L’Articolo 30, comma V^, C.p.a. è incostituzionale?
martedì 04 ottobre 2011

di Giovanni Attilio De Martin. Porto a conoscenza dei lettori del sito i quali già non lo sapessero che il T.A.R. per la Sicilia, Sede di Palermo, con Ordinanza n. 1628/2011 del 5 luglio – 7 settembre 2011 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’Articolo 30, comma V^, del C.p.a. in relazione agli Articoli 3, 24, 103 e 113 della Costituzione. La prescrizione normativa sospettata di incostituzionalità ci è ben nota: essa così dispone “nel caso in cui sia stata proposta azione di annullamento la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza”. In disparte la particolare fattispecie fattuale che ha condotto il Giudice Amministrativo della Sicilia a pronunciare l’Ordinanza de qua, quali sono le argomentazioni autenticamente giuridiche nella medesima sviluppate? La questione è stata, in primis, reputata rilevante in relazione ad un duplice profilo esegetico: a) l’azione risarcitoria interposta in quel giudizio dovrebbe considerarsi tempestiva se, in assenza della delimitazione decadenziale posta dall’Articolo 30, comma V^, C.p.a. la sua proposizione fosse subordinata, secondo il diritto comune, unicamente al rispetto del termine quinquennale di prescrizione. Pertanto, qualora la norma rimessa al vaglio della Corte Costituzionale sia dichiarata effettivamente illegittima, la domanda proposta in ricorso dovrebbe senz’altro reputarsi tempestiva, alla stregua dell’ordinario termine prescrizionale al quale le azioni risarcitorie per illegittimo esercizio della funzione amministrativa risultavano sottoposte prima dell’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo; b) il T.A.R. per la Sicilia, sempre in punto di rilevanza della questione di costituzionalità, ha ritenuto che l’Articolo 30, comma V^, C.p.a. non trovi applicazione solamente per i giudicati di annullamento formatisi successivamente all’entrata in vigore del C.p.a. Ciò in ragione di quanto dispone l’Articolo 2 delle Norme Transitorie di cui all’allegato 3 del Codice secondo il quale “per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del codice continuano a trovare applicazione le norme previgenti”. Nell’esegesi svolta dal T.A.R. Sicilia la norma in oggetto viene riferita ai termini processuali propriamente intesi, nel mentre la previsione di uno sbarramento decadenziale per l’esercizio del diritto incide, al contrario, sulla sua delimitazione sul piano propriamente sostanziale. Inoltre, la Relazione accompagnatoria del Codice specifica che la disciplina transitoria de qua si riferisce “ai processi pendenti alla data di entrata in vigore del nuovo codice”; diversamente, la proposizione della domanda risarcitoria nei confronti della P.A. – sia in via autonoma (Articolo 30, comma III^, C.p.a.), sia a seguito di annullamento giurisdizionale con sentenza passata in giudicato del provvedimento amministrativo impugnato (Articolo 30, comma V^, C.p.a.) – implica l’introduzione di un nuovo giudizio, al quale non si applica la disciplina transitoria dei termini processuali prevista dagli allegati del Codice. Questo sotto il profilo della rilevanza della questione. Quanto alla sua non manifesta infondatezza il Giudice remittente ritiene che la norma sospettata di incostituzionalità comprometta irragionevolmente il diritto di difesa in giudizio della parte danneggiata, con violazione degli Articoli 3, 24, 103 e 113 della Costituzione. Superfluo, in questa sede di commento, ricordare ciò che dispongono specificatamente i commi III^ e V^ dell’Articolo 30 C.p.a., a seconda che l’azione risarcitoria sia introdotta in via diretta ovvero a seguito della formazione del giudicato di annullamento del provvedimento amministrativo illegittimo. La ratio posta a fondamento dei precitati termini di decadenza risponde all’esigenza della certezza del diritto e della stabilità dei rapporti giuridici, connessa