamento, intesa come la fusione in un esercizio di altri esercizi del medesimo titolare. Nulla più si dice della concentrazione, cioè della fusione di più esercizi in un edificio diverso da ciascuno dei precedenti. Nel silenzio della legge la figura deve ora ritenersi assorbita nell’accorpamento e, quindi anche nell’ampliamento che, per l’effetto, diviene: incremento di superficie di un esercizio esistente; incremento di superficie di un esercizio esistente, mediante la fusione con altro esercizio, creazione di un nuovo esercizio, mediante il trasferimento e la fusione di due o più esercizi in un luogo nuovo. In altri termini, gli istituti già conosciuti dell’accorpamento e della concentrazione divengono forme di ampliamento con trasferimento.

l)       La definizione di centro storico[3] è richiamata dalla legge urbanistica regionale, LRV n. 11/2004, ed è una novità rispetto alla LRV n. 15/2004, ma già figurava nella LRV n. 37/1999 che trattava dei centri storici, con definizione autonoma, mentre quella importata non è stata esente da critiche, poiché troppo vaga per individuarne dei caratteri propri. In sostanza, quindi, centri storici sono quelli come tali circoscritti dallo strumento regolatore generale.

m)  Direttamente dal codice della strada è importata la definizione di centro abitato, come l’insieme di venticinque case preceduto da un cartello di località.

n)    Novità è anche la definizione di distretto del commercio, caratterizzato da libera aggregazione di imprenditori che vede la sua ragion d’essere nell’esercizio del commercio e nell’innovazione della sua forma.

o)     Sicuramente baricentrica è la definizione dei “motivi imperativi di interesse generale”: si tratta di un interesse pubblico qualificato, un concentrato di interessi diffusi, un agglutinato di diverse ragioni, capace di fronteggiare e resistere alla liberalizzazione in cui viene ritenuto prender corpo il principio della concorrenza. Viene richiamato nel corso della legge per affermare una specificità di intervento. Gli è che i caratteri eterogenei che lo compongono sembrano costituire essi stessi ipotesi di contraddizione manifesta: tutela dei consumatori, dell’ambiente urbano, dell’ordine, incolumità, sanità e sicurezza pubblica, dovrebbero convivere con gli obbiettivi di politica sociale e culturale, così come il mantenimento dei servizi e l’equilibrio economico finanziario del sistema della sicurezza sociale a garanzia dei lavoratori. Ci sembra di vedere l’insieme dei diritti della persona o patrimoniali qualificati contrapposti alle esigenze di liberalizzazione e di omogeneizzazione. D'altronde, in questo il legislatore veneto ha importato direttamente la definizione della c.d. Direttiva Bolkestein (direttiva 2006/123/CE), recepita parzialmente in Italia D.lgs. n. 59/2010.

p)    Nessuna particolarità per la definizione del SUAP, salvo il suo ruolo nella nuova procedura della “Super conferenza prefettizia dei servizi” oggetto di altro seminario e di cui qui si allegherà altra scheda sintetica.

q)     Nessuna difficoltà neppure nel recepimento della SCIA, opportunamente importata dalla legge generale sul procedimento amministrativo.

r)      Novità invece nei settori merceologici, che ritornano in soli due tipi, com’erano nel d.lgs. n. 114/1998 e nella LRV n. 37/1999; il settore alimentare ed il settore non alimentare: sparisce il settore non alimentare a grande fabbisogno di superficie in coerenza con il tendenziale superamento del contingente di superficie autorizzabile per le grandi strutture.

s)     Opportuno il rinvio alla definizione legislativa del commercio elettronico, soprattutto per il luogo di conclusione del contratto e per la giurisdizione competente a conoscerne.

Mancano di definizione espressa o possono dare adito a dubbi i seguenti profili vecchi e nuovi (o rinnovati):

t)      Non c’è più la definizione di sub ingresso, ma può farsi riferimento a quella ormai nota nella prassi.

u)    Non c’è la durata di sospensione massima degli esercizi di vicinato.

v)     Viene richiamata in servizio la conferenza dei servizi con potere di veto regionale (com’era nella LRV 37/99 e non più nella 15/04)

w)   Il titolo edilizio è “presupposto” nelle medie strutture (maggiori),mentre resta “correlato” nelle grandi strutture.

