UNA STORIA DI NATALE
giovedì 22 dicembre 2016

di FRANCESCO VOLPE

Vediamo da dove iniziare.

Immaginate una giovane donna, nata alla fine dell'800. È svizzera, di Zurigo, di madrelingua ovviamente tedesca. Discende da una famiglia un po' particolare. Suo bisavolo era stato un predicatore evangelico e lo erano stati anche il nonno e il padre. Ma non erano comuni pastori, quali si trovavano diffusamente in quella città di fede calvinista. Gli avi erano piuttosto dei veri e propri teologi.
Kaspar, il bisavolo, scrive studi che si intitolano più o meno così: “Dissertazione irenica sul felicissimo connubio tra verità e carità nella Chiesa protestante”; ma egli si interessa anche di scienze naturali.
Il nonno più o meno si occupa delle stesse cose e scrive saggi analoghi. Il padre della ragazza, Johann Ludwig, si prende, oltre alla laurea in teologia, anche quella in letteratura e diventa un germanista, professore all'Università di Zurigo. Sposa la figlia del suo maestro. I suoi fratelli sono, essi pure, professori a Zurigo: uno è un latinista e poi sarà anche Rettore dell'Università, l'altro, invece, è uno storico.
E poi c'è lei, naturalmente. Tra fratelli e sorelle sono in quattro. Il fratello, Ludwig, è destinato a diventare medico a Francoforte, mentre la sorella più giovane diventerà una famosa pianista, al centro della vita culturale di Francoforte e affine a Max Weber.
Quanto a lei, Maria, è poco più di una bambina, quando il padre, Johann Ludwig, muore. Ma la famiglia non deve essere priva di mezzi e, ad ogni modo, i parenti la sostengono con una certa larghezza... Collegio a Losanna, Maria, a suo tempo, si iscrive alla facoltà di filosofia.
Quella laurea non le basta. La sua passione è la medicina e, quindi, si iscrive anche a quest'altra facoltà. Scrive una prima dissertazione: su come il bacillo della tubercolosi si diffonda attraverso il burro commercializzato nei mercati. Poi, con i fratelli, si trasferisce a Francoforte. Lì i suoi interessi si orientano verso la ginecologia.
Ella sa che a Firenze insegna da qualche anno un professore molto stimato, tale Pestalozza, direttore della clinica ostetrico-ginecologica. Non esita: prende la valigia e si trasferisce in Toscana, dove potrà proseguire i suoi studi. Pubblicherà lì uno studio che è tuttora citato dalla letteratura medica.
Siamo nel 1904.
Quando, a Firenze, Maria conosce un giovane medico. Egli è l'aiuto del Pestalozza. Chiamiamolo Giuseppe, quale è stato il suo vero nome.
Chi era costui? Per la verità egli non era un toscano.
La sua famiglia è antichissima. Non è provato che sia vera la leggenda secondo la quale detta famiglia discese al seguito di Carlo Magno, nel 770, ma è comunque probabile che fosse di derivazione franca. Un ramo si stabilì in Toscana (ma a noi interessa poco). L'altro ramo, quello che a noi preme, si insediò invece tra le montagne vicine a Sondrio, vicino ai Grigioni svizzeri.
La stirpe è documentata fin dal 1400. In quei villaggi la famiglia aveva una posizione di preminenza , sia economica sia civile. Erano considerati nobili di antica tradizione, al punto tale che i suoi componenti appartenevano all'Ordine di Santo Stefano, cui si accede solo con due secoli di provata nobiltà alle spalle. Molti giuristi, molti medici, molti sacerdoti e, poi, tra questi ultimi, molti gesuiti.
Famiglia cattolicissima: non solo per essersi opposta anche militarmente al protestantesimo, ma pure per avere mantenuto e sovvenzionato un locale santuario lauretano.
La famiglia dà un paio di Rettori all'Università di Pavia e forse uno anche all'Università di Padova, ma resta legata ai luoghi in cui si era stabilita: Tresivio, Ponte.
È imparentata a più riprese con le altre famiglie notabili del luogo: i Parravicini e anche i Beccaria. Con questi ultimi, forse, i rapporti sono talora un po' tesi, perché la famiglia di cui parlo, un po' alla volta, spodesterà i Beccaria dal governo dei villaggi.
Del resto, in quella famiglia non troviamo solo studiosi e professori di università, ma anche persone pronte all'azione. Un antenato sarà tra i capi dell'insurrezione del 1620 contro i Grigioni e contro la religione calvinista. Ma sarà all'inizio dell'800 che un altro componente riuscirà nell'impresa e guiderà vittoriosamente la rivolta del paese contro la Confederazione svizzera, ottenendo il distacco di Sondrio da questa e poi l'annessione alla Repubblica cisalpina. Napoleone ricompenserà quell'uomo creandolo prima conte, poi ministro della polizia e, infine, deputandolo alla presidenza del Senato. Due suoi figli si faranno valere, al pari di lui, per quei fatti di arme. Poi viene l'Austria e il Lombardo-Veneto. Ma anche gli austriaci hanno bisogno dei suoi servigi. Diego diventa in breve vicegovernatore della Lombardia, vicario di quello Strassoldo, conte friulano, che fu cognato e protettore di Radetzky.