al rilievo che l’atto pone un assetto di interessi rilevante sul piano superindividuale. Il bilanciamento fra il diritto degli interessati a sollecitare un sindacato giurisdizionale sull’atto o provvedimento amministrativo e l’interesse a definire la relativa vertenza in maniera sollecita, in modo da salvaguardare l’affidamento ed il consolidamento del rapporto, costituisce punto di equilibrio del sistema (a ciò risponde anche la previsione del termine di decadenza dell’impugnazione, conforme a Costituzione in quanto termine ragionevole e non pregiudizievole per l’esercizio del diritto di azione). L’azione risarcitoria, sul piano strutturale, si pone totalmente al di fuori della predetta dinamica, rilevando essenzialmente sul piano della mera reintegrazione patrimoniale del soggetto leso. Ed, infatti, del tutto coerentemente con questa impostazione il C.p.a. include il risarcimento del danno fra i “diritti patrimoniali consequenziali” rispetto all’annullamento del provvedimento illegittimo e lesivo (Articolo 7, comma IV^). E se la discrezionalità legislativa avesse inteso porre un limite temporale all’esercizio dell’azione risarcitoria compatibile con la natura del rimedio, avrebbe potuto ragionevolmente farlo attraverso la previsione di un congruo termine prescrizionale (per ipotesi anche differente da quello previsto dal diritto civile, qualora sussistesse una congrua e ragionevole giustificazione per la differenziazione). Infatti, anche in coerenza con gli insegnamenti dottrinari, la disciplina dell’azione risarcitoria si configura ragionevolmente compatibile con la prescrizione e non già con la decadenza la quale ha ad oggetto un atto che, per effetto della medesima non può essere compiuto. Ma è soprattutto sul piano funzionale che gli istituti della prescrizione e della decadenza si differenziano fra loro molto profondamente: nel mentre la prescrizione risulta collegata all’inerzia del titolare del diritto, la decadenza esprime un’esigenza di certezza del diritto a tal punto categorica da esser tutelata indipendentemente dalla possibilità di agire del soggetto interessato. Il T.A.R. per la Sicilia, nell’Ordinanza di remissione, fa un interessantissimo paragone con la disciplina dei vizi della cosa venduta, di cui agli Articoli 1491 e ss. C.C. laddove la denuncia del vizio deve avvenire entro un brevissimo termine di decadenza (otto giorni dalla scoperta) – termine correlato all’esigenza di certezza e di stabilità dei rapporti giuridici – nel mentre la successiva azione risarcitoria, subordinata alla tempestiva e pregiudiziale denuncia, soggiace coerentemente ad un termine prescrizionale annuale in quanto del tutto estranea alla ratio del spera citato termine decadenziale. La situazione è strutturalmente identica per quanto concerne l’illecito della P.A. preceduto dalla previa impugnazione del provvedimento amministrativo illegittimo e lesivo, con la significativa differenza, tuttavia, che nella sistematica del Codice del processo amministrativo l’esperimento dell’azione risarcitoria risulta anche essa assoggettata ad un termine decadenziale, peraltro infrannuale (con significativa compressione del diritto di difesa del danneggiato, in assenza di un reale ed effettivo interesse confliggente che non sia il generale interesse, giuridicamente non apprezzabile in questo contesto, alla integrità dell’erario). Peraltro, i contributi della dottrina hanno formulato ampie riserve critiche con specifico riferimento alla soluzione recata dall’Articolo 30 C.p.a. sottolineando come essa costituisce una sorta di “compromesso” vòlto a conciliare le opposte posizioni emerse nella giurisprudenza della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato in merito alle condizioni per l’accesso al rimedio risarcitorio in materia di illecito della P.A., risolvendo, in tal modo e per legge, il conflitto esistente fra i due massimi Organi Giurisdizionali. Si