RISARCIMENTO DEL DANNO DA PERDITA DI CHANCE
venerdì 22 giugno 2007
TAR VENETO, SEZ. III - sentenza 7 giugno 2007 n. 1457
(importante arresto della terza sezione in materia di danni da provvedimento illegittimo e conseguenze risarcitorie: ai fini del risarcimento da perdita di chance è decisivo distinguere fra probabilità di riuscita (chance risarcibile) e mera possibilità di conseguire l’utilità sperata (chance irrisarcibile))

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza sezione, costituito da:

Angelo De Zotti Presidente

Angelo Gabbricci Consigliere

Riccardo Savoia Consigliere, relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 888/06 proposto da MARINA RIGHINI, rappresentata e difesa dagli avv.ti Stefano Vinti, Sonia Macchia e Alfredo Biagini, con elezione di domicilio presso lo studio dello stesso in Venezia, Santa Croce, 466/G, come da mandato in calce al ricorso;

CONTRO

il Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore e la Prefettura della Provincia di Verona, in persona del prefetto p.t., rappresentati e difesi e domicialiti ex lege dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia;

per il riconoscimento

del diritto al risarcimento dei danni derivanti dall’illegittimo diniego del provvedimento di apertura di un istituto di Vigilanza annullato con sentenza 5175/03 di questa sezione;

Visto il ricorso notificato in data 21 aprile 2006 e depositato in data 28 aprile 2006;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione dell’Interno, depositato in data 10.05.2006;

Vista la memoria depositata da parte ricorrente in data 21.11.2006

visti gli atti tutti della causa;

uditi (relatore il Consigliere Savoia), i procuratori delle parti costituite come da verbale d’udienza;

ritenuto in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1. Con sentenza n. 5175/03 veniva accolto il ricorso proposto contro il diniego all’apertura di un istituto di Vigilanza nella provincia di Verona; tale decisione, richiamava la giurisprudenza del Consiglio di stato sul punto, (cfr.Consiglio di Stato, Sezione quarta, 14 maggio 2001 numero 2670, confermativa in appello di una pronuncia del Tar Umbria del 1990) affermando il principio secondo cui “i provvedimenti di diniego all’autorizzazione all’esercizio dell’attività di vigilanza privata non possono essere motivati solo in base al numero degli istituti, delle guardie e dei sistemi di vigilanza esistenti, ma debbono dare ragione di come l’interesse pubblico sarebbe danneggiato dal rilascio di una nuova autorizzazione, a giustificazione del restringimento della sfera di libertà costituzionalmente garantita, sicché il diniego di autorizzazione non può fondarsi su un mero giudizio di non necessità di un ulteriore istituto, poiché la motivazione va piuttosto condotta in termini di giudizio di eccessività e di negatività di una nuova autorizzazione sotto il profilo del turbamento che potrebbe derivare all’ordine pubblico da un eccesso di concorrenza.

Il provvedimento impugnato, dunque, risulta illegittimo per non aver tenuto conto di tali valutazioni, mentre del tutto irrilevante, ai fini dell’accertamento dell’interesse, risulta la circostanza della mancata impugnazione da parte della ricorrente delle autorizzazioni via via rilasciate, poiché le stesse non possono, da sole, costituire causa di giustificazione di un ulteriore diniego.

Il decreto del prefetto deve conseguentemente essere annullato.”

La ricorrente, a causa dell’intervallo temporale trascorso tra la pronuncia favorevole e l’atto impugnato- 14 anni- e a causa della mutate condizioni oggettive e soggettive, non avendo più interesse al rilascio del provvedimento autorizzatorio, col presente ricorso chiede il risarcimento del danno, nelle voci del danno emergente e lucro cessante, derivatole dalla mancata adozione, all’epoca, del provvedimento favorevole richiesto.

Si oppone l’amministrazione, escludendo la colpevolezza per essersi solo recentemente consolidato l’orientamento favorevole alla ricorrente, la quale nel frattempo non si sarebbe congruamente attivata né per un riesame della domanda né per una celere definizione del gravame, anzi avrebbe lasciato cadere una successiva istruttoria volta, quanto meno, al rilascio di autorizzazione limitata alla scorta e trasporto valori.

