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Sarà davvero efficiente il processo amministrativo telematico? PDF Stampa E-mail
giovedì 18 febbraio 2016
di Francesco Volpe

Avvicinandosi la data del 1 luglio 2016, si può cominciare a fare alcune riflessioni generali su come verrà attuato il processo amministrativo telematico.

Quelle che seguono non saranno riflessioni sui singoli aspetti della disciplina, di cui è pure stato tanto discusso in tante sedi; saranno, invece, riflessioni in materia di organizzazione del lavoro e di efficienza del sistema.

In verità, quel che si sa del futuro p.a.t. suggerisce alcune valutazioni non del tutto ottimistiche.

Una prima caratteristica del p.a.t. è il fatto che esso sarà costituito su una piattaforma tecnologica (hardware/software) completamente separata da quella su cui si basa il processo civile telematico.

È giusto interrogarsi sui motivi di questa scelta, visto che, di primo acchito, sarebbe stato ragionevole affidarsi ad un sistema già esistente, qual è quello del p.c.t.

Il sistema del p.c.t., infatti, è in qualche modo già rodato e noto nel suo funzionamento agli utenti. Esso, inoltre, è costruito attorno ad un processo, quello civile, ben più complicato e soggetto ad un ben maggiore numero di variabili di quanto non possa essere il processo amministrativo.

A tale interrogativo, la risposta, a mio modo di vedere, non può che essere una. Appoggiare il p.a.t. sul sistema del p.c.t. avrebbe costituito un rilevante passo avanti verso l'unificazione delle giurisdizioni. In un certo senso, si sarebbe creato un apparato ausiliario, una sorta di “cancelleria/segreteria”, comune con il giudice ordinario. E questo, un domani, avrebbe potuto favorire una comunione, oltre che “dell'Intendenza”, anche dello “Stato maggiore”.

Al contrario, un sistema indipendente (meglio ancora se, per la diversità delle base di dati o dei linguaggi di programmazione utilizzati, esso riuscirà difficilmente a colloquiare con il sistema civilistico) addirittura rafforzerà la separazione del giudice speciale e renderà ulteriormente difficile una sua futura unificazione con quello ordinario.

In questa linea di pensiero si pone, ritengo, anche il fatto che la disciplina tecnica (erroneamente ritenuta di rango regolamentare) sia stata affidata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, anziché al Ministro della Giustizia, come invece è accaduto per il p.c.t.

A prima vista, questa scelta non è del tutto razionale, perché è logico ritenere che sia il Ministero della Giustizia (e non la Presidenza) a disporre delle competenze professionali e tecniche per affrontare la questione. Ma, forse, si è voluto proprio affidare la cosa a chi non era in grado di poterla poi affrontare, sì da delegarla infine al di fuori dell'apparato dell'Amministrazione statale.

In questo caso, al Consiglio di Stato stesso, che è, di fatto, il padre spirituale del futuro decreto di regolamentazione della materia.

L'iniziativa è stata rafforzata dalla previsione, contenuta nella bozza di d.p.c.m., secondo la quale alcuni aspetti tecnici della disciplina potranno essere riformati, in futuro, direttamente dal Sistema Informatico della Giustizia Amministrativa, vale a dire da un ufficio che fa capo alla Segreteria Generale del Consiglio di Stato.

Dunque, è l'apparato magistratuale a dire come si farà il processo amministrativo telematico.

La decisione di affidare al Consiglio di Stato un tale incombente, tuttavia, non è stata forse del tutto provvida. Il giudice amministrativo, pur decidendolo, vede solo una parte del processo (come per la verità, si deve dire anche per gli avvocati). Nulla conosce, il giudice, di cosa significhi istruire una causa, che è invece cosa ben nota al difensore. Intendo riferirmi agli adempimenti spiccioli, ai “protocolli” interni agli studi legali, che sono frutto di consolidata esperienza e di conoscenza dei possibili rischi, inconvenienti e variabili. Adempimenti e protocolli, tuttavia, che saranno profondamente interessati dalla informatizzazione del processo.

In tal senso, la disciplina che uscirà rischia di essere viziata perché frutto di un angolo visuale solo parziale.

Non mancano esempi concreti, al riguardo. Basti pensare alle conseguenze della mail di c.d. “mancato deposito” sulle sorti del giudizio.

Pure sotto il profilo dell'efficienza, qualcosa va detto.

È noto che uno dei principali motivi per cui si procede alla informatizzazione dei processi risiede nell'automatizzazione del lavoro. L'informatizzazione dovrebbe dunque sopperire alle deficienze di organico degli uffici ausiliari del giudice.

Insomma, il processo telematico, prima che alle parti, ai giudici e agli avvocati, serve a rendere più “snello” l'apparato.

Un sistema, come tanti altri, di trasferire sulla c.d. “utenza” i costi che la macchina amministrativa non è più in grado di sostenere.

Si potrà apprezzare o no questa finalità: questione di gusti e di opinioni.