è in tal modo affermata la possibilità teorica della proponibilità dell’azione risarcitoria autonoma, anche essa assoggettata ad un breve termine di decadenza (le due forme di tutela, pertanto, non si differenziano di molto quanto a condizioni di accesso). La critica più diffusa alla norma di cui all’Articolo 30 C.p.a. poggia sulla irragionevolezza in sé della disposizione normativa, sulla intrinseca carenza di una sua giustificazione razionale sotto il profilo logico – giuridico, e ciò a voler prescindere dalla certa compromissione del diritto di azione e di difesa in Giudizio. In questo senso la previsione di un termine decadenziale per proporre azione di risarcimento autonoma (fattispecie, ora come ora, più teorica che pratica anche a seguito dell’ermeneutica dell’impianto codicistico resa dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di stato con decisione n. 3/2011) pare confermare pienamente questa lettura: il C.p.a. formalmente non ha voluto discostarsi formalmente dalle indicazioni della Suprema Corte di Cassazione, così ammettendo l’autonoma proponibilità dell’azione risarcitoria, tuttavia sottoponendola ad un regime – almeno in punto di sbarramento temporale – molto più simile a quello dell’azione di annullamento del provvedimento amministrativo illegittimo che a quella dell’azione di risarcimento danni. Se una tale disciplina è fortemente discutibile (e, ad avviso di chi scrive, anche essa incostituzionale), ancor di più è l’estensione, operata dall’Articolo 30, comma V^, C.p.a., di siffatto regime alla diversa fattispecie dell’azione risarcitoria preceduta dalla pregiudiziale impugnazione e caducazione del provvedimento amministrativo illegittimo e lesivo, caratterizzata dalla irrevocabile formazione della certezza giuridica in ordine al profilo sostanziale della spettanza. Peraltro, il parametro di legittimità della decadenza convenzionale (Articolo 2965 C.C.) è dato dal limite della eccessiva difficoltà nell’esercizio del diritto: da ciò discende la centralità, altresì nelle ipotesi della decadenza legale, del criterio funzionale (con l’unica differenza che per quanto concerne la decadenza convenzionale la rispondenza al parametro funzionale è operata dal Giudice Ordinario; nell’ipotesi della decadenza legale esso è affidato alla Corte Costituzionale). Secondo il T.A.R. per la Sicilia, pertanto, il profilo di irragionevolezza che vizia l’Articolo 30, comma V^, C.p.a. attiene alla previsione di un termine stabilito a pena di decadenza, al di fuori dei parametri legittimanti una così incisiva compressione dell’esercizio del diritto di difesa; sia nella concreta fissazione di tale termine in giorni centoventi. La Relazione accompagnatoria del Codice afferma che il termine di centoventi giorni, posto a pena di decadenza per l’esercizio dell’azione risarcitoria si giustificherebbe sul “presupposto che la previsione di termini decadenziali non è estranea alla tutela risarcitoria, vieppiù a fronte di evidenti esigenze di stabilizzazione delle vicende che coinvolgono la pubblica amministrazione”. Quanto alla prima affermazione, evidenzia il T.A.R., non è dato rinvenire riscontri alla medesima, se non in relazione al diverso profilo della esistenza, nell’ambito della complessa disciplina dei rimedi contro l’illecito, di termini decadenziali afferenti ad attività propedeutiche alla proposizione della vera e propria azione di danno, ma dalla predetta strutturalmente e funzionalmente distinte. Quanto alla seconda affermazione essa, ad avviso di chi scrive, è giusta in sé ed in via generale ma non può determinare alcuna disparità di trattamento rispetto alla tutela dei soggetti privati colpiti da illecito amministrativo. Il Giudice remittente ha svòlto anche un diverso argomento a comprova della violazione, da parte della norma censurata, degli Articoli 24, 103 e 113 della Costituzione. All’esito della ricostruzione del sistema