All’odierna udienza, dopo discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

2. La domanda di risarcimento dei danni avanzata dalla ricorrente, attesa la discrezionalità del provvedimento annullato e non più rilasciato (trattasi di una autorizzazione all’esercizio di un istituto di vigilanza privata), deve valutarsi come relativa a danni “per perdita di chance” e quindi, ove accolta, da liquidarsi in via equitativa.

2.1. Il danno sofferto dalla ricorrente – che, si ricorda, aveva richiesto l’autorizzazione di cui sopra nell’anno 1989 e ha visto annullato il diniego nell’anno 2003, quando, per saturazione del mercato, non sussistevano più le condizioni né l’interesse per iniziare l’attività oggetto della richiesta - è stato quantificato, dalla consulenza tecnica di parte prodotta in giudizio, in complessivi euro 231.000,00, di cui € 206.000 a titolo di lucro cessante ed € 25.000 a titolo di danno emergente.

2.2. Il consulente ha stimato i danni patiti utilizzando, quali parametri di liquidazione, l’utile conseguibile annualmente dall’attivazione dell’istituto impedita con l’atto impugnato, ipotizzando l’acquisizione di una quota di mercato prudenzialmente stimata nel 5% e sommando alle perdite così determinate (€ 145.192,90, da ridurre a 142.000,00 poiché viene computato l’intero anno 1989) una ulteriore percentuale di utili, da investimento in titoli, assunti in funzione dei rendimenti netti medi annuali dei titoli di Stato emessi nel periodo di riferimento (rendimenti variabili dal 12% al 3,1%) che incrementano il danno sino ad € 205.448, oltre alle spese sostenute e agli interessi da calcolare.

2.3. L’amministrazione per parte sua nega, innanzitutto, la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda risarcitoria, ed in particolare che sussista l’elemento della colpa nella causazione del danno conseguente al diniego annullato, posto che, al momento dell’emanazione dell’atto di reiezione della domanda (1989), non sussisteva un univoco orientamento giurisdizionale sull’art. 134 del TULPS, e dunque che le determinazioni assunte in quel contesto, non hanno comportato alcuna lesione, riconducibile a fatto colposo o doloso dell’amministrazione, del preteso diritto al rilascio dell’autorizzazione per l’attivazione dell’istituto di vigilanza privata del cui mancato profitto la ricorrente chiede il ristoro.

2.4. In ogni caso, nella denegata ipotesi che il giudice ritenga il ricorso fondato quanto alla spettanza dell’autorizzazione e quanto alla sussistenza della colpa in capo all’amministrazione, quest’ultima oppone che la quantificazione del danno operata dalla ricorrente, che essa apparentemente non contesta (nel senso che nulla oppone in ordine al procedimento seguito per la sua determinazione dal perito di parte) deve essere comunque ridimensionata, in applicazione dell’art. 1227 c.c. comma 2^, per una serie di ragioni che, secondo la difesa dell’amministrazione hanno concorso colpevolmente alla sempre ipotetica causazione del danno e alla sua macroscopica enfatizzazione, tra cui rilevano comportamenti commissivi e omissivi, quale quello “di non aver mai presentato una richiesta di rivalutazione della propria domanda pur dopo che erano state rilasciate dall’amministrazione altre autorizzazioni a istituti di vigilanza privata operanti nella stessa città di Verona; di non aver impugnato le autorizzazioni medio tempore rilasciate ad altri istituti di vigilanza privata, mentre pendeva il giudizio sul diniego e di non aver dato alcun seguito, nell’anno 1994, alla proposta di rilascio dell’autorizzazione richiesta, sia pure limitatamente ai servizi di trasporto e scorta valori.

2.5. La quantificazione del danno da perdita di chance, secondo l’amministrazione, non può inoltre prescindere dalla circostanza di fatto che nel lungo periodo di pendenza del giudizio la ricorrente ha svolto altre attività lavorative profittevoli, incompatibili con l’attività che la Righini avrebbe svolto nella veste di titolare e gestore dell’Istituto di vigilanza privata, e dunque che i suddetti redditi andrebbero scomputati dal risarcimento preteso.

2.6. Per tali ragioni l’amministrazione chiede preliminarmente il rigetto della domanda e comunque che l’ammontare del danno ex adverso reclamato venga decurtato dall’aliunde perceptum e liquidato in misura non superiore a 15.000 euro.