 

.IV. Possiamo ora trarre delle prime conclusioni, combinando i disposti della legge per tipologie di esercizio, guardando alle caratteristiche, collocazione urbanistica, titolo autorizzatorio, procedura e particolarità di ciascuno.

 

Esercizi di vicinato (non inseriti in centro commerciale anche piccolo)

dimensioni: per tutti i comuni, fino ad una superficie massima di vendita pari a 250 mq;

collocazione urbanistica: dovunque, indifferenti agli strumenti urbanistici. Standard di parcheggio definito dal PAT;

titolo autorizzatorio: SCIA per tutte le operazioni (apertura, ampliamento, riduzione, mutamento settore merceologico, trasferimento di sede e sub ingresso); comunicazione solo per sospensione (trenta giorni?) e cessazione attività;

procedura per il rilascio: SCIA presso il SUAP;

particolarità: si parla di sospensione, ma non c’è indicato un termine; escluso che si possa applicare per analogia quello delle medie strutture (un anno), sotto il regime previgente si riteneva che la totale liberalizzazione consentisse di chiudere e riaprire, senza mantenere la titolarità dell’autorizzazione: in buona sostanza si procedeva con cessazione e nuova apertura. La tesi non convince, per i costi e le conseguenze –anche fiscali- di cessare e riaprire un’attività.

 

Medie strutture di vendita (anche medio centro commerciale) ≤ 1500 mq

dimensioni: per tutti i comuni, fino ad una superficie massima di vendita pari a 1500 mq;

collocazione urbanistica: qualsiasi luogo, purché non espressamente vietate dal PAT. Standard di parcheggio se fuori dal centro storico, secondo previsione PAT, se in centro storico, secondo eventuale convenzione con il comune;

titolo autorizzatorio: SCIA per tutte le operazioni (apertura, ampliamento, riduzione, mutamento settore merceologico, trasferimento di sede e sub ingresso); comunicazione solo per sospensione (max un anno consecutivo?) e cessazione attività;

procedura per il rilascio: SCIA presso il SUAP;

particolarità: rinvio al PAT della responsabilità di motivare perché non si vogliono medie strutture inferiori in certi ambiti: motivazione stringente perché deve reggere all’opposto principio della liberalizzazione.

 

Medie strutture di vendita (anche medio centro commerciale) > 1500 mq < 2500 mq

dimensioni: per tutti i comuni, fino ad una superficie massima di vendita pari a 2500 mq;

collocazione urbanistica: in aree localizzate dal PAT secondo i criteri del regolamento regionale (da emanarsi). Nelle more, verifica della compatibilità delle aree esistenti da parte della conferenza dei servizi con veto regionale. Studio di impatto viabilistico (art. 19 LRV 15/2004). Se nei centri storici o aree degradate si può procedere subito, previo SUA di riqualificazione (PdR, PIRU, PIRUEA). Standard di parcheggio se fuori dal centro storico, secondo previsione PAT, se in centro storico, secondo eventuale convenzione con il comune;

titolo autorizzatorio: Autorizzazione espressa o silenzio assenso per apertura (anche ampliamento e trasferimento); SCIA per riduzione, mutamento settore merceologico, e sub ingresso; comunicazione solo per sospensione (max un anno consecutivo) e cessazione attività;

procedura per il rilascio: domanda di autorizzazione al SUAP, con risposta entro sessanta giorni, in difetto opera il silenzio assenso, attivazione entro due anni prorogabili per una sola volta;

particolarità: il titolo edilizio viene “presupposto” (prima era correlato).

Potere di proroga del termine di attivazione limitato ad una sola volta, superando le ambiguità del d.lgs. n. 114/1998 che parlava di “proroghe”, portando la giurisprudenza del TAR Veneto a ritenerne ammissibili più d’una.