Ma giusti o sbagliati che siano gli intenti, vi è da chiedersi se essi siano stati concretamente perseguiti.

Forse è lecito dubitarne.

Secondo quanto lo schema di d.p.c.m. prevede, la costruzione del fascicolo informatico di ogni controversia che si aprirà davanti a qualsiasi giudice amministrativo d'Italia verrà affidata ad un unico ufficio, competente per tutta la penisola: il S.I.G.A., appunto. Al S.I.G.A. competeranno anche quasi tutte le successive competenze di “gestione” del fascicolo stesso (apertura del fascicolo alle parti intimate, depositi, invio delle comunicazioni, preparazione dei ruoli...).

In tal modo, si finirà per costituire una sorta di supersegreteria unificata di tutti i giudici amministrativi, che avrà sede presso la Segreteria Generale del Consiglio di Stato.

Un tale obiettivo è, in astratto, coerente con quella idea di concentrazione delle risorse che ispira l'informatizzazione del processo.

Se questo è vero, non è però del tutto coerente la disciplina sul rilascio delle copie autentiche degli atti, che spetterà ancora alle segreterie periferiche (laddove, nel processo civile, l'estrazione delle copie autentiche è stata consentita, in gran parte, direttamente agli avvocati).

Altrettanto non coerente con le finalità di automatizzazione del processo è il sistema di accreditamento delle parti resistenti e controinteressate al fascicolo, onde potersi costituire. Per come, nella bozza, essa è disciplinata (invio di una mail di accreditamento con esibizione dei poteri procuratori, identificazione del fascicolo informatico a cui la richiesta si riferisce, verifica dei poteri del richiedente, invio di una mail di risposta con le credenziali provvisorie per accedere al fascicolo informatico), tale procedura difficilmente potrà essere automatizzata, ma dovrà essere seguita da un addetto, per così dire, “umano”.

Dunque, sotto questo profilo, non si registreranno vantaggi in termini di efficienza.

Se, poi, detto accreditamento verrà compiuto in sede centrale dal S.I.G.A., si produrrà, allora, un “collo di bottiglia”. Perché saranno i pochi funzionari di segreteria addetti al S.I.G.A. a dover smaltire una quantità di lavoro che oggi è ripartito tra tutte le segreterie dei singoli T.A.R.

Inoltre, quanto all'efficientamento del sistema, desta qualche perplessità la scelta dei sistemi di deposito telematico che consistono, in ordine di applicazione, nell'invio di una mail certificata e, nel caso in cui ciò non sia per vari motivi possibili, nel caricamento dei dati attraverso un sistema denominato “upload” che altro non dovrebbe essere se non un server FTP.

È opinione diffusa, invero, che la trasmissione dei dati per posta elettronica sia, a parità di condizioni, meno efficiente, meno sicura e meno rapida del caricamento di dati in un server FTP. In effetti, le e-mail sono nate per consegnare brevi messaggi; per sostituire, appunto, le lettere di carta. Non sono state concepite per trasferire pesanti quantità di dati.

La possibilità di allegare file è stata implementata solo in un tempo successivo e, se non si erra, tecnologicamente essa sconta ancora non pochi limiti. In disparte ogni considerazione sulla peculiarità, tutta italica, della posta certificata.

Perché, dunque, non prevedere direttamente il deposito attraverso il sistema upload (cioè attraverso un server FTP), riservando, magari, l'invio della meno affidabile p.e.c. al caso in cui il sistema FTP vada in crash?

Infine, desta qualche preoccupazione il fatto che sia espressamente stabilito che la gestione del sistema hardware/software sia affidata ad un soggetto terzo, imprenditore privato, anziché ad un ufficio appositamente istituito presso una qualche amministrazione pubblica.

È noto che tali imprese private appoggiano i propri server presso imprenditori terzi, generalmente imprese multinazionali, i quali mettono a disposizione ingenti quantità di memoria, disponendo di sofisticate strutture per la conservazione delle stesse.

Tuttavia nulla esclude che l'imprenditore - il quale gestirà il software - possa fallire o cessare la propria attività. Vi è da chiedersi se, per tale eventualità, si sarà certi di poter accedere alle basi di dati che, nel frattempo, quel gestore avrà depositato nei più impensabili luoghi dell'orbe. Diversamente, si perderanno ricorsi, memorie, documenti e, soprattutto, sentenze, quanto meno nelle loro versioni “certificate”.

In definitiva, a chi scrive sembra che emerga un quadro non del tutto rassicurante di quello che potrà essere il futuro processo amministrativo telematico.

Non dal punto di vista giuridico, s'intenda. O, almeno, non solo da quel punto di vista (molte questioni, in verità, dovrebbero essere al riguardo approfondite), quanto proprio dal punto di vista dell'efficienza del sistema.

Ci si augura che le preoccupazioni siano solo apparenti e figlie di una conoscenza non ancora concreta di ciò che si va ad attuare.



Ultimo aggiornamento ( giovedì 18 febbraio 2016 )
 
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