3. Come premesso, non essendovi prova possibile del rilascio automatico della chiesta autorizzazione, l’interesse pretensivo violato – secondo il Collegio - deve essere stimato come una perdita di chance di atto favorevole, parametrabile non solo alla perdita di quote di mercato, ma anche alla probabilità di conseguimento dell’autorizzazione concretamente raggiunta nella specie.

3.1. Due sono, come è noto, gli indirizzi interpretativi in tema di chance risarcibili: il primo riconosce alla chance la qualità di bene giuridico autonomo, indipendente dalla situazione di vantaggio verso cui tende, dotato di per sé di rilevanza giuridica ed economica, in quanto elemento facente attivamente parte del patrimonio del soggetto che ne ha la titolarità; l’altro, invece, attribuisce un rilievo decisivo all’elemento prognostico o, rectius, probabilistico, il quale è posto quale fattore strutturale e costitutivo, da accertare indefettibilmente al fine di riconoscere a una mera possibilità la consistenza necessaria per rientrare nella nozione di chance e, dunque, per ricevere protezione da parte dell’ordinamento.

3.2. E’ decisivo, allora, nell’ottica del secondo indirizzo al quale il Collegio aderisce, distinguere fra probabilità di riuscita (chance risarcibile) e mera possibilità di conseguire l’utilità sperata (chance irrisarcibile). A tal fine bisogna ricorrere alla teoria probabilistica, che, nell’analizzare il grado di successione tra azione ed evento, per stabilire se esso avrebbe costituito o meno conseguenza dell’azione, scandaglia, fra il livello della certezza e quello della mera possibilità, l’ambito della c.d. probabilità relativa, consistente in un rilevante grado di possibilità. Nello specifico occorre affidarsi al metodo scientifico, che si sostanzia in un procedimento di sussunzione del caso concreto che si voglia di volta in volta analizzare sotto un sapere scientifico; ossia, quanto ai sistemi giuridici, sotto un sapere probabilistico, non sorretto da leggi statisticamente universali, ma pur sempre scientifico perché razionalmente fondato sulle conoscenze di una specifica scienza (quella giuridica) e, quindi, anch’esso attendibile.

Secondo tale metodo scientifico la verificazione dell’azione o della situazione fattuale esaminata quale condicio, certa o probabile, di un evento favorevole, va effettuata “secondo la migliore scienza ed esperienza”, ragion per cui si rende opportuno precisare l’orientamento interpretativo del Consiglio di Stato, per cui “la concretezza della probabilità deve essere statisticamente valutabile con un giudizio sintetico che ammetta, con giudizio ex ante, secondo l’id quod plerumque accidit, sulla base di elementi di fatto forniti dal danneggiato, che il pericolo di non verificazione dell’evento favorevole, indipendentemente dalla condotta illecita, sarebbe stato inferiore al 50%” (Cons. Stato sez. VI, 5 dicembre 2005 n. 6960).

3.3. Quanto finora enunciato deve, tuttavia, essere necessariamente esaminato alla luce della peculiarità delle situazioni giuridiche soggettive di vantaggio, proprie del diritto amministrativo, la cui probabilità di transitare dalla fase in potentia a quella in actu, requisito indispensabile per la configurabilità di una chance risarcibile, va verificata alla stregua della consistenza dei poteri attribuiti dall’ordinamento alla pubblica amministrazione.

In altri termini, bisogna chiedersi se e in che misura la discrezionalità amministrativa incida in ordine all’esito del giudizio prognostico in parola, ovvero con riguardo alla determinazione della consistenza e della rilevanza dell’utilità potenziale e, dunque, della sua concreta tutelabilità. Gli esiti di tale prognosi, infatti, si diversificano a seconda che il conseguimento della posizione di vantaggio, verso cui è teleologicamente orientata la chance, sia correlato ad un’attività vincolata, tecnico-discrezionale o discrezionale pura.

Nelle prime due ipotesi il giudice può, essendo la valutazione dell’amministrazione ancorata a parametri precisi e vincolanti, “sostituirsi” alla stessa, sia pure in modo virtuale e nella sola prospettiva risarcitoria e giungere così ad individuare il grado di possibilità di ottenimento, da parte del privato asseritamente leso, del bene della vita, irrimediabilmente perso che poteva scaturire dalla chance, senza che la natura dei poteri attribuiti alla pubblica amministrazione possano in alcun modo alterare l’esito prognostico.