Non si deve credere, però, che la famiglia fosse ormai legata tutta all'invasore. Essa è piuttosto ramificata e un cugino, solo per dare un esempio, propende per le sorti risorgimentali. È tra i capi della rivolta delle Cinque giornate. Con il Regno d'Italia, quell'Enrico verrà nominato senatore e varie volte prefetto.
Ma torniamo a Giuseppe, il nostro giovane medico, discendente diretto di quel ribelle che scardinò Sondrio dai Grigioni.
Suo padre, Gerolamo, è morto quando lui è ancora bambino, ma Giuseppe riesce ugualmente a laurearsi, forse aiutato da quella piccola comunità che dai monti della Valtellina si è trasferita in Toscana e, probabilmente, da quel Pio Rajna, che fu letterato illustre e senatore del regno anche lui.
Il giovane medico si distingue subito dopo la laurea e pare destinato, come tanti suoi avi, alla carriera universitaria. È evidente che il Pestalozza lo ha preso in simpatia: lo manda prima a Messina, poi gli trova un posto da professore incaricato a Cagliari. Nel 1903, Giuseppe prende la libera docenza in ostetricia e in ginecologia.
Ma ormai siamo nel 1904, quando il giovanotto incontra quella ragazza scesa da Francoforte e, prima, da Zurigo, per perfezionarsi a Firenze.
Perché stare tanto a discutere? I due si sposano. Lei lo segue a Cagliari.
Poi, nel 1908, si apre la prospettiva di un posto di professore alla clinica pareggiata di ostetricia e di ginecologia a Novara.
Chissà? Novara è vicina alla Svizzera e questo, forse, potrebbe permettere a Maria di vedere più spesso la sua famiglia.
Si va a Novara, dunque.
Nel frattempo, nel 1906, a Firenze, è nato il primo figlio, Diego, che, crescendo, si dimostrerà essere, ante litteram, un moderno manager. Studi di carattere economico, questo nuovo Diego verrà assunto dalla raffineria Aquila di Trieste già prima del secondo conflitto mondiale. Lì resterà fino a diventarne direttore generale, quando nel 1960 viene chiamato a presiedere Shell Italia. In quella veste cerca di mantenere un dialogo con l'emergente Mattei, ma non ci riesce. Dall'America i tentativi di accordo vengono impediti. Ad un certo punto si dimetterà e chiuderà la sua carriera alla IP. Nel frattempo, Diego ha contribuito a fondare la DOXA e ha pubblicato saggi di contenuto macroeconomico sullo sviluppo della società industriale. Quei saggi vengono citati ancora oggi, perché le sue previsioni su ciò che sarebbe stata la società italiana nel 2000 si dimostreranno retrospettivamente veritiere. Diego aveva scritto quelle cose negli anni '60.
Ma è sul fratello più giovane di Maria e di Giuseppe che dobbiamo concentrarci, e non sul figlio maggiore, Diego, di cui vi ho appena parlato.
Il minore è nato nel 1909 a Novara. Nel 1913, la famiglia si trasferisce a Venezia, dove il padre ha vinto il primariato di ostetricia.
Il ragazzo cresce e si tratta di andare all'Università: egli si iscrive a giurisprudenza a Padova e, come di tradizione familiare, dopo la laurea comincia anche lui la carriera universitaria, al seguito di un professore di diritto costituzionale, le cui ascendenze non sono meno singolari.
Quel professore di diritto costituzionale è nato a Modena, ma, dopo la laurea, ha vissuto abbastanza a lungo in Germania. Ha sentito le lezioni di Laband e di G. Jellinek. Poi è tornato in Italia, ha vinto la docenza e quindi il concorso a cattedra… prima la Sicilia, poi Macerata, dove è stato Rettore. Infine, Padova.
Egli è ebreo e si chiama Donato Donati. La sua famiglia ha varie ramificazioni e proviene dalla Mitteleuropa, con ascendenze probabilmente ashkenazite. Rabbini, notai, avvocati, ingegneri. Famiglia colta ed eminente quella del Donati. Donato ha un fratello, che è ordinario di filosofia del diritto a Modena. Una sua sorella, Augusta, si sposa con un tale Federico Schiller, la cui famiglia non aveva evidentemente ritenuto necessario ritornare in patria dopo la caduta degli Asburgo e tra i cui ascendenti pare annoverarsi l'omonimo drammaturgo. Molti di noi, credo, hanno
conosciuto il figlio di Federico e di Augusta.
Donato, a sua volta, vince il concorso alla cattedra di diritto costituzionale con la benedizione di Santi Romano e di Orlando, che furono commissari. Piena scuola giuspositivistica.