Accertamento della decadenza in ogni momento in caso di mancata attivazione, mentre la sospensione oltre l’anno (o la sospensione sena SCIA) viene accertata entro novanta giorni.

 

Grandi strutture di vendita (centri commerciali e parchi)

dimensioni: per tutti i comuni, oltre la superficie di 2500 mq e fino a 15000;

collocazione urbanistica: in aree localizzate dal PAT secondo i criteri del regolamento regionale (da emanarsi). Nelle more, verifica della compatibilità delle aree esistenti da parte della conferenza dei servizi con veto regionale. Screening di VIA per le strutture tra i 2501 mq fino agli 8000 mq, VIA se superiori. Studio di impatto viabilistico (art. 19 LRV 15/2004). Standard di parcheggio se fuori dal centro storico, secondo previsione PAT (da adeguarsi all’emanando regolamento regionale), se in centro storico, secondo eventuale convenzione con il comune;

titolo autorizzatorio:

a)     Fuori dai centri storici: apertura, ampliamento, trasferimento e trasformazione sono soggetti ad autorizzazione commerciale/edilizia in conferenza dei servizi regionale, secondo regolamento da emanarsi entro aprile 2013. In attesa degli adeguamenti urbanistici, restano in vigore le attuali previsioni di idoneità alla localizzazione. Standard di parcheggio secondo previsione dello strumenti urbanistico generale;

b)    Nei centri storici: SUAP come per medie superiori. In ogni caso: SCIA per riduzione, mutamento merceologico, modifica ripartizione interna, sub ingresso. Mera comunicazione per sospensione (di tutto al massimo un anno, fino a un terzo, massimo tre anni) e cessazione;

procedura per il rilascio: Domanda al SUAP, eventuale conferenza dei servizi (se fuori dai centri storici) con comune, provincia e regione, oltre ad altri intervenienti accessori, delibera a maggioranza con potere di veto regionale e termini di 120 giorni per la conclusione del procedimento (descritto nell’emanando regolamento regionale). Se nei centri storici o aree degradate si può procedere subito, previo SUA di riqualificazione (PdR, PIRU, PIRUEA);

particolarità: in sede di conferenza si verificano i presupposti per il titolo edilizio che viene rilasciato solo se la conferenza dei servizi è favorevole (niente cattedrali nel deserto). Attivazione entro i tre anni per i due terzi, con una sola proroga. Sospensione del termine di attivazione in caso di ricorso con sospensiva.

Le grandi strutture fuori dai centri storici sono gravate da un onere di “sostenibilità territoriale” fino al 30% dell’urbanizzazione primaria.

 

Strutture di rilevanza regionale

dimensioni: per tutti i comuni, fino ad una superficie superiore a 15000 mq;

collocazione urbanistica: ZTO “D” a specifica vocazione per grandi strutture di vendita;

titolo autorizzatorio: Accordo di programma;

procedura per il rilascio: Accordo di programma regione/comune, con variante urbanistica e dichiarazione di pubblica utilità;

particolarità: procedura si applica anche agli aumenti oltre il 30% che comportino il raggiungimento o superamento dei 15000 mq, aperture od aumenti di superficie di strutture oltre gli 8000 mq quando sia necessaria variante urbanistica. VIA.

 

Outlet & temporary store

dimensioni: per tutti i comuni, nessun limite esplicito. Si ritiene fino ad una superficie massima di vendita pari a 2500 mq;

collocazione urbanistica: qualsiasi, ove vi sia il luogo di produzione;

titolo autorizzatorio: SCIA al SUAP, come per medie strutture inferiori;

procedura per il rilascio: SCIA indicando la durata massima non superiore ad un anno, prorogabile per altri sei mesi;

particolarità: anche per aziende che producono “servizi”: vendita di servizi = assimilazione alle fiere.

 

Commercio elettronico

dimensioni: irrilevanti;

collocazione urbanistica: irrilevante;

titolo autorizzatorio: SCIA sui presupposti del d.lgs.n. 59/2010;

procedura per il rilascio: SCIA al SUAP;

particolarità: vigilanza e disciplina del d.lgs. n. 70/2003.