Contrariamente, ove sia riconosciuta, in capo all’amministrazione, una potestà di natura discrezionale, tanto maggiori saranno i margini di valutazione rimessi alla pubblica amministrazione, tanto maggiore sarà l’alterazione del giudizio probabilistico, il quale in presenza di parametri valutativi elastici ed insindacabili, se non nei termini ristretti ed estrinseci della logicità e ragionevolezza, dovrà inevitabilmente rinunciare a riconoscere la sussistenza di un’apprezzabile probabilità di esito positivo e, dunque, di una chance risarcibile, onde evitare un’inammissibile e problematica surrogazione dell’autorità giudiziaria nei poteri dell’amministrazione. In altri termini la discrezionalità amministrativa elide, nella maggior parte dei casi, la possibilità di compiere il giudizio prognostico in parola in termini di preciso calcolo percentuale ma non esclude di poter riconoscere una perdita di chance, nella base del grado di approssimazione al bene della vita raggiunto dal ricorrente (cfr. C.d.S. VI sez. 25 luglio 2006 n. 4634).

3.4. A completamento di quanto osservato in ordine agli elementi costitutivi dell’istituto in parola, occorre rilevare che è necessaria una lesione, concreta ed attuale, di una chance, individuata nella sua consistenza e rilevanza giuridica conformemente ai parametri in precedenza enunciati.

4. Ciò premesso, il Collegio osserva che poiché nella specie la ricorrente rivendica il diritto ad essere risarcita per la perdita della chance di intraprendere nell’anno 1989 l’attività di gestore di un istituto di vigilanza privata, occorre stabilire se, a seguito dell’annullamento del provvedimento di rigetto dell’istanza, annullato dal T.A.R. nel 2003, per i motivi di cui si è narrato in premessa, sussistesse in capo alla stessa ricorrente, ovviamente attraverso una valutazione di c.d. prognosi postuma, la chance di conseguire, in relazione alla pronuncia che ha annullato il diniego opposto alla domanda, l’autorizzazione di cui si controverte e, in caso positivo quale fosse in percentuale la probabilità di conseguimento di un provvedimento favorevole, che la Righini assume essere pari al 100%, ossia di atto dovuto, posto che, una volta escluso il profilo della motivazione negativa opposta alla richiesta presentata nell’anno 1989, non sussistevano altre ragioni, neppure esplicitate in prosieguo, per denegare l’autorizzazione all’apertura dell’istituto di vigilanza, specie dopo che la stessa Prefettura di Verona aveva manifestato la disponibilità a rivedere la propria determinazione sino al punto da prospettare il rilascio di una autorizzazione parziale (limitata ai servizi di trasporto e scorta valori) e, in seguito, ad autorizzare altri due istituti concorrenti a svolgere la stessa attività oggetto del diniego opposto alla ricorrente.

4.1. Orbene, al riguardo osserva il Collegio che l’amministrazione nulla ha opposto in merito alla prospettata spettanza del bene della vita, dopo l’annullamento del diniego opposto nell’anno 1989, nel senso che, nel prendere atto della sopravvenuta carenza di interesse al rilascio dell’autorizzazione dopo 14 anni dalla richiesta, per le mutate condizioni del mercato, non ha addotto alcuna ulteriore eventuale (e ancora possibile) ragione di rigetto della domanda diversa da quella di cui ha fatto giustizia il Tribunale con la sentenza n. 5175/03 passata in cosa giudicata.

4.2. Non è quindi in discussione, per la parte relativa ai requisiti soggettivi, che la ricorrente fosse in possesso di tali requisiti, “avendo lavorato per circa 10 anni come impiegata di direzione presso “l’Istituto Vigilanza Umbra srl di Perugina” e per essere da circa 6 anni titolare dell’istituto di vigilanza “Città di Spoleto srl”, essendo laureata in Giurisprudenza e possedendo le capacità economiche necessarie all’impianto e conduzione dell’attività richiesta, dichiarandosi disposta a rinunciare alla titolarità dell’altro istituto e a trasferire la propria residenza nella provincia di Verona (cfr. domanda di autorizzazione del 20.3.1989).