della tutela del cittadino nei confronti della P.A., alla quale ha recato un fondamentale contributo la sentenza della Corte Costituzionale n. 204/2004, si ritiene comunemente che il rimedio risarcitorio sia indissolubilmente legato, quale complementare ad esso, a quello demolitorio: la tutela costituzionale dell’interesse legittimo si completa solamente se il titolare può chiedere, in aggiunta all’annullamento dell’atto o provvedimento amministrativo impugnato, il risarcimento per equivalente del danno cagionato dall’atto illegittimo e lesivo della P.A. L’azione risarcitoria è, anzi, costituzionalmente necessaria: sul punto è la medesima Corte Costituzionale nella sentenza n. 191/2006 ad affermare a chiare lettere che “laddove la legge …….. costruisce il risarcimento del danno, ai fini del riparto di giurisdizione fra Giudice Ordinario e Giudice Amministrativo, come strumento di tutela affermandone – come è stato detto – il carattere “rimediale”, essa non viola alcun precetto costituzionale e, anzi, costituisce attuazione del precetto dell’Articolo 24 Cost. laddove questo esige che la tutela giurisdizionale sia effettiva e resa in tempi ragionevoli”. La concentrazione dei rimedi (demolitorio e/o risarcitorio) in capo al Giudice Amministrativo, funzionale alla ragionevole durata del Giudizio, non può avvenire a condizione della introduzione di condizioni di accesso alla tutela irragionevolmente restrittive. Le esigenze di pienezza ed effettività della tutela vengono, peraltro, contraddette da un regime processuale che, derogando da quanto dispone il diritto civile, comprime in maniera significativa le condizioni di accesso al rimedio risarcitorio, tanto più che la cennata giurisprudenza della Corte Costituzionale si è formata in relazione al rimedio risarcitorio così come disciplinato dal diritto civile; dal che discende il quesito in merito alla perdurante attualità di quelle considerazioni, in punto di conformità allo standard di tutela previsto dall’Articolo 24 della Costituzione, alla luce della disciplina introdotta dal C.p.a. e, in particolare, dall’Articolo 30 del medesimo. Al termine di questa lunga disamina un solo quesito: la questione di costituzionalità è stata ben argomentata? Sicuramente si, ad avviso dello scrivente. Tuttavia, essa avrebbe potuto, forse, ricomprendere anche l’Articolo 30, comma III^, C.p.a. in relazione al termine decadenziale afferente alla proposizione dell’azione risarcitoria in via autonoma. Vi è anche a dire, per vero, che in questo caso forse la Corte Costituzionale avrebbe avuto buon gioco nel pronunciare un difetto di rilevanza in relazione alla concreta fattispecie portata alla cognizione del Giudice a quo. Peraltro, per l’ipotesi in cui la Corte Costituzionale dichiarasse non conforme a Costituzione l’Articolo 30, comma V^, C.p.a. si verrebbe a creare un delicato problema di diritto transitorio. Infatti, nelle more dell’intervento del Legislatore non potrebbe operare il “vecchio” termine di anni cinque, decorrenti dalla data di formazione del giudicato di annullamento. Ciò risulterebbe precluso dall’Articolo 30, comma III^, C.p.a. Né il giudicato di annullamento rimetterebbe in termini il privato in quanto: 1) il giudicato, anche qualora intervenisse entro il termine di 120 giorni (circostanza tecnicamente impossibile), non potrebbe interrompere il decorso di un termine di decadenza; 2) abolita la pregiudiziale amministrativa, l’annullamento dell’atto non rinnova l’illecito della P.A. che si consuma a prescindere dalla caducazione giurisdizionale del provvedimento amministrativo, tant’è che il termine per l’azione risarcitoria decorrere dalla conoscenza del provvedimento medesimo.          

Si sottolinea che il presente modesto contributo, oltre a riportare fedelmente i contenuti della sentenza in disamina, riflette, come sempre, le opinioni, meditate ma del tutto personali, di colui che lo ha redatto.