 

.V. Emerge chiaramente il favor per il recupero dei centri storici, che non sconta attese regolamentari, oneri supplementari, standard predefiniti di parcheggio. Il senso è quello di valorizzare i tanti immobili statali dismessi che i comuni si sono visti attribuire (caserme, scuole, depositi, aree di rispetto ex demaniale). Si favoriscono così piani di recupero che interessano i privati per i (possibili) minori costi e in cui il civico ente riesce a rendere appetibili i beni ricevuti dallo Stato.

 

Valorizzando l’urbanistica, la LRV n. 50/2012 riprende in larga parte l’impianto della LRFVG n. 29/2005, rivista dalle LRFVG n. 7/2007, 4/2010 e 26/2012. Occorre vedere quale “urbanistica” resiste al vento di Bruxelles.[4]



[1] È intuitivo trattarsi dell’eguaglianza di cui all’art. 3, secondo comma, della Carta.

[2] Il regolamento ad oggi non è stato emanato, mentre si ha una bozza non ufficiale che è stata diffusa. Trattasi però di testo ad uso interno, su cui risulta ancora dover essere istituzionalmente raccolte le osservazioni delle categorie interessate. Ne risulta verosimile un ampia revisione, prima di approdare in BURV; sicché qui non se ne farà cenno se non come ipotesi de iure condendo. L’impressione è quella di agire sulla leva urbanistica per una pianificazione del commercio, sul modello adottato dalla Lombardia e dal Friuli Venezia Giulia. Tale impostazione è già tata criticata per l’eccesiva “procedimentalizzazione”, nonché –e soprattutto- perché ripropone una concezione c.d. pan urbanistica su cui sono intervenuti con resezione chirurgica sia la Consulta sia Palazzo Spada.

All’opposto, con delibera di G.R.V. n. 455 del 10 aprile 2013 è stata disciplinata solo la procedura della conferenza dei servizi per l’apertura delle grandi strutture di vendita, dettando regole procedurali stringenti, ma non divergenti sostanzialmente, da quanto era già stato disposto.

[3] Art. 40 – Centri storici e beni culturali.

1. Si considerano centri storici gli agglomerati insediativi urbani che conservano nell’organizzazione territoriale, nell’impianto urbanistico o nelle strutture edilizie i segni di una formazione remota e di proprie originarie funzioni economiche, sociali, politiche o culturali.

2. Costituiscono parte integrante di ciascun centro storico le aree in esso ricomprese o circostanti che, pur non avendo le caratteristiche di cui al comma 1, sono ad esse funzionalmente collegate in quanto interessate da analoghi modi d'uso.

3. Il piano di assetto del territorio (PAT) determina: a) previa analisi dei manufatti e degli spazi liberi esistenti, le categorie in cui gli stessi devono essere raggruppati per le loro caratteristiche tipologiche, attribuendo valori di tutela in funzione degli specifici contesti da tutelare e salvaguardare; b) per ogni categoria di cui alla lettera a), gli interventi e le destinazioni d’uso ammissibili; c) i margini di flessibilità ammessi dal piano degli interventi (PI).

4. Il PAT provvede alle determinazioni di cui al comma 3, anche relativamente alle ville individuate nella pubblicazione dell'Istituto regionale per le Ville venete "Ville Venete - Catalogo e Atlante del Veneto" nonché agli edifici ed ai complessi di valore monumentale e testimoniale individuando, altresì, le pertinenze scoperte da tutelare e il contesto figurativo.

5. Il piano degli interventi (PI) attribuisce a ciascun manufatto la caratteristica tipologica di riferimento tra quelle determinate dal PAT, nonché la corrispondente categoria di intervento edilizio ai sensi del comma 3, lettere a) e b).

[4] Il tema è acutamente trattato da S. Dal Prà, G. Sartorato (a cura di) La legge sul commercio della Regione Veneto, s.l., s.d. (ma 2013), con contributi di molti chiari autori ed ottima appendice normativa.

 
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