4.3. Quanto alle condizioni oggettive, si rammenta che l’atto negativo era stato motivato “con la non corrispondenza al pubblico interesse dell’attivazione di un nuovo istituto, ritenendo in rapporto al numero e all’importanza delle agenzie già esistenti sufficiente il numero di quelle attivate, e con il parere negativo della Questura, il quale per vero dire, si risolveva in una apodittica affermazione: ”quest’ufficio in linea di massima esprime parere contrario, salva diversa valutazione di codesto ufficio, allo stato degli atti… qualora però l’interessata riesca a dimostrare sufficientemente quanto asserito nella sua istanza, capacità tecnica, economiche ecc. si ritiene che la pratica possa essere riesaminata per una più approfondita valutazione”.

Il parere, quindi, oltre a essere quantomai prudente, con espressioni quali “ in linea di massima, allo stato degli atti, salva diversa valutazione” etc., concludeva nel senso che se la richiedente avesse fornito una sufficiente dimostrazione dei requisiti tecnico-economici, non esistendo altre cause ostative, si sarebbe potuto assentire il rilascio dell’autorizzazione.

4.4. Tali considerazioni, alla luce di quanto osservato al punto che precede in merito al possesso dei requisiti soggettivi in capo alla richiedente e all’assenza di ragioni di interesse pubblico che, ove correttamente apprezzate avrebbero potuto indurre l’amministrazione ad accogliere la domanda, inducono il Collegio ad attribuire alla richiesta della ricorrente, all’epoca, una probabilità di buon esito, che, nella prospettiva fin qui seguita, di chance non tradotta nel risultato sperato si può stimare in una percentuale pari al 75%, ossia come evento altamente probabile sino all’anno 1994, e pari al 100% in epoca successiva, non avendo l’amministrazione dimostrato in prosieguo di causa, come già rilevato, né che sussistevano ragioni diverse da quelle opposte e ritenute insufficienti a rigettare la domanda, né elementi non valutati che potessero riduree comunque la possibilità di buon esito della richiesta.

Ne è riprova indiretta il fatto che in pendenza del giudizio, e precisamente negli anni successivi al 1994, l’amministrazione ha preso in considerazione altre richieste di autorizzazione all’apertura di istituti di vigilanza e le ha accolte, con ciò implicitamente dimostrando che ove tali ragioni non fossero sussistite con certezza all’atto della richiesta, l’amministrazione avrebbe potuto comunque, pendendo il contenzioso, assegnare priorità alla richiesta della ricorrente e quindi rilasciare a essa la prima autorizzazione concedibile in base alla rinnovata valutazione dell’interesse pubblico.

Ciò implica dunque che la chance di ottenere l’autorizzazione illegittimamente denegata va stimata, ai fini della domanda di risarcimento, nella percentuale del 75% sino all’anno 1993 e in quella del 90% a partire dall’anno 1994, e che pertanto il danno conseguente alla mancata attivazione dell’istituto di vigilanza è ascrivibile alla condotta illegittima dell’amministrazione, che ingiustamente ha negato il rilascio del titolo per l’esercizio dell’attività richiesta, e quindi che esso genera il diritto al suo risarcimento in una misura che è possibile determinare solo in via equitativa, considerando che l’autorizzazione sarebbe stata esercitata a partire dall’anno 1989 e non oltre l’anno 2003, quando si è concluso il contenzioso, posto che in quella data l’interessata ha dichiarato di non avere più interesse a conseguirla, né l’amministrazione, a partire da tale data gliel’ha offerta.

5. Ciò chiarito in merito alla spettanza del diritto al risarcimento, trattandosi di intrapresa economica che in base alle prove offerte dalla parte ricorrente e non contestate dall’amministrazione avrebbe prodotto un utile rapportato a quello di analoghe imprese operanti nella stessa città e nello stesso periodo di tempo, come dimostrato dalla perizia prodotta in giudizio, occorre tuttavia che il Collegio esamini le eccezioni che la stessa amministrazione oppone ai fini della quantificazione/riduzione del danno, in ragione di tutti gli elementi che ai sensi dell’art. 1227 comma 2, c.c. possono attenuare, sino ad azzerarlo, il diritto al risarcimento del creditore, dovendo essere esclusi da questo supposto montante i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza o comunque di quelli che sono imputabili al concorso (eventuale) del fatto colposo del medesimo creditore.