Bene, amici, siamo arrivati al punto in cui possiamo trarre le fila di tutto questo percorso per pensare a cosa si è riversato su quell'allievo di Donati.
In ragione del padre e della madre egli era perfettamente bilingue: per lui tanto era parlare e scrivere in italiano, quanto in tedesco.
Dal padre gli deriva una secolare tradizione familiare composta di concezione feudale della società, di studi giuridici, di cattolicesimo fervente, di attitudini militari, ma anche di attitudini politiche e di governo applicato della res publica. La famiglia ha traversato, partecipandovi, il periodo illuministico, quello preromantico (alla schiatta appartiene anche Giulietta, da taluni ritenuti l'amata immortale di Beethoven) e quello romantico.
Dalla madre, derivano a lui le spinte del protestantesimo; deriva una tendenza al ragionamento non influenzato dalla tradizione e dalle precedenti interpretazioni. Se conosci Dio conosci te stesso, sosteneva Calvino. Se proteggi l'interesse pubblico alla legalità proteggi te stesso. Occasionalmente, vorrei dire. Forse, ecco, l'influsso idealista è meno marcato di quanto potrebbe apparire. Forse, l'idealismo dissimula il retrostante calvinismo.
Dal padre e dalla madre insieme, deriva a lui un approccio all'analisi del problema qual è proprio di uno scientismo puro, come doveva essere lo studio dell'arte medica all'inizio del '900.
L'influsso positivista viene in lui accentuato dalla conoscenza del maestro, Donati. Il quale, peraltro, porta con sé anche il peso della cultura ebraica e mitteleuropea della fine dell'800.
Tutto ciò si assomma e viene riversato in quel giovane allievo.
Il quale opera, infine, il miracolo intellettuale. Egli riesce, per doti proprie, ad appropriarsi di tutte queste influenze ereditate. E riesce a sollevarsi sulle stesse e a fare sintesi. E, con la sintesi, a esibire anche una, quasi miracolosa, lucidità di pensiero. Che è la maggior dote che tutti, poi, gli riconobbero.

Ormai, avete capito tutti di chi sto parlando: di ENRICO GUICCIARDI

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NOTA: avete inteso che sto raccogliendo materiale. Quello finora in mio possesso mi suggerisce le conclusioni che sopra vi ho narrate. Quando avrò ulteriore documentazione, forse alcune cose dovranno essere aggiustate. Conto, in ogni caso, di pubblicare un resoconto più dettagliato.


 

Ultimo aggiornamento ( giovedì 22 dicembre 2016 )