5.1. Secondo l’amministrazione il risarcimento non sarebbe quindi dovuto alla ricorrente o comunque andrebbe decurtato da una somma tendenzialmente idonea ad azzerarlo per le seguenti causali: 1) per non avere la ricorrente ripresentato la domanda in corso di giudizio e per non aver fatto valere tempestivamente il proprio diritto; 2) per non avere impugnato le analoghe autorizzazioni medio tempore rilasciate ad altri istituti di vigilanza con essa concorrenti; 3) per non avere sollecitato la decisione tempestiva del ricorso e quindi per aver tratto profitto dalla durata abnorme del processo senza attuare le misure acceleratorie che avrebbero potuto portare a una decisione quanto più all’instaurazione del giudizio; 4) per avere rifiutato o comunque per non aver agito con diligenza in funzione del rilascio di una autorizzazione parziale, ossia limitata al servizio di trasporto e di scorta valori (come risulta dai doc.ti 6 e 7 dep. il 30 marzo 2006).

5.2. Posto infine che un risarcimento spetti, in esito alla riduzione dovuta ai suddetti motivi, l’amministrazione oppone che la relativa quantificazione deve tener conto (e dunque scomputare) dall’ammontare del danno, il reddito percepito dalla ricorrente per attività lavorativa, in quanto essa P.A. presume la non compatibilità con l’attività da svolgersi dalla Righini nella veste di titolare dell’Istituto di vigilanza privata.

5.3. La ricorrente contesta espressamente tali eccezioni (di concorso di colpa) e chiede il risarcimento integrale del danno, rilevando che esso è stato quantificato applicando criteri estremamente prudenziali e quindi ampiamente sottostimati.

6. A giudizio del Collegio tuttavia le eccezioni dell’amministrazione sono, in parte ed in misura non trascurabile, fondate.

6.1. Non sono tali le eccezioni sub 2 (mancata impugnativa delle autorizzazioni rilasciate medio tempore ad altri istituti di vigilanza privata) e ciò sia “in quanto le stesse autorizzazioni non potevano da sole costituire causa di giustificazione di un ulteriore diniego” (cfr. sentenza n. 5175/03) sia perché alla ricorrente è sufficiente dimostrare che furono assentite autorizzazioni (in sé legittime) nel presupposto implicito (per contro illegittimamente opposto alla Righini) che l’apertura di nuovi istituti di vigilanza fosse contraria all’interesse pubblico; e sub 3 (mancanza di diligenza nella conduzione del giudizio onde addivenire a una sollecita decisione della causa) perché non pare al Collegio che nella specie si possa addebitare alla ricorrente, e comunque lo si dovrebbe in misura pari all’amministrazione, che nulla ha fatto per parte sua, la durata abnorme del giudizio (14 anni) avendo la prima proposto le rituali domande di fissazione dell’udienza e di dichiarato permanente interesse alla definizione del giudizio ai sensi dell’art. 9 comma 2^ della l. 205/2002.

6.2. Quanto alla mancata “proposizione di opportuna richiesta di nuova valutazione dell’originaria istanza all’Amministrazione dell’interno, ….”che avrebbe certamente giovato alla Righini alla luce sia dell’intervenuto orientamento più favorevole al rilascio di nuove autorizzazioni che dell’accoglimento di altre istanze presentate in epoca successiva” il Collegio osserva che in effetti la ricorrente non ha mai sollecitato, in tutto il lungo periodo di durata del processo una rivalutazione della domanda, mentre è vero, al contrario, che l’amministrazione, in sede di riesame (rispetto alla originaria richiesta di licenza ex art. 134 T.U.L.P.S) ebbe a comunicare alla Righini la disponibilità a rilasciare un’autorizzazione limitata al trasporto e scorta di valori (doc.ti 6 e 7 dep. il 30 marzo 2006); disponibilità alla quale, per vero, la stessa ricorrente non diede seguito, pur avendo manifestato interesse a ottenere tale autorizzazione (doc.to 8 dep. il 30 marzo 2006).

6.3. In definitiva applicando il criterio della compensazione del fatto il Collegio ritiene che:

- la spettanza del bene della vita è positivamente dimostrata nella misura e con le probabilità, che attingono quasi alla certezza, quantomeno nel periodo successivo all’anno 1994;

- che alla ricorrente non è imputabile la durata dell’iter processuale, avendo la stessa posto in essere gli atti ordinariamente richiesti per la fissazione della discussione di merito;

- che parimenti alla ricorrente non spettava - o meglio non ne era predicabile un obbligo- l’impugnazione delle successive autorizzazioni rilasciate nello specifico settore economico;

- che le è invece imputabile l’abbandono della procedura istruttoria avviata per il rilascio di un’autorizzazione di contenuto più limitato, e ciò nella prospettiva dell’art. 1227, riconoscendosi l’attività colposa del creditore;

6.4. Ne consegue che, a partire dall’anno 1994, a fronte della disponibilità dell’amministrazione al rilascio del titolo e della presumibile conoscenza che analoghe autorizzazioni erano state assentite a diversi istituti di vigilanza si deve ritenere che la ricorrente abbia concorso ad aggravare il danno, che avrebbe potuto contenere, e comunque sensibilmente ridurre, in una misura che il Collegio stima, quantomeno a partire da tale data (1994) - ossia dall’offerta dell’autorizzazione a contenuto ridotto - in misura pari a 2/3 dell’ammontare del risarcimento indicato dal perito, che pertanto va ridotto nella seguente misura: da euro € 22,500,00 a € 13.500,00 per il periodo 1989/1993 in ragione della percentuale sino ad allora stimata di conseguire l’autorizzazione in questione e della prudenziale riduzione della quota di mercato al 4%; e in € 14.500 per il periodo 1994/2003: ottenuto per differenza dall’importo di € 142.000-22.500:3 e quindi proporzionalmente ridotto e arrotondato con riferimento a una quota di mercato prudenzialmente dimezzata (2%) in seguito all’ingresso nel mercato di altri concorrenti.

Sulla somma complessiva di € 28.000 dovuta a titolo di risarcimento l’amministrazione non dedurrà le somme percepite a titolo di reddito da lavoro dalla Righini negli anni 1989/1994, ma le porterà a compensazione integrale degli interessi e dei maggiori profitti (quantificati dal perito in € 60.000 circa) e determinati dal Collegio in € 10.000.

E’ infine accolta la domanda di risarcimento nella misura di € 500,00 contro una richiesta di €. 25.000,00 per le spese sostenute e le attività compiute al fine di proporre l’istanza, non sussistendo alcuna documentazione probante in ordine al maggior montante di spesa attendibilmente sostenuto a quel titolo.

Conclusivamente, in accoglimento della domanda della ricorrente, vanno indicati i seguenti importi cui commisurare il ristoro del danno subito ai sensi dell’art.34 del D.lgs. n. 80/98:

- a titolo di danno emergente euro 500,00;

- a titolo di lucro cessante - perdita di chance: la somma di € 28.000,00 derivante dal calcolo del reddito medio ritraibile nel periodo considerato da istituto di vigilanza analogo, in rapporto a una quota di mercato stimata prudenzialmente nel 4% sino al 1994 e nel 2% nel periodo successivo, abbattuto di due terzi per concorso di colpa nella causazione del danno e quindi dalla quota derivante dall’attività di scorta e trasporto valori, che la ricorrente non ha perfezionato nonostante l’avviso favorevole e la disponibilità dell’amministrazione al rilascio della corrispondente autorizzazione.

In ragione dell’accoglimento reciproco di domande, sussistono infine giuste ragioni per disporre la parziale compensazione delle spese tra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione terza, definitivamente pronunziando sul ricorso in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, accoglie la domanda di risarcimento del danno nella misura di € 28.500,00 (euro ventottomilacinquecento/00), come da motivazione.

Condanna l’amministrazione intimata al pagamento delle spese e delle competenze di causa che previa compensazione per la metà, liquida a favore della parte ricorrente in € 2.000,00 (duemila) oltre ad iva e c.p.a..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia, nella camera di consiglio del 6 dicembre 2006.

Il Presidente L’Estensore

Il Segretario

Ultimo aggiornamento ( domenica 08 luglio 2007 )